L'esperienza di irritazione o disagio acuto quando si sente qualcuno masticare, deglutire, o addirittura respirare più rumorosamente del normale è un fenomeno conosciuto come misofonia. Non si tratta semplicemente di un leggero fastidio, ma di una reazione intensa che può variare da ansia e irritabilità a vera e propria rabbia e panico. Questo disturbo, sebbene meno noto rispetto ad altri, incide profondamente sulla vita quotidiana di chi ne soffre, influenzando relazioni interpersonali, scelte sociali e persino ambienti lavorativi. La misfonia può essere scatenata da motivi psicologici e/o ambientali, e si ritiene che sia dovuta al fatto che in alcune persone certi stimoli per esempio uditivi, detti "trigger", possono attivare alcune aree cerebrali deputate alla processione delle emozioni.
Cos'è la misofonia, l'odio per il suono
La misofonia, letteralmente "odio per il suono", è stata classificata per la prima volta quale disturbo medico da Margaret e Pawel Jastreboff nel 2001. Da allora il disturbo ha attirato l'attenzione di psicologi, neuroscienziati e audiologi che cercano di comprenderne le radici e i meccanismi.
Le ricerche indicano che la misofonia non è semplicemente una questione di sensibilità acustica, ma piuttosto è una relazione tra determinati suoni e complesse risposte cerebrali. Studi sull'attività del cervello hanno mostrato che gli individui con misofonia presentano una diversa attivazione di certe aree cerebrali rispetto a chi non soffre di tale disturbo, in particolare della “rete di salienza”, ovvero la rete di neuroni che si attiva nel filtraggio di stimoli particolarmente rilevanti in determinati momenti, fino a propagarsi nelle aree coinvolte nella processazione emotiva, come l'amigdala, quando esposti ai suoni "trigger".
È lo stesso principio per cui il rumore delle unghie sulla lavagna ci dà fastidio. La misofonia potrebbe quindi essere causata da un differente cablaggio nei cervelli di chi ne soffre, i quali sarebbero predisposti ad attivare comportamenti di risposta a minacce sonore.
Da cosa può dipendere il fastidio per il rumore della masticazione
La misofonia si manifesta più comunemente nell'infanzia o nell'adolescenza e può essere influenzata da fattori psicologici ed ambientali. Facciamo un esempio banale: un compleanno d’infanzia celebrato in un ristorante ma finito in maniera spiacevole potrebbe innescare in voi un rifiuto per i rumori genericamente associati alla masticazione e alla deglutizione, rumori facilmente presenti in un ristorante.
L'esposizione ripetuta a suoni specifici in contesti negativi può rafforzare la reazione avversa nel tempo, creando una sorta di condizionamento, nella stessa maniera in cui i celebri cani di Pavlov iniziavano a sbavare al solo suono della campanella, una volta esposti alla continua associazione tra suono e momento del pasto.
Inoltre, c'è chi suggerisce che la misofonia possa avere una componente genetica (per i più interessati, ciò dipenderebbe da un’alterazione del gene TENM2) e sembra essere più comunemente riscontrabile nei portatori di altri disturbi psicologici, come il disturbo d’ansia, il disturbo ossessivo-compulsivo e la sindrome di Tourette.
Si può guarire dalla misofonia?
Attualmente, non esiste una cura definitiva per la misofonia, ma esistono strategie di gestione che possono aiutare a ridurne l'impatto sulla vita quotidiana. La terapia cognitivo-comportamentale si è dimostrata efficace nel modificare la risposta emotiva ai suoni trigger. Tecniche di rilassamento e di mindfulness lavorano invece sulla gestione dello stress e dell'ansia associati. Come sempre, l'educazione di familiari e amici al riconoscimento del disturbo misofonico, nell'ottica di promuovere un ambiente più inclusivo e comprensivo, risulta determinante per il benessere di chi ne soffre in maniera acuta.
La misofonia è un disturbo complesso che va oltre la semplice avversione per certi suoni. Rappresenta una sfida sia per chi ne soffre sia per i professionisti che cercano di fornire aiuto e supporto. La ricerca in questo campo è, come avete visto, ancora agli inizi, ma promette di aprire nuove vie per trattamenti più efficaci e per una maggiore comprensione del disturbo.