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Tra corpi, macerie e città rase al suolo, anche musei, quadri e statue vengono prese di mira e danneggiate nel silenzio generale delle guerre. Proprio per questo motivo dal 1954 la Convenzione dell’Aia (il primo trattato internazionale che ha come scopo proteggere i beni culturali durante i conflitti bellici) ha iniziato ad apporre sui siti d'interesse storico e artistico un simbolo internazionale, lo Scudo Blu (Blue Shield), che li identifica come "beni culturali da proteggere" dai conflitti, e che assicura che siano salvaguardati dalle devastazioni della guerra per preservare i patrimoni artistici delle civiltà che li hanno realizzati.
Colpire l'arte è un crimine contro l’umanità
Nel secondo dopoguerra, dopo la Seconda guerra mondiale, tra le rovine d’Europa, qualcosa divenne chiaro: distruggere l’arte di un popolo significava reciderne le radici. Per questo nacque la Convenzione dell’Aia del 1954, il primo trattato internazionale pensato per proteggere i beni culturali durante i conflitti, un patto storico che si propose di creare inventari dei beni culturali, metterli al sicuro prima che fosse troppo tardi, e identificare una serie di luoghi da non colpire con un emblema speciale, il celebre "Blue Shield" ("Scudo Blu"). Il trattato, quindi, attesta che i beni culturali non appartengono solo al Paese in cui si trovano, ma sono patrimonio dell’intera umanità. Quando la Biblioteca di Sarajevo è finita fra le fiamme (bombardata nel 1992 dall'esercito serbo bosniaco), o quando è stato fatto esplodere un tempio a Palmira (ad opera dell'Isis nell'agosto 2015), quindi, è stata l'umanità intera a perderci.
Lo Scudo Blu funziona un po' come una croce rossa per l’arte e, sebbene non sia sempre bastato a fermare le bombe, ha rappresentato, e rappresenta ancora, un impegno visibile, concreto, verso la memoria collettiva.
In Italia, moltissimi edifici storici sono stati contrassegnati con lo Scudo Blu, a partire da Firenze, dove nel 2019 furono apposti simboli su tesori come la Biblioteca Nazionale e gli Uffizi. Per citare altri beni storici famosi, anche il Duomo di Milano, il Colosseo e la Reggia di Caserta sono stati segnalati come beni da tutelare in caso di conflitto. All’estero, lo Scudo Blu è apparso su monumenti e siti archeologici minacciati dai conflitti, come le rovine di Palmira in Siria prima della distruzione da parte dell’ISIS, o su alcuni edifici storici in Ucraina, tra cui la Cattedrale di Santa Sofia a Kiev.
Il trattato sancisce chiaramente come distruggere o saccheggiare questi beni storici o di culto costituisca un crimine di guerra. A rafforzare questa sentenza c'è anche l'articolo 8 dello Statuto di Roma del 17 luglio 1998, che regola l’operato della Corte Penale Internazionale, che ha giurisdizione di perseguire i crimini di guerra. Tra i casi più noti del suo operato, c'è quello accaduto nel 2016, quando per la prima volta un uomo fu condannato all’Aia per aver distrutto dei mausolei. Si chiamava Ahmad al-Faqi al-Mahdi ed era uno jihadista del Mali che aveva raso al suolo antichi monumenti di Timbuktu, città-mito del sapere islamico. La condanna fu storica: la giustizia internazionale riconobbe ufficialmente che distruggere il patrimonio culturale equivale a colpire l’identità e la dignità di interi popoli.
Ucraina: la guerra contro la memoria
Il conflitto russo-ucraino ancora in corso ha colpito duramente il patrimonio culturale, soprattutto ucraino. Il Consiglio d’Europa ha dichiarato la distruzione sistematica di chiese, musei, teatri da parte delle forze russe non è altro che un tentativo di eliminare l’identità stessa dell’Ucraina ben al di là dei confini geografici. Dal febbraio 2022, più di mille siti culturali sono stati danneggiati o completamente distrutti. L’UNESCO ne ha verificati almeno 450: chiese ortodosse con secoli di storia, musei locali, biblioteche, monumenti, perfino archivi. Alcuni simboli di questa devastazione sono diventati virali: il Teatro di Mariupol, ridotto in polvere durante il conflitto russo ucraino, o i 25 dipinti della pittrice Maria Primachenko, simbolo del folclore ucraino, bruciati nell’incendio del museo di Ivankiv. Non sono solo “opere”, ma vere e proprie radici culturali, e reciderle vuol dire lasciare una nazione in balia dell’oblio.


Non tutto però è perduto, però. L’UNESCO ha messo in campo una vera e propria “resistenza culturale”: analizza le immagini satellitari per mappare i danni, invia materiali per la protezione dei musei, crea task force internazionali. Anche l’Italia ha fatto la sua parte con i “Caschi Blu della Cultura”, esperti e carabinieri specializzati che collaborano con Kiev per mettere in sicurezza le opere e si sono impegnati proprio nella ricostruzione del Teatro di Mariupol.
Perché tutto questo ci riguarda
Perdere un sito archeologico, una cupola bizantina, un mosaico medievale significa spezzare un filo invisibile che ci lega a chi ci ha preceduti. Ecco perché la protezione del patrimonio culturale non è un lusso per intellettuali, ma una necessità collettiva. L’arte, dopotutto, è la prova che siamo capaci di creare bellezza anche quando tutto attorno crolla, ed è anche la promessa di non dimenticare chi è stato sulla Terra prima di noi.