In altri articoli dedicati al mondo dell’energia nucleare abbiamo parlato dei rifiuti radioattivi e di quanti ne vengono prodotti dalla filiera nucleare nel mondo. Ma in Italia la situazione qual è?
L’ex-programma nucleare italiano
In Italia sono state attive quattro centrali nucleari, tre delle quali erano reattori di prima generazione che hanno operato per più di vent’anni: la centrale di Latina era un reattore a gas-grafite da 220 MW di potenza elettrica, la centrale del Garigliano (a Sessa Aurunca, provincia di Caserta) era un reattore ad acqua bollente da 240 MW elettrici e infine la centrale di Trino Vercellese montava un reattore ad acqua pressurizzata da 260 MW elettrici – oggi questi numeri sembrano molto piccoli, ma all’epoca erano cifre importanti: per due anni il reattore di Trino fu il più potente al mondo, e l’Italia la terza potenza nucleare mondiale dietro a USA e Regno Unito (davanti alla Francia e persino all’Unione Sovietica). Il quarto reattore nucleare italiano entrò invece in funzione nell’82, a Caorso: si trattava di un reattore ad acqua bollente da 860 MW di potenza, e operò appena per cinque anni. Nel 1987 infatti l’Italia decise di chiudere il suo programma nucleare in seguito al risultato di un referendum (la decisione, comunque, non era dovuta ai quesiti referendari, ma fu presa dai politici in seguito al trend d’opinione che il voto aveva reso chiaro); la quinta centrale nucleare italiana, Montalto di Castro, in quel momento era in fase di completamento (85% dei lavori già svolti) e venne riconvertita in una centrale a olio combustibile. Dal 1987 ad oggi lo smantellamento degli ex-impianti nucleari è andato molto a rilento, e siamo ancora lontani dal completamento, complice il fatto che non disponiamo di un luogo definitivo dove sistemare i rifiuti radioattivi che si andrebbero a produrre.
Il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi
Per gestire i materiali di scarto provenienti dallo smantellamento delle ex-centrali, ma anche dagli ospedali, da alcune industrie e dalle attività di ricerca, occorre che l’Italia si doti di un deposito dove questi rifiuti possano essere collocati in via definitiva e custoditi in sicurezza. Il progetto del deposito nazionale è stato affidato a SOGIN (Società Gestione Impianti Nucleari), azienda di Stato creata proprio con lo scopo di gestire lo smantellamento delle ex-centrali nucleari italiane. Il deposito nazionale italiano è stato progettato secondo i più rigidi standard di sicurezza dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica, ed è pensato per contenere tutti i rifiuti radioattivi che l’Italia ha prodotto fino ad ora e tutti quelli che produrrà per diversi decenni a venire. Ad oggi l’Italia è tra i pochi paesi europei che ancora non ha approntato un deposito per i propri rifiuti radioattivi: persino molte nazioni che non hanno mai fatto uso di energia nucleare (ad esempio la Norvegia, la Lettonia e la Bulgaria) si sono dotate di strutture analoghe.
Quanta spazzatura radioattiva deve gestire l’Italia?
Le quattro centrali elettronucleari italiane hanno prodotto, negli anni, un totale di 400 metri cubi di scorie – equivalenti ad un cubo di 6,5 metri di spigolo. Questi rifiuti nucleari di alto livello sono stati inviati in Francia e nel Regno Unito per essere riprocessati, e al momento si trovano presso il centro di Sellafield (UK). Lo smantellamento delle strutture, che idealmente dovrebbe riportare i siti allo stato di “green field” (prato verde), produrrà invece circa 50.000 tonnellate di rifiuti radioattivi di basso e medio livello – alcuni dei quali sono già stati prodotti e si trovano in strutture di stoccaggio provvisorie. A questi rifiuti vanno poi aggiunti quelli prodotti dal settore medico e industriale, che consistono in circa 28.000 metri cubi di rifiuti a bassa attività e 17.000 metri cubi di rifiuti ad attività intermedia: questi numeri includono i rifiuti esistenti, anch’essi attualmente collocati in strutture provvisorie, e quelli che l’Italia produrrà da qui al 2070.
