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15 Febbraio 2025
9:00

Cosa succede nel cervello quando siamo depressi? La depressione dal punto di vista biochimico

La depressione è un grave disturbo psichiatrico complesso e multifattoriale che altera il cervello, coinvolgendo l'ippocampo, la corteccia prefrontale e il sistema limbico. Disfunzioni nei network neurali e sbilanciamenti nei neurotrasmettitori contribuiscono alla genesi della patologia e alla comparsa dei sintomi.

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Cosa succede nel cervello quando siamo depressi? La depressione dal punto di vista biochimico
Depressione cervello

La depressione è un disturbo psichico caratterizzato principalmente da una deviazione dell'umore con stati di tristezza accentuata, insoddisfazione, mancanza di piacere e pensieri negativi riguardo a sé stessi e alla propria vita. Non va confusa con la tristezza: mentre quest'ultima è una reazione fisiologica e adattiva a uno stress o a una minaccia, la depressione è una condizione patologica in cui le risposte emotive negative diventano spontanee, severe, persistenti e invalidanti.

Oltre agli aspetti emotivi e comportamentali, numerose ricerche hanno evidenziato che questa condizione si accompagna a marcate alterazioni a livello cerebrale e della regolazione di alcuni neurotrasmettitori, in particolare serotonina, dopamina e noradrenalina. La depressione può essere influenzata anche da stress e infiammazione cronica e diventa patologica quando l'umore disforico, cioè caratterizzato da disagio e sconforto, e i pensieri negativi persistono per settimane o addirittura anni, accompagnati da disturbi del comportamento motivato e psicomotorio, del sonno, dell'appetito, dell'energia e della libido.

DISCLAIMER: Le informazioni contenute in questo articolo sono puramente a scopo divulgativo, non costituiscono diagnosi né prescrizioni. Ribadiamo fortemente, come sempre, la necessità di rivolgersi al proprio medico curante per qualsiasi problema.

Cosa succede nel cervello quando compare la depressione

Numerosi studi di imaging hanno messo in luce differenze neurologiche e funzionali tra soggetti depressi e individui sani. In particolare, nei soggetti depressi è spesso presente una riduzione del volume in alcune aree chiave, come l’ippocampo e parti del lobo frontale. Una diminuzione della massa ippocampale è associata a deficit della memoria e della regolazione emotiva, specchio di una vita emotiva denotata da abbassamento dell’umore e scarsa capacità di trovare la motivazione.

Parallelamente, le regioni prefrontali, fondamentali per la pianificazione e il controllo cognitivo, mostrano una ridotta attivazione durante compiti esecutivi, suggerendo nei soggetti depressi una compromissione di quei meccanismi che regolano le emozioni. Se normalmente l'attività di queste aree ci aiuta a non soccombere a situazioni che sembrano, a primo impatto, troppo dure e insuperabili, nei soggetti depressi questo meccanismo di ridimensionamento razionale sembra funzionare meno.

Anche nella corteccia cingolata, in particolare il nucleo subgenuale, e l’amigdala, altre due strutture cruciali nella gestione delle emozioni, ci sono delle disfunzioni. Studi di neuroimaging hanno rilevato una iperattività dell’amigdala, che sembra rispondere in maniera eccessiva a stimoli negativi, favorendo così lo sviluppo di una visione pessimistica della realtà. Nei soggetti depressi risulta iperattivo anche il nucleo subgenuale della corteccia cingolata, e il grado di tale iperattività è stato correlato con la gravità dei sintomi depressivi. Queste scoperte hanno persino portato all’impiego di tecniche di neuromodulazione, come la stimolazione cerebrale profonda, mirate a ripristinare l’equilibrio in queste reti neurali disfunzionali.

Le disfunzioni nei circuiti neurali caratteristiche della depressione

Le recenti ricerche si sono orientate verso un’analisi non tanto di aree specifiche del cervello, quanto dei network cerebrali, evidenziando come la depressione non sia il risultato di un’alterazione isolata di singole regioni, ma di una disfunzione delle connessioni tra esse.

