Con “effetto spettatore”, “apatia dello spettatore”, “effetto testimone” o in inglese “bystander effect” ci si riferisce a un fenomeno psicologico e sociale che avviene nel momento in cui una persona, pur assistendo e vedendo cosa succede, non offre nessun aiuto a una vittima se sono presenti altre persone.
Secondo alcuni studi il fenomeno è tanto esteso che maggiore è il numero degli “spettatori”, minore è la probabilità che qualcuno di loro aiuterà la vittima. Questo fenomeno è storicamente connesso all’omicidio di Catherine (detta Kitty) Genovese, una giovane donna di New York, che venne accoltellata vicino casa nel 1964. Secondo un articolo dell’epoca i vicini di casa assistettero all’omicidio sentendo le urla della donna, ma nessuno le prestò alcun soccorso. In questo articolo vediamo cosa dà vita a questo famoso effetto e se gli studi degli psicologi sanno dirci se statisticamente appartiene a molti.
I primi studi sull’effetto spettatore
Negli anni 50 lo psicologo Solomon Asch aveva già studiato la possibilità che in presenza di altre persone, potessero modificarsi le nostre azioni e percezioni su quanto ci circonda.
A seguito dell’omicidio di Kitty Genovese, però, molti psicologi decisero di approfondire nello specifico quanto era successo in quel caso per vedere se fosse possibile rintracciare uno schema di comportamento che si ripete sempre uguale o se il mancato aiuto nel caso dell’omicidio newyorkese fosse un caso pressoché isolato.
Così John Darley e Bibb Latané furono tra i primi (nel 1968) a testare in laboratorio questo effetto, tramite la riproduzione di una situazione in cui una donna era in pericolo e furono proprio loro a chiamarlo "effetto spettatore". I risultati che ottennero ci dicono moltissimo:
- il 70% dei soggetti che assistevano alla situazione da soli interveniva tramite urla o direttamente avvicinandosi alla donna;
- alla presenza di altri “spettatori” nella stanza solo il 40% dei soggetti interveniva.
Secondo i due studiosi esistono anche altre caratteristiche delle emergenze – oltre al numero di spettatori presenti – che incidono sul mancato intervento: se le emergenze implicano la minaccia di un danno, se sono insolite o rare, il tipo di azione richiesta, se l’emergenza fosse prevedibile o meno e quanto immediata debba essere la reazione.
Ecco quindi che come conseguenze di tutte queste considerazioni lo spettatore percepisce un grado di responsabilità piuttosto basso (sente che non sia suo dovere agire) e può pensare che ci siano altre persone più adatte di lui a intervenire. Il grado di responsabilità percepito, infatti, si basa su tre punti da prendere in considerazione:
– se la vittima è ritenuta meritevole di aiuto;
– se lo spettatore si sente in grado di aiutare;
– se esiste (e di che tipo è) un collegamento tra vittima e spettatore.
Nonostante questi studi si stessero diffondendo, il 25 dicembre del 1974 la venticinquenne Sandra Zahler fu percossa a morte in un appartamento dell’edificio affacciato proprio davanti alla scena del crimine di Kitty Genovese e nessuno intervenne.
Gli studi più recenti e il modello costo-ricompensa
Poiché il tema resta particolarmente caldo e continua a interessare i ricercatori nel campo della psicologia e della sociologia, uno studio del 2011 pubblicato dall'American Psychological Association, propone una lettura aggiornata del fenomeno, operando una serie di altri test.
I risultati suggeriscono che – in percentuale – siamo più portati ad agire se la situazione ci appare grave, se la persona coinvolta è danneggiata fisicamente e se gli autori sono presenti.
Questo schema relativo alla capacità di intervento risulta essere coerente con un modello diffuso che in ambito psicologico prende il nome di “arousal-cost-reward” ovvero dello “stimolo-costo-ricompensa”. Secondo questo modello quando ha luogo un'emergenza pericolosa la riconosciamo subito e siamo stimolati ad aiutare la persona coinvolta.
Maggiore è l’emergenza, maggiore sarà lo stimolo che sentiremo ad agire. Chiaramente c’è un costo nell’agire – come le possibili lesioni o la semplice perdita di tempo -, ma anche una ricompensa come il ricevere lodi, gratitudine e aumentare la propria autostima.
Nello studio del 2011 gli psicologi hanno anche identificato alcune situazioni specifiche in cui chi assiste all’emergenza va a supporto del soggetto che decide di aiutare la vittima. Questo, nel loro esperimento, è accaduto quando gli spettatori erano esclusivamente di sesso maschile, quando gli spettatori non erano da subito consapevoli del pericolo (dunque erano più “ingenui” che “passivi” nei momenti di mancato intervento), quando si trattava di persone solo virtualmente presenti e quando il gruppo degli spettatori non era composto da estranei.