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2 Novembre 2025
15:30

Perché molti portano la “castagna matta” in tasca: origini della leggenda contro i malanni autunnali

L'uso della castagna matta, frutto dell’ippocastano, nacque come rimedio veterinario per i cavalli, diventando credenza popolare in Europa come rimedio contro raffreddori e dolori articolari. Diffusa anche in Italia, oggi è simbolica: il frutto è tossico, ma i semi trattati hanno proprietà benefiche.

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Perché molti portano la “castagna matta” in tasca: origini della leggenda contro i malanni autunnali
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A sinistra una “castagna matta”, frutto dell’ippocastano e tossica per l’uomo. A destra una castagna comune, frutto del castagno e commestibile. Immagine generata con AI.

L’usanza di tenere in tasca una castagna detta “matta” per proteggersi dai malanni stagionali, ha origine dal folklore rinascimentale, ma non ha alcun fondamento scientifico. Anticamente, infatti, si utilizzavano le castagne matte per curare i cavalli, e questo ha portato a credere che avessero proprietà benefiche anche per l’uomo, come sostengono raccolte di studi ottocentesche su usanze popolari in Italia e in Europa. In realtà, le “castagne matte” sono il frutto dell'ippocastano (e non del castagno), un albero ornamentale non commestibile e tossico per l'uomo: per questo sono dannose per gli esseri umani, anche se la tradizione popolare continua a considerarle come protezione dai malanni stagionali e dai raffreddori.

L'origine della credenza popolare della “castagna matta” in Italia

La leggenda della castagna matta nasce dal folklore popolare, che attribuiva all’ippocastano proprietà curative per i cavalli. Il nome della pianta, diffusa in Europa nel 1500 grazie alle rotte commerciali dei Balcani e dell’Asia Minore, conserva ancora oggi questa origine: hippos, cavallo, e castanon, castagno. I semi dell’ippocastano, infatti, venivano utilizzati per curare gonfiori alle gambe dei cavalli, al tempo fondamentali per gli esseri umani perché utilizzati come principale mezzo di trasporto, migliorarne la circolazione, oltre che per ridurre la loro tosse.

Da qui nasce probabilmente l’associazione della castagna matta come rimedio contro i malanni di stagione, il raffreddore e i dolori articolari, tradizione che si è protratta per tutto l’Ottocento e giunta fino a noi come vera e propria leggenda popolare. Giuseppe Pitrè, medico e grande studioso delle tradizioni popolari europee del XIX secolo, nel suo volume "Usi, costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano" (1870) racconta l’usanza di portare con sé le "castagne matte" come amuleti naturali contro raffreddori e reumatismi, al pari di noci, spicchi d’aglio o pietruzze levigate, non solo in Sicilia ma in altre regioni italiane. Gli anziani raccomandavano ai bambini di tenerne una in tasca e spesso le castagne venivano anche inserite in cuscini e materassi. In alcune zone della penisola, addirittura, si benedicevano nel giorno di Ognissanti, subito dopo la celebrazione, consolidando così il loro ruolo protettivo e simbolico.

La castagna matta nelle leggende del Nord Europa

L’idea che "la castagna matta" proteggesse dal freddo non era diffusa solo in Italia ma anche nel resto d’EuropaJacob Grimm, uno dei due celebri fratelli Grimm noti per aver raccolto e trascritto fiabe come Biancaneve, nel suo studio sulla mitologia tedesca "Deutsche Mythologie" (1835) menziona la credenza secondo cui la Rosskastanie, la castagna rossa, proteggerebbe dal Kältegeist, lo spirito del freddo. Confrontando questa data con la pubblicazione del volume di Pitrè, si può ipotizzare che l’idea delle proprietà curative della castagna matta abbia avuto origine nel Nord Europa, per poi diffondersi e arrivare in Italia attraverso racconti e tradizioni popolari.

L’origine della leggenda tedesca sembra risalire, ancora una volta, all’uso veterinario della castagna per curare i cavalli, ed anche in Francia la pianta è chiamata châtaigne de cheval (castagna da cavallo). Secondo il "Woodland Trust" inglese, “i segni sul picciolo delle foglie assomigliano a un ferro di cavallo (…) le castagne venivano macinate e somministrate ai cavalli per alleviare la tosse”. Questi dettagli ci suggeriscono anche perché, probabilmente, nel folklore nordico sia nata l’associazione tra castagne e cavalli: l’osservazione dei segni sulle foglie ricordava agli uomini il ferro sugli zoccoli degli animali.

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Credit: Valerio Carnevali, CC BY–SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by–sa/3.0>, via Wikimedia Commons

La castagna matta oggi: come distinguerle dalle castagne vere

L’usanza di mettere una castagna matta in tasca e conservarla come rimedio contro il freddo è oggi affettuosamente mantenuta, ma si tratta di una tradizione senza fondamento scientifico. L'ippocastano è diffusissimo nei nostri parchi e nelle nostre città, oltre che in molte zone boschive e di campagna e, per distinguere "le castagne matte" da quelle buone occorre osservare innanzitutto il riccio che la contiene: il frutto dell'ippocastano ha spine rade e tondeggianti, che non pungono, mentre quello della castagna, frutto del castagno, è fitto e pungente. La prima è lucida e tondeggiante, la seconda è più opaca e irregolare.

Oggi sappiamo che i semi di ippocastano, opportunamente trattati, hanno effettivamente proprietà drenanti – e qui si conferma l’antica intuizione – ma ciò non ha nulla a che fare con il frutto della castagna in sé. Anzi, è stato ampiamente dimostrato che questi frutti siano tossici per l’uomo, e se ingeriti possono provocare gravi problemi ai reni e al fegato.

Fonti
Quaderno di Studi e Notizie di Storia Naturale della Romagna Woodland Trust Herbaria Plants Oxford
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