L’espressione “attaccare bottone” si usa per indicare quando una persona inizia una conversazione lunga e spesso noiosa con qualcuno, spesso facendo perdere tempo agli altri. Chi attacca bottone è generalmente considerato un seccatore, uno che parla a lungo senza che l'interlocutore sia particolarmente interessato a ciò che sta dicendo. Il termine può riferirsi a chiacchiere inutili, discorsi prolissi e, in generale, a un’interazione che si preferirebbe evitare. Un altro uso dell’espressione è spesso utilizzata anche in contesti sociali più specifici, come quando si cerca di avviare una conversazione con una ragazza o un ragazzo. In questo caso, “attaccare bottone” assume una sfumatura quasi di approccio, dove l'obiettivo è rompere il ghiaccio, avviare un dialogo o semplicemente fare conoscenza. Tuttavia, se il discorso risulta poco interessante o ripetitivo, si rischia di essere considerati noiosi o fastidiosi. Ma da dove deriva esattamente l'espressione "attaccare bottone"? Questo modo di dire non ha un'origine chiara e definita: ci sono varie teorie interessanti che riguardano principalmente il mondo della sartoria e della medicina.
Una delle teorie più comuni sull'origine di questa espressione è legata proprio al mondo sartoriale. Si ipotizza infatti che "attaccare un bottone" derivi dalla pratica del sarto che, mentre prendeva le misure e cuciva un bottone sul cliente, spesso si intratteneva in chiacchiere per passare il tempo. Questo richiedeva al cliente di rimanere fermo e, inevitabilmente, ascoltare conversazioni a volte lunghe e noiose.
Altrettanto accreditata è la teoria secondo cui l’origine andrebbe ricercata nella medicina, in particolare alla pratica della cauterizzazione: un metodo utilizzato per bruciare tessuti a scopo curativo. Nella medicina antica, questo procedimento veniva effettuato con uno strumento chiamato "cauterio", la cui estremità aveva la forma di un bottone. Il riferimento al "bottone" è documentato già nel 1475 nella Pratica de citreria breve di Mathia Mercader, un testo di medicina veterinaria, dove l'estremità dello strumento viene appunto paragonata a un bottone, per questo noto anche come "bottone di fuoco", utilizzato per sigillare ferite o trattare lesioni, provocando spesso dolore intenso e fastidio, simile a quello di una conversazione prolungata e indesiderata.
L'estensione del significato "attaccare bottone" dalla possibile pratica medica a espressione figurata avvenne gradualmente, ma la prima documentazione di questo uso metaforico è molto successiva. Infatti, uno dei primi esempi risale agli scritti di Antonio Gramsci nel 1930, in cui "attaccare bottone" assume un senso più ampio, indicando un discorso insistente e noioso, che crea un disagio simile a quello provocato dal cauterio.