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2 Aprile 2023
7:30

Satelliti naturali, quali sono, chi li ha scoperti e dove si trovano nel Sistema Solare

Ad oggi gli astronomi hanno scoperto più di 200 satelliti naturali nel nostro Sistema Solare. Vediamo quali sono, come si formano e perché è interessante studiarli.

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Satelliti naturali, quali sono, chi li ha scoperti e dove si trovano nel Sistema Solare
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I pianeti del nostro e di altri sistemi solari non sono soli nella loro danza cosmica attorno alle stelle, ma posseggono dei fedeli compagni, i satelliti naturali. Questi possono essere definiti come corpi celesti che non orbitano attorno a una stella ma attorno ad un altro corpo, come un asteroide o un pianeta. Nel nostro Sistema Solare ce ne sono più di 200 ma l'esempio a noi più vicino è la Luna, il satellite naturale della Terra.
In questo articolo vedremo come si formano i satelliti naturali e le proprietà uniche che caratterizzano alcuni di loro.

Storia della loro scoperta

Il satellite naturale per eccellenza è la Luna, che ha affascinato il genere umano sin dall'antichità per la sua luminosità, per le sue fasi e la cui facilmente individuabile regolarità nel moto ha aiutato gli uomini a scandire lo scorrere del tempo. Il legame particolare della Luna con la Terra era noto sin dall'antichità, tanto è vero che il filosofo greco Aristotele identificava la Luna come il confine tra la sfera degli elementi e quella dell'etere. Tuttavia la Luna era ancora considerata, almeno sino alla rivoluzione Copernicana, come un pianeta.

Fu solo grazie alle osservazioni al telescopio di Galileo Galilei che ci si iniziò a rendere conto che i pianeti potessero possedere dei satelliti naturali. Galileo Galilei fu infatti il primo ad accorgersi che la Luna non era una sfera perfettamente liscia, come teorizzato dagli antichi, ma era costituita da "mari" e altopiani. Unitamente a ciò, Galileo enunciò nel Sidereus Nuncius la scoperta dei quattro satelliti maggiori di Giove, ovvero Io, Europa, Ganimede e Callisto.

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Frontespizio della prima edizione del Sidereus Nuncius pubblicato da Galileo Galilei nel 1610.

Nei secoli successivi, osservazioni astronomiche condotte con telescopi sempre più sofisticati e grandi portarono alla scoperta di molti altri satelliti naturali appartenenti ai pianeti del nostro Sistema Solare. L'astronomo Christiaan Huygens scoprì nel 1655 Titano, il più grande satellite naturale di Saturno, e nuovamente un astronomo italiano, Giovanni Domenico Cassini, scoprì altri quattro satelliti naturali di Saturno, ovvero Teti, Dione, Rea e Giapeto alla fine del 1600.

Giovanni Cassini
Giovanni Domenico Cassini

Altri due importanti satelliti naturali di Saturno, Mimas ed Encelado, furono scoperti dall'astronomo britannico William Herschel nel 1789. Egli fu inoltre il primo a scoprire due satelliti naturali di Urano, Titania ed Oberon. Nella seconda metà del 1800, gli astronomi scoprirono anche il più grande satellite naturale di Nettuno, ovvero Tritone, e i due piccoli satelliti naturali di Marte, Phobos e Deimos.

Come si formano i satelliti naturali?

È quindi evidente che i satelliti naturali sono abbondanti nel Sistema Solare, con Giove che detiene attualmente il record di ben 92 satelliti alla sua corte, e con la definizione di satellite naturale oggigiorno estesa anche a corpi celesti orbitanti pianeti nani o asteroidi. La domanda che sorge spontanea è come questi oggetti si siano venuti a formare e a trovarsi ad essere satelliti naturali dei pianeti del Sistema Solare.

I meccanismi di formazione si dividono in due categorie principali: in-situ ed ex-situ. Nel primo meccanismo, la formazione del satellite naturale avviene nella stessa regione del disco proto-planetario di polveri e gas da cui si è formato il pianeta attorno a cui i satelliti orbitano. Nel secondo meccanismo, invece, avviene una cattura gravitazionale, cioè il satellite naturale si è formato altrove e viene catturato dalla sfera di influenza gravitazionale del pianeta. Questo secondo meccanismo include anche le collisioni tra proto-pianeti nel Sistema Solare primordiale, in cui i frammenti degli impatti sono rimasti catturati nella sfera di influenza gravitazionale dei pianeti e ne sono diventati satelliti naturali.

Questa è una delle teorie più accreditate sulla formazione della Luna, secondo cui essa si è formata dalla collisione tra la Terra primordiale e un proto-pianeta di dimensioni simili a Marte, ribattezzato Theia. Il materiale scaturito dall'impatto sarebbe rimasto in orbita terrestre e raffreddandosi avrebbe dato origine alla Luna.

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Illustrazione artistica della formazione di satelliti naturali nel disco proto–planetario di un pianeta gigante gassoso. Credits: Nagoya University.

Sono i migliori candidati per ospitare la vita nel Sistema Solare

Lo studio dei satelliti naturali è fondamentale non solo per approfondire le nostre conoscenze sulla nascita ed evoluzione del Sistema Solare, ma anche perché alcuni di essi costituiscono i più promettenti candidati per la ricerca di vita nel nostro sistema stellare. Grazie ai dati delle sonde Pioneer, Voyager, Galileo e Cassini-Huygens, gli astronomi hanno ottenuto forti evidenze osservative della presenza di oceani d'acqua sotto la crosta ghiacciata di satelliti naturali come Ganimede, Europa ed Encelado.

Ciò è reso possibile dalle forze di marea che Giove e Saturno esercitano sui suoi satelliti naturali, rilasciando il calore necessario a garantire un oceano liquido sotto la superficie e a creare una attività geologica simile alla tettonica a placche terrestre.

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Eruzione di ghiaccio d’acqua dai geyser sulla superfici di Encelado, ripresi dalla sonda Cassini–Huygens. Credits: NASA/JPL

Non c'è da sorprendersi quindi se l'obiettivo principale dell'esplorazione spaziale si è spostato dai pianeti ai satelliti naturali del nostro Sistema Solare. La missione JUICE dell'ESA, che sarà lanciata quest'anno e arriverà nel sistema gioviano nel 2031, ha come obiettivo lo studio delle tre lune ghiacciate di Giove, ovvero Ganimede, Europa e Callisto, alla ricerca di molecole organiche nell'acqua fuoriuscente dai geyser superficiali e a evidenze più precise sulle caratteristiche degli oceani sotto la crosta di ghiaccio.

Una delle proposte più ambiziose e ancora in fase di studio consiste nell'utilizzo di una sonda che sia in grado di fondere lo strato di ghiaccio superficiale per avere accesso diretto agli oceani sotterranei. Una volta lì, verrebbe rilasciato un sottomarino robotico per cercare direttamente la presenza di vita extra-terrestre. Una missione ambiziosa, ma che stimola la fantasia e che ci spinge a studiare sempre più approfonditamente i satelliti naturali del nostro Sistema Solare.

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