
Nella Basilica di San Pietro, il geologo ungherese naturalizzato australiano Laszlo Toth vandalizzò con 15 martellate la Pietà di Michelangelo il 21 maggio 1972. La scultura, della dimensione di 1,74 m × 1,95 m × 69 cm è una meraviglia in marmo bianco di Carrara, realizzata da Michelangelo Buonarroti tra il 1497 e il 1499, e rappresenta Maria che tiene in grembo il Cristo morto, completamente abbandonato tra le sue braccia. Nell'atto vandalico, compiuto al grido di «Sono Gesù Cristo, risorto dalla morte», è stata distrutta principalmente la figura della Madonna, a cui venne completamente staccato un braccio. Toth, deceduto nel 2012, fu arrestato e dichiarato mentalmente infermo e successivamente rinchiuso in un istituto, ma non è mai stato accusato del crimine. L'opera è stata restaurata nel 1973: oggi è conservata dietro uno speciale pannello in vetro antiproiettile, installato nel 2024 in sostituzione a quello posizionato subito dopo il restauro.
La Pietà di Michelangelo vandalizzata: cosa è successo
Era domenica 21 maggio 1972, il giorno di Pentecoste 50 giorni dopo la Pasqua, quando alle 11.30 del mattino nella Basilica di San Pietro un uomo di 34 anni saltò la balaustra che proteggeva la scultura di marmo della Pietà di Michelangelo – che rappresenta Cristo morto in grembo a Maria – e la colpì ripetutamente con quindici martellate.
L’uomo era Laszlo Toth, geologo di origine ungherese residente in Australia e di stanza a Roma. Mentre distruggeva l’opera di Michelangelo, il geologo gridò in italiano una frase simile a “sono Gesù Cristo, sono risorto dalla morte”. Toth fu fermato inizialmente dall’americano Bob Cassilly, poi la Gendarmeria Pontificia lo portò via. L'uomo venne internato nel carcere Regina Coeli, dove a seguito di una perizia gli fu riconosciuta l’infermità mentale. Toth è stato poi trasferito in un istituto e rimpatriato in Australia.

Da una serie di indagini, emerse che l’uomo si era presentato in Vaticano l’anno precedente, chiedendo ripetutamente di parlare con l’allora Papa Paolo VI: era stato poi allontanato e segnalato come persona non desiderata. A quanto emerso, Toth si accanì sulla statua perché, essendo lui convinto di essere il Cristo Risorto, la Pietà non aveva di fatto ragione di esistere. Non fu mai incriminato poiché riconosciuto non sano di mente, e morì nel 2012. La storia di questa vicenda e del restauro è raccolta nel documentario Rai La Violenza e la Pietà, a cura di Brando Giordani.
I danni subiti dalla statua e il procedimento di restauro
Le quindici martellate sferrate da Toth non hanno toccato la figura del Cristo: a essere vandalizzata è stata principalmente la Madonna. Il braccio sinistro era completamente staccato all’altezza del gomito, il velo fratturato in diversi punti, il naso e l’occhio sinistro furono scheggiati. Il direttore dei Musei Vaticani dell'epoca, Deoclecio Redig de Campos, incaricò Cesare Brandi, direttore dell'Istituto Centrale del Restauro, di seguire i lavori di restauro. Grazie alla presenza dei calchi dell’opera, è stato possibile utilizzare i frammenti originali, ripristinati grazie a un impasto di marmo e colla.
De Campos si oppose fermamente a un restauro integrativo, che sarebbe stato secondo lui troppo invadente. A riguardo affermò:
La Pietà trae la sua forza espressiva in gran parte dalla purezza del marmo. È una statua così meravigliosamente rifinita che un semplice graffio sul viso disturba più della mancanza delle braccia sulla Venere di Milo.
Il delicatissimo intervento fu portato avanti da Vincenzo Federici e Nazzareno Gabrielli, del Gabinetto di ricerche scientifiche, Ulderico Grispigni, del Laboratorio restauro marmi, Francesco Dati, del Laboratorio ceramiche e bronzi e Giuseppe Morresi, del Laboratorio materie plastiche e riproduzioni artistiche.
Nel marzo 1973 la Pietà tornò al suo splendore, collocata dietro un vetro a 7 metri di distanza dai visitatori. Nel 2024 è stata ulteriormente messa in sicurezza con un diaframma antiproiettile, formato da 9 vetri millimetrici, che garantisce trasparenza e massima sicurezza.
