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Vi è mai capitato di sentir dire “Non parlare a vanvera”? Si tratta di un'espressione rafforzativa derivante dal fonosimbolismo (cioè che imita un suono) del termine "vanvera" e dell'espressione "bla bla bla" oppure da una storpiatura di "fanfera". Significa parlare senza riflettere, dire cose senza senso o senza fondamento: resta comunque una formula che ci suona familiare ma che nasconde una storia affascinante, fatta di evoluzioni linguistiche lunghe secoli.
Oggi l’espressione è usata per indicare chi parla senza cognizione di causa, in modo superficiale o impulsivo, senza pensarci su. Una persona che “parla a vanvera” è quella che percepiamo come poco credibile, inconcludente, spesso fastidiosa. Ma in realtà, cosa significa “vanvera”? Se ci pensate, non è una parola che usiamo da sola.
Non diciamo mai: “questa è una vanvera”. Compare sempre in espressioni fisse: “parlare a vanvera”, “fare a vanvera”, “correre a vanvera”. E questo ci fa subito pensare che forse non è un sostantivo come gli altri, ma una di quelle parole nate per rafforzare l’idea di un’azione fatta male o senza senso.
Secondo quanto riportato dall’Accademia della Crusca, “parlare a vanvera” è documentata fin dal Seicento. Ne troviamo traccia nei Proverbi di Francesco Serdonati (storico e lessicografo fiorentino), che scriveva intorno al 1610. Qui è già usato col significato di “parlare a caso, senza fondamento, senza riflettere”. La teoria più accreditata per la nascita di questa parola alquanto strana è quella che la collega a una onomatopea: “vanvera” suonerebbe come un "bla bla" antico, una parola fonosimbolica, usata per indicare chi parla senza dire nulla di rilevante.
Invece, secondo alcuni studiosi, “vanvera” sarebbe una variante di “fanfera”. La trasformazione sarebbe avvenuta per effetto della lingua parlata, che tende a modificare le parole col tempo. In effetti, entrambe le parole hanno un suono “rumoroso”, quasi da trombetta: fan-fan, van-van, perfette per rappresentare un chiacchiericcio confuso.
Secondo alcune fonti popolari, esisterebbe una curiosa storia veneziana legata al termine: nel Seicento, nelle corti aristocratiche della Serenissima, pare esistesse un aggeggio chiamato “vanvera”, un piccolo tubo con una valvola, che le dame portavano sotto le gonne durante i ricevimenti per… assorbire i rumori intestinali imbarazzanti. Insomma, uno strumento per camuffare flatulenze con un suono “soffuso”, che non creasse scandalo o risate nelle sale da ballo. Da quel buffo suono prodotto da questo tubo sarebbe nato il modo di dire “parlare a vanvera”, ossia emettere aria (e suoni) senza dire nulla di rilevante. Si tratta di un aneddoto affascinante, anche se storicamente difficile da dimostrare.
Un’altra ipotesi — meno probabile ma comunque interessante — è che “vanvera” derivi da “bambàra” o da alcuni giochi da tavolo o giochi di carte toscani, dove agire “a vanvera” significava muoversi senza strategia, alla cieca. In questo senso, il significato si sarebbe poi esteso all’ambito del linguaggio.