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7 Maggio 2024
17:24

Perché quando guardiamo l’universo lo vediamo nel passato

Esiste un modo per guardare indietro nel tempo, e accade esattamente ogni istante della nostra vita. Il motivo risiede nel fatto che la luce emessa da un oggetto celeste viaggia a una velocità finita, e dunque impiega tanto più tempo per raggiungerci quanto più l'oggetto è distante da noi.

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Perché quando guardiamo l’universo lo vediamo nel passato
vediamo l'universo com'era nel passato

Quando osserviamo la Luna la vediamo com'era 1,3 secondi prima. Il Sole ci appare com'era 8 minuti e mezzo prima. La galassia di Andromeda, una delle più vicine a noi e una delle uniche visibili a occhio nudo dalla Terra, ci appare com'era due milioni e mezzo di anni fa. Quanto guardiamo qualunque oggetto nell'universo, lo vediamo com'era nel passato. Questo perché la luce si propaga alla velocità fissa di 299.792.458 m/s, che è grande ma non è infinita e dunque impiega un certo tempo per attraversare le enormi distanze cosmiche prima di arrivare a noi. La luce è un po' come un messaggero che ci porta una lettera da luoghi distanti: le notizie che ci porta affondano tanto più nel passato quanto è distante il luogo di provenienza delle missive.

Osserviamo pianeti, stelle e galassie com'erano nel passato

Proviamo a fare qualche calcolo per comprendere i numeri che abbiamo dato prima. La Luna dista mediamente da noi 384.400 km. Quanto impiega la luce a percorrere questa distanza? Dividiamo la distanza per la velocità della luce (circa 300.000 km/s) e otteniamo 1,28 secondi. Questo significa che la luce che ci arriva dalla Luna ci mostra com'era il nostro satellite naturale 1,28 secondi fa. Se qualcosa accadesse lassù, potremo venirlo a sapere solo 1,28 secondi dopo.

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Facciamo lo stesso per il Sole, che mediamente dista da noi 149.600.000 km. Dividiamolo per la velocità della luce e otteniamo 8 minuti e 19 secondi. Se per qualche strano motivo il Sole scomparisse improvvisamente la nostra vita procederebbe tranquillamente per 8 minuti e 19 secondi, prima che le informazioni sull'accaduto ci raggiungano.

Volendo analizzare la luce proveniente da fonti esterne al nostro Sistema Solare, conviene definire una nuova unità di misura per la distanza, l‘anno luce, ovvero la distanza che la luce percorre in un anno nel vuoto: 9.461 miliardi di km. La stella più vicina a noi dopo il Sole è Proxima Centauri, distante 4,2 anni luce. Questo significa che, quando gli astronomi puntano i telescopi verso Proxima Centauri, la analizzano e la studiano come era 4,2 anni fa.

L'anno luce ci dà quindi un'idea immediata di quanto è il “ritardo” con cui osserviamo gli oggetti celesti. La galassia di Andromeda, per esempio, dista da noi 2,54 milioni di anni luce. La sua luce che osserviamo oggi è quindi partita 2,54 milioni di anni fa: vediamo la galassia come appariva quando la nostra specie non esisteva ancora e sulla Terra c'era ancora Homo habilis. E se per assurdo l'intera galassia esplodesse in questo momento, potremmo saperlo solo tra due milioni e mezzo di anni.

Galassia Andromeda immagine
La galassia di Andromeda. Credits: Adam Evans, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons.

Alla scoperta della storia dell'Universo

Tutto questo significa che guardare lontano equivale, in un certo senso, guardare indietro nel tempo. Questo è di grande utilità per gli astronomi, perché sorgenti di luce distanti possono quindi darci informazioni su come era l'Universo molto tempo fa. Questo è proprio ciò di cui si occupa una delle più affascinanti branche della scienza: la cosmologia.

Alcune delle caratteristiche che vengono spesso invocate parlando di metodo scientifico sono la riproducibilità e la ripetibilità delle misure. Risulta tuttavia ovvio che non è possibile fare misure prendendo stessi identici campioni di sorgenti astrofisiche come stelle o galassie, o con ancor più difficoltà l'Universo in tutto il suo insieme. Come vedremo a breve esistono delle strategie per studiare sperimentalmente l'astrofisica, uno dei motivi per il quale si dovrebbe parlare più propriamente di metodi scientifici che di un unico metodo scientifico.

La storia evolutiva di una galassia o di una stella è troppo ampia per essere studiata su tempi scala di vita umani, ma grazie alla finitezza della velocità della luce esiste un modo in cui possiamo studiare l'evoluzione e la storia dell'Universo. Ciò può essere fatto osservando sorgenti astrofisiche come galassie, ammassi di galassie o stelle localizzate a diverse distanze da noi. Nonostante ogni sorgente possa essere diversa dalle altre, esistono tuttavia alcune caratteristiche in comune.

La strategia che utilizzano gli astrofisici e i cosmologi è quella di osservare varie sorgenti di luce, poste a distanze diverse da noi. Ma osservare sorgenti a distanze diverse significa anche osservare periodi della storia universale diversi. In questo modo risulta quindi possibile costruire l'evoluzione dell'Universo, come se le diverse sorgenti fossero la stessa sorgente fotografata in tempi diversi della sua vita.

Graize a questa metodologia, possibile proprio grazie alla finitezza della velocità della luce, riusciamo a osservare eventi risalenti fino agli albori dell'Universo, come la radiazione cosmica di fondo, che ci dà informazioni sulle proprietà dell'Universo quando aveva soltanto 380.000 anni di età.

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La radiazione cosmica di fondo, ovvero la prima luce che siamo in grado di osservare dall’Universo "bambino".

Una conseguenza che può disorientare è che ogni singola cosa che osserviamo la stiamo osservando come era tempo addietro. La prossima volta che vi guardate allo specchio, potrete pensare al fatto che non state vedendo voi stessi come siete adesso, ma come eravate circa un nanosecondo fa. Non sarà sicuramente qualcosa che potrete realmente apprezzare dal punto di vista sperimentale, ma potrebbe essere una riflessione dal punto di vista concettuale.

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