
Un gruppo di biologi del dipartimento di Harvard ha amputato un arto a un axolotl, la salamandra messicana capace di rigenerare perfettamente zampe, coda, cuore e perfino parti del cervello, ma quello che ha scoperto ha spostato più in là i confini di ciò che si pensava possibile. Nel nuovo studio pubblicato su Cell proprio quest'anno, il team di Jessica Whited ha mostrato che la rigenerazione non è un fenomeno confinato al punto della ferita, ma un processo che coinvolge l’intero organismo. Dopo l’amputazione, nel corpo dell’axolotl si attiva una risposta sistemica guidata dal sistema nervoso simpatico, in particolare di adrenalina e noradrenalina: un’ondata di segnali adrenergici che raggiunge anche tessuti lontani, risvegliando cellule staminali dormienti e predisponendole alla crescita.
Questa scoperta apre una prospettiva più ampia: la capacità di ricostruire parti del corpo, infatti, non è un’eccezione isolata della salamandra, ma fa parte di un linguaggio biologico condiviso, che molte specie hanno conservato in forme diverse. Dalle salamandre alle blatte, dai grilli alle lucertole fino ai piccoli mammiferi, la rigenerazione segue un principio comune: dopo una ferita, il corpo non si limita a chiudere la lesione, ma riattiva programmi di sviluppo antico, guidati da molecole e segnali nervosi che riorganizzano la crescita. In alcuni casi, come negli insetti, il processo accompagna la muta; in altri, come nei pesci o nei topi, interessa solo porzioni limitate del corpo. Comprendere come questi meccanismi si sono conservati — o si sono attenuati — nel corso dell’evoluzione potrebbe un giorno avvicinare l'uomo e la medicina rigenerativa a ciò che per salamandre e insetti resta un gesto spontaneo: ricominciare da capo.
Come fa l’axolotl a rigenerare gli arti: lo studio di Harvard
Il principio alla base di questo fenomeno è noto come epimorfosi: un processo in cui, dopo la chiusura della ferita, si forma il blastema, un gruppo di cellule che torna a uno stato embrionale per poi differenziarsi nei nuovi tessuti.
In questo processo entra in gioco un dialogo tra nervi e cellule, chiamato asse adrenergico–mTOR: una sorta di circuito di comunicazione che spinge le cellule a dividersi più in fretta. La ricerca ha scoperto il ruolo fondamentale del sistema simpatico e della noradrenalina nell'attivare i processi di rigenerazione: grazie a questo segnale, l’axolotl ricostruisce il nuovo arto circa il 20% più rapidamente rispetto agli animali "naïve" che non avevano mai subito ferite. L’esperimento ha mostrato che, a 14 giorni dall’amputazione, il blastema – la massa di cellule indifferenziate che dà origine alla nuova zampa – era significativamente più grande negli animali “attivati” (n=15 per gruppo). Intorno al sedicesimo giorno, un numero maggiore di individui mostrava la formazione completa delle dita e una rigenerazione quasi simmetrica. La scoperta suggerisce che la capacità di ricostruire parti del corpo non dipende solo dal tessuto ferito, ma anche da una preparazione generale dell’organismo, una sorta di “memoria rigenerativa” utile in ambienti dove le ferite sono frequenti, come accade in natura per le salamandre soggette a predazione o cannibalismo.
Come ricordano Davidian e Levin nel 2022 in Cold Spring Harbor Perspectives in Biology, le salamandre sono i vertebrati più efficienti in questo tipo di rigenerazione. Nel giro di poche ore (meno di 12 h) il moncherino viene ricoperto da un epitelio provvisorio, l’apical epithelial cap, che funge da centro di segnalazione. Da quella zona si diffondono proteine che agiscono come messaggeri chimici. Alcuni dei fattori coinvolti sono: FGF8, che stimola la moltiplicazione delle cellule e l’allungamento del nuovo arto, BMP che regola la formazione dell’osso e dei tessuti di sostegno, e il fattore chiamato Sonic Hedgehog (shh) che orienta la crescita, assicurando che la zampa rigenerata abbia la giusta forma e simmetria. Sono proprio queste proteine a coordinare la formazione ordinata dei nuovi tessuti — dal muscolo all’osso, fino ai nervi e alla pelle. Altri anfibi, come le rane, riescono a rigenerare arti solo nelle prime fasi della vita: dopo la metamorfosi questa capacità diminuisce progressivamente, fino a scomparire con la maturità. È un segno di quanto la rigenerazione, pur condividendo meccanismi con lo sviluppo embrionale, sia sensibile all’età e all’ambiente.
