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La capacità di comunicare in maniera efficace tra individui della stessa specie, e tra specie differenti, gioca un ruolo fondamentale nella vita di tutti gli animali. I pesci non fanno eccezione, comunicando in modi molto diversi tra loro e utilizzando, spesso in contemporanea, segnali chimici (come i feromoni), elettrici e sonori. In questo articolo ci concentreremo su questi ultimi, andando ad approfondire la comunicazione acustica di varie specie di pesci e i suoi ostacoli, spesso rappresentati dalle attività umane in mare.
Quali sono i meccanismi di comunicazione dei pesci
I pesci possiedono la più grande varietà di meccanismi sonori tra tutti i vertebrati, il vasto subphylum di animali caratterizzati da uno scheletro osseo (o cartilagineo) e dalla presenza della colonna vertebrale, da cui prendono il nome. Sono oltre 800, infatti, le specie di pesci note per la produzione di suoni e questo numero è destinato a crescere col tempo. Come accade per tutti gli altri gruppi animali (in gergo tecnico, taxa), le caratteristiche acustiche dei suoni emessi dai pesci possono variare in base alle specie, al genere, alla taglia e all’età, e una classificazione proposta per distinguerli fa riferimento alle strutture morfologiche che gli animali impiegano quando emettono suoni per comunicare con altri individui della stessa specie.
Secondo questa suddivisione, il gruppo principale sarebbe composto dai pesci che emettono suoni attraverso la contrazione ripetuta della vescica natatoria, l’organo attraverso cui gli animali controllano il galleggiamento in acqua. Una sorta di tamburello, che funziona grazie alla presenza di veri e propri muscoli sonori, che si contraggono sulla vescica e generano il suono. Appartengono a questa categoria i pesci d’acqua dolce del genere Pimelodus sp., i pesci scoiattolo della famiglia Holocentridae, varie specie di piranha e della famiglia Doradidae.

Il secondo gruppo di adattamenti per la produzione di suoni riguarda il cinto pettorale, i raggi scheletrici e i tendini che sostengono le pinne pettorali. Per esempio, i pesci appartenenti alla famiglia Cottoidea (di cui fa parte lo scazzone, Cottus gobio, diffuso anche nel Nord e Centro Italia) non hanno la vescica natatoria, ed emettono suoni facendo vibrare il cinto pettorale, contraendo un muscolo che si estende tra questa e il cranio.
Non solo. La maggior parte dei pesci gatto, famiglia Ictaluridae, emette una sorta di ronzio dovuto allo sfregamento dei raggi delle pinne pettorali, chiaramente udibile anche dall’orecchio umano. Un altro metodo di emissione del suono è lo sfregamento di speciali protrusioni ossee, dette denti faringei, dei pesci del vastissimo ordine dei Perciformes, di cui fanno parte persici, remore, pesci angelo e tanti altri.
Infine, diversi studi stanno riguardando la capacità che avrebbero i ghiozzi, famiglia Gobiidae, di produrre suoni a bassa frequenza mediante l'espulsione calibrata di acqua dall’opercolo branchiale. Terminiamo questa carrellata con l’ipotesi, piuttosto divertente e ancora al vaglio dei ricercatori, secondo cui le aringhe, Clupea harengus, comunicherebbero tra loro attraverso una serie di impulsi ad alta frequenza prodotti dall’emissione di bolle d’aria dall’apertura anale. Puzzette parlanti, in pratica.
La difficoltà di comunicare in un mondo (acquatico) rumoroso
Il rumore prodotto dalle attività umane negli ambienti acquatici (e non solo) è, a tutti gli effetti, un agente inquinante. Pensate alla navigazione di piccoli e grandi mezzi, alle lavorazioni in mare aperto, all’esplorazione e alla produzione sottomarina di energia. Purtroppo, difficilmente riusciremmo a svolgere tutte queste funzioni senza produrre rumore e numerosi studi scientifici dimostrano che, col tempo, questo esercita un’influenza selettiva sulle frequenze e sui modi utilizzati dalle specie animali per comunicare tra loro. C’è da ricordare che i pesci non si sono evoluti in un ambiente silenzioso. Fiumi, mari e oceani offrono tutto un insieme di suoni e rumori, che chi di voi ama immergersi alla scoperta di fondali e pesci tropicali conoscerà bene. Tuttavia, l’evoluzione dei meccanismi sonori e del loro funzionamento è avvenuta nel corso di un lungo periodo di tempo, del quale noi Homo sapiens occupiamo una parte molto piccola.
Sebbene gli studi scientifici sugli effetti del rumore antropico sui pesci siano ancora poco numerosi, oggi sappiamo che alcune specie, se troppo vicine a fonti di rumore, possono morire o ferirsi gravemente. Allo stesso modo, può accadere che altre specie soffrano una riduzione temporanea della sensibilità uditiva o che il rumore provocato dal passaggio di navi e imbarcazioni possa ridurre l’efficacia della comunicazione interspecifica. Immaginate di mantenere lo stesso tono di voce che usereste in biblioteca, nel corso di una grande festa, con la musica ad alto volume: di certo la qualità delle informazioni che date o ricevete ne risentirebbe. La stessa cosa succede ai pesci che, nel frattempo, continueranno a sviluppare comportamenti di risposta oppure impareranno ad "alzare la voce", come hanno già cominciato a fare altri abitanti del mare: i cetacei. Questa, però, è una storia che vi racconteremo la prossima volta.