
La presunta scoperta di strutture sotto la piramide di Chefren a Giza, in Egitto, secondo cui si troverebbero 5 camere “segrete” e 8 “pozzi” cavi cilindrici fino a centinaia di metri di profondità, che noi di Geopop abbiamo commentato con una notevole dose di scetticismo, ha acceso un dibattito che va oltre la notizia in sé e solleva questioni culturali profonde legate al modo in cui procede la scienza e in cui si costruisce la conoscenza in ambito scientifico.
A nostro avviso il lavoro guidato da Corrado Malanga rappresenta un caso di studio che può aiutarci a capire come distinguere un'informazione validata scientificamente da un'affermazione da prendere con le pinze. Insomma, come scovare le red flag quando si parla di comunicazione pubblica della scienza, anche senza necessariamente entrare nel merito delle specifiche affermazioni dal punto di vista tecnico.
In linea di principio chiunque può indire una conferenza stampa in cui annuncia di aver raggiunto un risultato epocale o compiuto una scoperta sensazionale. Io, comune cittadino, come faccio a sapere che il contenuto di quella conferenza è valido oppure no? Del resto, non è detto che abbia le competenze o la preparazione per capire o valutare ciò che viene detto. La risposta è semplice: non devo fidarmi di chi annuncia la scoperta, ma del metodo che è stato usato per formalizzarla.
Da questo punto di vista, la scienza procede con un metodo standardizzato ben preciso. Gli scienziati non annunciano le loro scoperte o i loro risultati direttamente al pubblico: li comunicano invece alla comunità scientifica attraverso un paper scientifico, cioè un articolo tecnico che spiega nel dettaglio quale problema si sta affrontando e cosa si vuole trovare, quale metodo è stato utilizzato per la ricerca, quali sono i dati raccolti e come sono stati raccolti, analizzati e interpretati, per giungere infine a una conclusione. Questa struttura rende il lavoro di ricerca riproducibile da laboratori o ricercatori indipendenti, fattore questo di primaria importanza per la validazione di un qualunque articolo scientifico. Senza riproducibilità, infatti, saremmo costretti a fidarci sulla parola di chi annuncia una scoperta.
Una volta redatto, l'articolo viene sottomesso a una rivista scientifica di settore – che di fatto fa da filtro di qualità – e, se accettato, viene sottoposto al processo fondamentale della peer review (in italiano “revisione dei pari”), in cui il lavoro viene valutato criticamente in doppio cieco e in modo anonimo da altri scienziati esperti indipendenti. Se il lavoro supera la peer review, ricevendo quindi la validazione iniziale, l'articolo scientifico viene pubblicato dalla rivista che lo mette quindi a disposizione dell'intera comunità scientifica di riferimento.
Gli altri scienziati a questo punto giocano un ruolo cruciale di validazione ex post. Possono infatti studiare l'articolo, ripetere gli esperimenti o le procedure del caso, rianalizzare i dati con altri metodi e così via. Se qualcosa non torna prima o poi salta fuori, per esempio se la replica di un esperimento fornisce dati in contrasto con quelli pubblicati nel paper, o se altri metodi di analisi forniscono risultati diversi, o se ci sono falle metodologiche sfuggite ai revisori. Questo permette alla conoscenza scientifica di auto-correggersi in caso di errori, in modo da scartare le ipotesi che non reggono e premiare quelle che funzionano, cioè che spiegano i dati sperimentali o osservativi compatibilmente con la conoscienza scientifica già costruita e validata.
Questa procedura standard può sembrare rigida, e sicuramente non è priva di difetti, ma è il metodo migliore che abbiamo sviluppato per far progredire la conoscenza scientifica.
Quando andiamo al supermercato sappiamo che le mele che compriamo non ci avveleranno perché ci fidiamo delle rigide procedure seguite durante l'intera filiera produttiva, dalla raccolta del frutto fino alla vendita. Allo stesso modo, possiamo fidarci di un'informazione scientifica soltanto se vengono seguite le prassi che contraddistinguono l'ortodossia della comunicazione scientifica. Come ogni gioco che si rispetti, anche la scienza ha delle precise regole che bisogna seguire se si vuole giocare; non accettarle significa non partecipare al gioco, significa cioè che non si sta facendo scienza. Anzi, spesso e volentieri si alimenta la fabbrica della disinformazione e dei complottismi.
Questo spirito, a nostro avviso, manca completamente nell'approccio adottato da Malanga e colleghi rispetto alla presunta scoperta relativa alla piramide di Chefren. Gli studiosi non hanno pubblicato un paper tecnico, dunque non c'è stata peer review e la comunità scientifica non ha avuto modo di visionare i dati raccolti dal team, valutare la loro metodologia, replicare le analisi dei dati e mettere al vaglio la loro interpretazione dei dati. Hanno indetto una conferenza stampa e l'hanno diffusa direttamente al pubblico, mostrando dei risultati. Questi risultati possono essere veritieri oppure no, ottenuti con un metodo che può essere accurato oppure no: non possiamo saperlo finché il loro lavoro non verrà – eventualmente – validato e comprovato dalla comunità scientifica. Fino ad allora, il principio di precauzione ci impone di dubitare con un sano scetticismo le affermazioni e ritenerle, di fatto, non scientifiche fino a prova contraria.