Salamandre messicane e rigenerazione degli arti: una capacità antica
La rigenerazione non è una dote concessa a tutti gli esseri viventi, e nemmeno sempre conveniente. Come hanno osservato Elchaninov e colleghi nel 2021 in uno studio pubblicato su Frontiers in Ecology and Evolution, questa facoltà tende a ridursi man mano che gli organismi diventano più complessi. Con l’evoluzione di strutture anatomiche elaborate e di un sistema immunitario efficiente, molte specie hanno perso la possibilità di ricostruire parti del corpo.
Non è un’idea nuova: già nell’Ottocento August Weismann aveva intuito che rigenerare un arto non è sempre la scelta più vantaggiosa dal punto di vista evolutivo. Per alcune specie è più semplice – e meno costoso – riprodursi di frequente o imparare a evitare i predatori, piuttosto che investire energie in un processo lungo e dispendioso come la ricrescita.
Anche quando la rigenerazione riesce, comporta un prezzo. Lo ricorda Maginnis nel 2006 su Behavioral Ecology: la produzione di nuovi tessuti consuma risorse che altrimenti andrebbero alla crescita o alla riproduzione. Nei granchi, per esempio, la ricostruzione di una chela può rallentare lo sviluppo, mentre nei pesci la formazione di una nuova pinna riduce temporaneamente la fertilità. In natura, niente è davvero “gratis”: nemmeno il potere di rigenerarsi.
Mammiferi e umani: un’eco lontana
Nei mammiferi la rigenerazione è quasi del tutto scomparsa, ma qualche traccia resta. In uno studio pubblicato nel 2022 su Cold Spring Harbor Perspectives in Biology da Johnson e Lehoczky, si evidenza che topi e bambini, in particolari condizioni, riescono a rigenerare la punta delle dita. È una zona complessa: contiene osso, nervi, tessuto connettivo e matrice dell’unghia.

Nel topo il processo è sorprendentemente preciso. Se l’amputazione è limitata all’estremità, in circa una settimana si forma un piccolo blastema, una massa di cellule che ricostruisce la parte mancante. Il tempo medio è tra 7 e 10 giorni, e la rigenerazione è completa solo se il taglio non supera una certa altezza del dito.
Anche nei bambini umani, alcuni casi documentati mostrano una ricrescita spontanea del polpastrello, mentre negli adulti la capacità si limita ai tessuti più superficiali. Il parallelismo tra il dito del topo e quello umano è oggi uno dei modelli più studiati: capire come queste cellule “ricordano” la forma originaria potrebbe un giorno aprire la strada alla vera medicina rigenerativa.
Insetti e altri invertebrati e la loro naturale "ricrescita"
Gli insetti hanno fornito alcuni dei modelli più precisi per capire come si forma un arto nuovo. Studi recenti, come quello di Zhong del 2023 e di Pandita del 2024, descrivono nei dettagli la rigenerazione in specie come la blatta americana (Periplaneta americana) e il grillo (Gryllus bimaculatus), mentre nella mosca Drosophila melanogaster il fenomeno si osserva solo negli stadi larvali.

Il processo si articola in tre fasi: guarigione della ferita, formazione del blastema e morfogenesi. Nella prima, i muscoli si contraggono per chiudere il moncherino e si forma una crosta di emolinfa. Subito sotto, cellule epidermiche si dedifferenziano (cioè perdono la loro specializzazione come cellule epidermiche) e iniziano a proliferare, dando origine al blastema. Nella fase successiva, dei geni orchestrano la crescita e la simmetria dell’arto, mentre meccanismi epigenetici controllano quali geni restano attivi o silenziati.
Negli insetti, invece, la rigenerazione è legata ai cicli di muta: senza un nuovo esoscheletro, l’arto non può svilupparsi. Dopo ogni muta, l’appendice si allunga e, in poche settimane, torna alle dimensioni originarie. È un esempio perfetto di come la rigenerazione possa essere integrata nei ritmi fisiologici dell’organismo.