Come verranno stoccati i rifiuti radioattivi e per quanto tempo?
Il Deposito Nazionale è pensato per ospitare tutti i 78.000 metri cubi di rifiuti radioattivi di livello basso e medio-basso per 300 anni, tempo oltre il quale la radioattività sarà diventata trascurabile. Questi rifiuti vengono inglobati in una matrice cementizia all’interno di un contenitore, generalmente di forma cilindrica, chiamato “manufatto” (sì, sono i barili gialli). Il manufatto viene poi inserito in una struttura in calcestruzzo armato chiamata “modulo”, all’interno di una matrice di malta; i moduli a loro volta vengono collocati all’interno di una “cella”, sempre in calcestruzzo armato, che costituisce una terza barriera. Le 90 celle che costituiranno il Deposito Nazionale saranno poi ricoperte da una collina artificiale multi-strato: questa verrà realizzata con diversi materiali che hanno lo scopo di impermeabilizzare la struttura e drenare le acque piovane. La collina multistrato ha anche lo scopo di migliorare l’impatto visivo del tutto, visto che sarà ricoperta di erba.
Nel deposito nazionale inoltre troveranno posto anche i 17.000 metri cubi di rifiuti ad attività medio-alta e alta, inclusi i 400 metri cubi di scorie nucleari attualmente in Inghilterra, che prima o poi dovranno tornare in Italia (anche perché non è propriamente gratis pagare gli altri per ospitarli provvisoriamente): questi rifiuti non saranno contenuti nei manufatti, bensì in canister speciali di massima sicurezza, alti circa tre metri e costruiti per resistere a inondazioni, esplosioni, incendi e terremoti. Questi contenitori resteranno nel deposito nazionale fino a quando non verrà costruito un deposito geologico dove smaltirli definitivamente – vista la ridotta quantità di materiale che richiede uno stoccaggio geologico, è probabile che nei prossimi anni si andrà verso la costruzione di un deposito di profondità unico europeo.
A che punto siamo?
Sebbene il progetto di Deposito Nazionale sia già pronto da parecchio tempo, l’individuazione del sito ha creato e sta creando diversi problemi politici, principalmente a causa della refrattarietà delle amministrazioni locali ad ospitare nel proprio comune una struttura del genere. La Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI) è stata presentata da SOGIN nel 2015, ma è stata tenuta secretata fino al gennaio 2021, per evitare conflitti istituzionali. Nel 2021 si sono tenute le consultazioni con gli enti locali, al termine delle quali è iniziata la stesura della CNAI (Carta Nazionale delle Aree Idonee), che è tutt’ora in corso. Dalla CNAI si procederà poi verso la scelta del sito, con l’obiettivo di iniziare la costruzione del deposito entro il 2025 (termine entro il quale scatta la procedura di infrazione europea).
Non solo spazzatura…
Sebbene l’idea di convivere con un deposito di rifiuti radioattivi sia indubbiamente poco attraente per molti, il deposito nazionale è in realtà una struttura tecnologica di alto profilo, assieme alla quale peraltro verrà costruito un parco tecnologico comprendente un laboratorio di ricerca, un laboratorio ambientale e una scuola di formazione del personale. Il centro di ricerca non effettuerà solamente studi sullo smantellamento delle installazioni nucleari e sulla gestione dei rifiuti radioattivi, ma anche su possibili impieghi alternativi degli stessi: può capitare infatti che alcuni radionuclidi presenti nei sottoprodotti dell’industria nucleare possano trovare nuova vita in ambito medico (accade ad esempio con lo Iodio 131, prodotto di scarto della fissione impiegato nella cura dell’ipotiroidismo) o in altri settori (vi sono ad esempio studi su un possibile impiego del Carbonio 14 nella costruzione di batterie beta-voltaiche). Il deposito nazionale sarà dunque anche un centro di eccellenza per la ricerca scientifica che porterà posti di lavoro di alto livello, oltre ad una serie di incentivi previsti per il comune che decidesse di ospitarlo.
Per approfondire l'argomento trovate di seguito la nostra intervista al direttore del Deposito Nazionale SOGIN.