
La raccolta dei rifiuti genera ancora tanta confusione tra le persone. Dopo le direttive sui prodotti monouso in bioplastica, stiamo ancora imparando a convivere con alcuni termini che troviamo scritti su piatti, posate, bicchieri, contenitori di alimenti e non solo. Tra tutti, quelli su cui si fa più confusione sono biodegradabile e compostabile. Sebbene i termini indichino due cose molto simili, la confusione tra i due può farci cadere in qualche errore nella nostra raccolta differenziata. Infatti spesso ci chiediamo: "Ma dove si buttano questi bicchieri di plastica biodegradabile?". Vediamo quindi quale è la differenza, che risiede principalmente nel tempo e nella modalità che impiegano questi materiali per decomporsi.
Cosa sono i materiali biodegradabili
Un materiale biodegradabile può degradarsi in modo naturale grazie all’azione enzimatica di microorganismi (come i batteri ad esempio) che scindono il materiale in sostanze semplici come anidride carbonica, acqua e metano, senza rilasciare sostanze inquinanti durante il processo.
La definizione di biodegradabile riportata dall'Agenzia Europea dell'Ambiente è la seguente:
In grado di decomporsi rapidamente tramite microrganismi in condizioni naturali (aerobiche e/o anaerobiche). La maggior parte dei materiali organici, come gli scarti alimentari e la carta, sono biodegradabili.

I materiali biodegradabili subiscono un processo che può essere immaginato come quello che avviene nel nostro stomaco: vengono "digeriti". Nel nostro stomaco a trasformare il cibo sono i succhi gastrici; nel caso dei materiali biodegradabili sono batteri e funghi, in aggiunta all'azione della luce solare o altri agenti fisici naturali. Tutte queste cose insieme trasformano la materia organica ad una certa temperatura e in certe condizioni, fino ad ottenere composti inorganici semplici come anidride carbonica e acqua, non ulteriormente scindibili.
Il fatto che questo avvenga in maniera naturale non vuol dire che sia semplice. Il processo può richiedere dei tempi lunghi – in genere almeno 6 mesi – e questo dipende molto dalle caratteristiche della materia prima e dell'ambiente in cui avviene la degradazione, per cui non è facile stimare dei tempi precisi.
Proprio perché si tratta di un processo complesso che dipende non solo dal materiale ma anche dalle condizioni in cui esso si trova, la biodegradabilità di un materiale non è una caratteristica che viene effettivamente certificata. Per questo quando leggiamo su un prodotto la dicitura “biodegradabile” (ma non compostabile) è probabile che si tratti di una scelta di marketing.
Cosa sono i materiali compostabili
Un materiale compostabile, invece, può essere smaltito nei rifiuti organici perché è in grado di trasformarsi insieme a questi ultimi in compost, attraverso il processo di compostaggio. Il compostaggio è un processo di decomposizione di una sostanza organica che avviene in condizioni controllate. Alla fine del processo si ottiene il compost, una sostanza composta per lo più da humus e microrganismi attivi.
Questo prodotto viene utilizzato come concime naturale nel settore agricolo e ha un aspetto simile al terriccio. Per diventare così attraversa diversi processi come triturazione e fermentazione in condizioni di aerazione forzata e di specifiche temperature e umidità: il compostaggio, appunto.
La definizione di compostaggio riportata dall'Agenzia Europea dell'Ambiente è la seguente:
La decomposizione biologica controllata di materiale organico in presenza di aria per formare un materiale simile all'humus. I metodi controllati di compostaggio includono la miscelazione e l'aerazione meccanica, la ventilazione dei materiali facendoli cadere attraverso una serie verticale di camere aerate o il posizionamento del compost in cumuli all'aria aperta e la miscelazione o la rotazione periodica.

La normativa europea UNI EN 13432 del 2002 stabilisce quali sono i requisiti per cui un imballaggio può essere definito compostabile:
- Deve degradarsi almeno del 90% in un periodo di 6 mesi se sottoposto ad un ambiente ricco di anidride carbonica;
- Se a contatto con materiali organici per un periodo di 3 mesi, la massa del materiale deve essere costituita almeno per il 90% da frammenti di dimensioni inferiori a 2 mm;
- Il materiale non deve avere effetti negativi sul processo di compostaggio;
- Il materiale deve avere una bassa concentrazione dei metalli pesanti additivati;
- I valori di pH, contenuto salino, concentrazione di solidi volatili e di azoto, fosforo, magnesio e potassio devono rientrare entro i limiti stabiliti.
Un esempio di materiale compostabile è la plastica PLA, un biopolimero prodotto spesso a partire dall’amido di mais, oppure il Mater-Bi, biopolimero vegetale. Anche la polpa di cellulosa è un materiale di origine vegetale ed è compostabile, usato da solo o in combinazione con altre bioplastiche.
La differenza tra biodegradabile e compostabile
Un materiale compostabile è anche biodegradabile, ma non vale il contrario! Di conseguenza se un prodotto è compostabile solitamente viene smaltito nella raccolta dell’umido (seguire sempre le indicazioni del proprio comune), se invece è biodegradabile dobbiamo leggere sull’etichetta le indicazioni per smaltirlo correttamente! Insomma l'unica circostanza in cui possiamo conferire un rifiuto nell'umido è nel caso in cui riporti la scritta "compostabile" e questa è una cosa che può avvenire non solo con le bioplastiche ma anche gli imballaggi in carta, in cellulosa o misti!
Un errore classico in cui possiamo incorrere riguarda anche l'utilizzo dei sacchetti per la raccolta dell’umido: non bisogna usare i sacchetti biodegradabili, ma quelli compostabili! Tranquilli, dal 2018 i sacchetti del supermercato e del reparto ortofrutta sono sia biodegradabili che compostabili, sempre per la legge UNI EN 13432. Per quelli che acquistiamo invece, è importante che i prodotti (o la loro confezione) abbiano la dicitura “compostabile”, perché questa è l’unica proprietà che può essere certificata.