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20 Ottobre 2025
19:30

Chi è più sensibile al dolore tra uomo e donna: gli studi mostrano una diversa percezione nei due sessi

Le differenze nel modo in cui uomini e donne percepiscono il dolore derivano da un intreccio di biologia, cervello e cultura. Ormoni come testosterone, estrogeni e prolattina modulano la sensibilità dei recettori del dolore, che rispondono in modo diverso nei due sessi. Il cervello si attiva in aree differenti e la società influenza quanto e come il dolore viene espresso.

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Chi è più sensibile al dolore tra uomo e donna: gli studi mostrano una diversa percezione nei due sessi
dolore uomo donna cervello

Le donne, in media, hanno soglie di sensibilità più basse rispetto agli uomini. Le ricerche scientifiche evidenziano che le donne tendono a percepire il dolore in modo più intenso, e a manifestarlo con maggiore frequenza. Esperimenti che hanno indotto dolore tramite pressione, calore, stimoli elettrici o soluzioni saline ipertoniche confermano che, in generale, le donne presentano sono più sensibili a molteplici modalità di dolore rispetto agli uomini, ma che a lungo andare, elaborare emotivamente e socializzare il dolore (come in genere fanno le donne), può portare a una maggiore accettazione. Non bisogna poi dimenticare i fattori sociali e culturali che influenzano l'espressione e la percezione del dolore, oltre a fattori individuali legati al vissuto di ciascuno di noi.

Il ruolo delle differenze ormonali nella percezione del dolore

Una delle prime spiegazioni biologiche chiamate in causa riguarda gli ormoni sessuali. Il testosterone, più abbondante maschi, sembra avere un effetto analgesico, mentre gli estrogeni e il progesterone, principali ormoni sessuali femminili, hanno un rapporto più complesso con il dolore: possono infatti esercitare diversi effetti sui nostri nocicettori (i recettori del dolore sparsi nel nostro corpo) sia pro-nocicettivi (aumento del dolore) sia anti-nocicettivi (che lo riducono).

Le fluttuazioni ormonali durante il ciclo mestruale incidono significativamente sulla percezione femminile del dolore: per esempio, nella fase follicolare, quando i livelli di progesterone sono più bassi, la soglia di tolleranza tende ad aumentare. Un altro ormone chiave è la prolattina, prodotta dall'ipofisi: uno studio del 2024 pubblicato su Brain mostra come questo ormone sensibilizzi selettivamente i nocicettori femminili, abbassando la loro soglia di attivazione, rendendo quindi i recettori più sensibili. Nei maschi l'effetto della prolattina non si verifica, ma un ruolo analogo è esercitato dall'orexina-B, che si dimostra essere selettivo nei maschi, così come la prolattina lo è nelle femmine.

Si attivano aree diverse del cervello in maschi e femmine

Anche le indagini di neuroimaging hanno offerto spunti interessanti, raccontandoci di cervelli che si "accendono" in risposta al dolore in aree diverse in uomini e donne. Quando avvertono dolore, le donne mostrano una maggiore attivazione in aree cerebrali legate alle emozioni e alla sensorialità, come l’insula e il talamo. Gli uomini, al contrario, sembrano coinvolgere più frequentemente i circuiti di controllo, in particolare regioni della corteccia prefrontale. Questo fa pensare a due strategie differenti, una più improntata a "sentire" il dolore forse per avere più chiarezza dell'entità del pericolo, l'altra più direzionata a "controllare", per reagire prima a discapito di una consapevolezza, che nell'uomo passa in secondo piano.

immagini dal cervello
Dati di neuroimaging riportano che stimoli dolorosi attivano aree cerebrali diverse nei maschi e nelle femmine

Il corpo maschile allevia "meglio" il dolore, ma le femmine resistono più a lungo

Anche il sistema oppioide endogeno degli esseri umani, cioè il meccanismo naturale del corpo per alleviare il dolore, funziona diversamente tra maschi e femmine, in particolar modo per quanto riguarda il dolore prolungato nel tempo. I recettori che si occupano di questo tipo di dolore, chiamati recettori μ-oppioidi, hanno un livello di attivazione più alto negli uomini e più basso nelle donne: cioè si attivano con stimoli più forti, dopo quelli femminili. Tutto ciò si traduce in un più basso alleviamento del dolore nelle donne. Dall'altra faccia della medaglia, però, emerge che le donne resistono meglio nel tempo, pur avvertendo più dolore: la risposta cognitiva ed emotiva tipica del sesso femminile sembra portare ad una maggiore accettazione ed elaborazione. Questo forse spiega il solito siparietto degli uomini morenti quando raggiungono i 37° C di temperatura corporea, al contrario della donna che tira dritto fino ai 40 °C? Chi può dirlo.

Il ruolo di psiche e cultura nella diversa percezione del dolore tra i generi

Anche i fattori psicologici incidono in maniera rilevante. Uomini e donne, infatti, vivono in maniera diversa l’ansia e la paura legate al dolore. Le donne tendono a sviluppare una maggiore ipervigilanza, ovvero una costante attenzione alle situazioni percepite come minacciose, che contribuisce a incrementare la loro sensibilità dolorifica, quindi un generico livello più alto di ansia legata al dolore.

Sorprendentemente, la cultura influenza non solo l’espressione del dolore, ma anche la sua percezione. È noto che per gli uomini esprimere dolore è più difficile: la società si aspetta da loro resistenza e stoicismo, e questo porta a una minore esternazione rispetto alle donne, per le quali invece la manifestazione del dolore è socialmente più accettata. La pressione sociale può contribuire, negli uomini, a quella percezione di maggiore controllo della situazione dolorosa di cui parlavamo prima, rafforzando il senso di autoefficacia e di contenimento psicologico. Le donne, al contrario, tendono più spesso a quello che i ricercatori chiamano "catastrofismo" (è solo un termine tecnico, tranquilli), cioè a rimuginare più e più volte sul dolore, e questo atteggiamento è definito dagli scienziati come un fattore psicosociale che peggiora l'esperienza del dolore cronico.

Ricordiamoci, però, che il dolore ha tantissime sfaccettature, ed è una dimensione fortemente soggettiva del vivere umano. Presenta infatti una grande variabilità individuale, e si interseca con storie di vita che difficilmente risultano generalizzabili.

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