
Le bioplastiche comprendono un'intera famiglia di materiali con diverse proprietà e applicazioni. Secondo l'European Bioplastics, un materiale è definito bioplastica se ha una almeno parzialmente una base organica, se è biodegradabile o se presenta entrambe le proprietà. Sono bioplastiche ad esempio quelle ottenute a partire da da zuccheri estratti da mais, canna da zucchero o cellulosa. Il prefisso "bio" nel nome indica quindi la loro origine organica, ma non significa che questi materiali si degraderanno facilmente se dispersi nell'ambiente. A confermarlo è uno studio condotto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) pubblicato sulla rivista Polymers, realizzato in collaborazione con l'INGV e il distretto ligure per le tecnologie marine. I risultati di questa ricerca hanno dimostrato che, se disperse nell'ambiente anziché conferiti nel compost industriale, le plastiche biodegradabili possono avere tempi di degradazione molto lunghi, paragonabili a quelli delle plastiche "non bio".
Lo studio del CNR sulle bioplastiche
Per capire i differenti tempi di degradazione lo studio ha analizzato due tra i polimeri più utilizzati nella costruzione di oggetti di uso comune (HDPE e PP) e due polimeri di plastica biodegradabile (PLA e PBAT). I campioni di entrambe le categorie – "bio" e "non bio" – sono stati inseriti in apposite gabbie disposte sia nella sabbia che in ambiente marino e lasciati lì a riposare per 6 mesi – tempo entro il quale le bioplastiche all'interno degli impianti di compostaggio industriale sono in grado di degradarsi.
L'esperimento è stato realizzato nella Baia di Santa Teresa nel Golfo della Spezia, grazie alla piattaforma di monitoraggio ambientale denominata "Stazione Costiera del Lab Mare", posta a circa 10 metri di profondità.

I risultati del test in mare e nella sabbia
Terminati i 6 mesi i campioni sono stati raccolti e analizzati tramite tecniche di laboratorio che comprendono analisi chimiche, spettroscopiche e termiche. I risultati evidenziano come i pellet di bioplastiche in natura abbiano tempi di degradazione molto più lunghi rispetto a quelli che si hanno in un impianto di compostaggio industriale. In altre parole, tra plastiche e bioplastiche esposte all'ambiente, la differenza nel tempo di degradazione è minima.

A tal proposito, queste le parole della ricercatrice nonché coordinatrice del progetto Silvia Merlino:
Data l’altissima diffusione di questi materiali, è importante essere consapevoli dei rischi ambientali che l’utilizzo della bioplastica pone, se dispersa o non opportunamente conferita per lo smaltimento: è necessario informare correttamente.
Al momento sono in corso anche ulteriori studi in questo campo che nei prossimi mesi prevedono di testare la degradazione della bioplastica in mare a profondità maggiori (attorno ai 400 metri) e in presenza di sostanza chimiche (es. pesticidi).