Più un network è attivato, più connessioni crea e di conseguenza più facile sarà la sua attivazione futura. Come una pianta che allunga le sue radici quando viene annaffiata, i network neurali si rinforzano e si espandono più vengono attivati. In molti pazienti depressi risulta iperattivo il cosiddetto Default Mode Network, coinvolto in processi di auto-riflessione e rimuginio: questa iperattivazione contribuisce a una tendenza alla ruminazione (ossia una forma di pensiero persistente e depressivo) e alla focalizzazione su pensieri negativi.

Contestualmente, la comunicazione tra il Default Mode Network e le reti deputate al controllo cognitivo, come il fronto-parietale, risulta alterata, con conseguenze negative sulla capacità di regolare in modo efficace le emozioni.

Pensieri negativi depressione

Neurotrasmettitori e plasticità sinaptica

Da decenni la “teoria delle monoammine” ha fornito una base per comprendere il ruolo della serotonina, della noradrenalina e della dopamina nella depressione. Sebbene il semplice squilibrio di questi neurotrasmettitori non possa spiegare da solo la complessità del disturbo, studi recenti sottolineano come le terapie con antidepressivi possano agire non solo sui neurotrasmettitori stessi, ma anche favorendo processi di plasticità sinaptica (la capacità di modificare le interazioni tra neuroni) e neurogenesi, cioè la formazione di nuovi neuroni. Per esempio, si ipotizza che la promozione della neurogenesi nell’ippocampo possa rappresentare uno dei meccanismi attraverso cui gli antidepressivi migliorano i sintomi della malattia.

Il neurotrasmettitore che gode di maggior considerazione per la lotta contro la depressione è la serotonina. Poca trasmissione serotoninergica implica una scarsa regolazione delle emozioni e una tendenza a convergere verso emozioni negative. Gli antidepressivi della classe degli inibitori della ricaptazione della serotonina puntano proprio a far sì che ci sia più disponibilità di questo neurotrasmettitore nello spazio sinaptico tra due neuroni, per facilitare la trasmissione nervosa, con conseguente aumento della neuroplasticità e miglioramento del tono dell’umore.

La noradrenalina, sintetizzata principalmente nel locus coeruleus, è particolarmente importante per la gestione dell’attenzione, la vigilanza e la risposta allo stress. Il problema si presenta quando c’è un’attivazione cronica di questo neurotrasmettitore, che può portare a irritabilità, ansia e difficoltà di concentrazione, sintomi spesso osservati in soggetti depressi.

noradrenalina
Struttura chimica della noradrenalina.

Infine la dopamina, il neurotrasmettitore del processamento della ricompensa, della motivazione e del piacere. Nella depressione, la trasmissione dopaminergica è ridotta e questo è correlato ad anedonia, ossia l’incapacità di provare piacere, e alla forte mancanza di motivazione.

Questi tre sistemi non lavorano in maniera isolata: l’attività della serotonina influenza spesso la liberazione della dopamina, e la noradrenalina ha impatto modulatorio su entrambe le vie. Esistono dunque complesse interazioni che modulano l’equilibrio neurochimico complessivo e contribuiscono a dare origine ai sintomi più comuni di questo disturbo, tra cui deviazione dell'umore, perdita di attenzione, interesse e motivazione.

Stress, infiammazione e risposta immunitaria

Un altro aspetto fondamentale riguarda la risposta allo stress. L’asse ipotalamo-ipofisi-surrene regola la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress, e la sua attivazione cronica può avere effetti deleteri sul cervello. Una produzione eccessiva troppo protratta nel tempo di cortisolo è associata a danni neuronali e a una riduzione della plasticità sinaptica, in particolare nell’ippocampo.

Parallelamente, studi più recenti hanno evidenziato una componente infiammatoria in un sottogruppo di pazienti depressi. La massiccia presenza di citochine proinfiammatorie suggerisce che anche un’attivazione del sistema immunitario possa interferire con il normale funzionamento cerebrale, contribuendo ulteriormente alla patogenesi della depressione.

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