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25 Maggio 2024
7:00

Cosa succede al cervello dal punto di vista biochimico quando proviamo ansia

L'ansia, come risposta biologica e psicologica allo stress, ha funzioni cruciali, preparando l'individuo a minacce o incertezze. La sua azione coinvolge neutrotrasmettitori come GABA, glutammato, serotonina, noradrenalina e ormoni come il cortisolo.

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Cosa succede al cervello dal punto di vista biochimico quando proviamo ansia
ansia cosa succede nel cervello

L'ansia è uno stato emotivo che agisce come risposta biologica e psicologica essenziale allo stress, preparando l'individuo a fronteggiare minacce e situazioni incerte. Questa risposta di allerta si può manifestare con aumenti del battito cardiaco, aumento della pressione, dilatazione delle pupille e maggiore vigilanza, tutte reazioni essenziali per una rapida risposta al pericolo. Tuttavia, può anche diventare disfunzionale e sfociare in disturbi d'ansia, soprattutto quando il comportamento di evitamento limita eccessivamente l'esposizione a situazioni percepite come rischiose. Nella vita moderna, fatta di tanti e forti stimoli, il sistema di allerta è spesso eccessivamente attivato e può essere causa di stress cronico e disturbi d’ansia.

Origine e funzioni dell'ansia

L'ansia riveste diverse funzioni cruciali, sia dal punto di vista evolutivo sia in termini di adattamento individuale. Agisce come un meccanismo di allerta che prepara l'individuo a rispondere a minacce potenziali o situazioni di incertezza. Questo stato di allerta si manifesta attraverso vari segnali, come un aumento del battito cardiaco, maggiore vigilanza e prontezza dei riflessi, tutti volti a migliorare la capacità di reazione di fronte al pericolo.

A livello comportamentale, l'ansia contribuisce a evitare situazioni che possono essere percepite come minacciose. Questo comportamento di evitamento, sebbene possa limitare l'esposizione a rischi reali, può diventare disfunzionale se eccessivamente limitante, come nei casi di chi soffre di disturbi d'ansia o fobie severe.

In questo senso la teoria polivagale, formulata da Stephen Porges, suggerisce come nella società moderna il sistema di allerta è spesso eccessivamente attivato a causa dello stress cronico e della costante esposizione a stimoli potenzialmente minacciosi (le pressioni lavorative, sociali, o i semplici stimoli cittadini del traffico e delle folle).

Questa iperattivazione può portare a una disregolazione del sistema nervoso autonomo, rendendo più difficile per il sistema vagale ventrale promuovere stati di calma e sicurezza, mentre rimane eccessivamente attivo il sistema simpatico (attacco-fuga). Di conseguenza, molti individui possono ritrovarsi in uno stato di ansia cronica o di ipervigilanza senza una reale soluzione o via di fuga, poiché la minaccia non è tangibile o immediata come i pericoli fisici che i nostri antenati potevano incontrare.

ansia

L’ansia dal punto di vista neurobiologico: i neurotrasmettitori coinvolti

Dal punto di vista neurobiologico, l'ansia si manifesta attraverso una rete complessa di reazioni chimiche nel cervello, al centro della quale troviamo i neurotrasmettitori, sostanze chimiche che permettono la comunicazione tra neuroni. I principali attori in questo scenario sono il GABA (acido gamma-amminobutirrico), il glutammato, la serotonina e la noradrenalina.

Il GABA, il principale neurotrasmettitore inibitorio del sistema nervoso centrale, svolge un ruolo chiave nella regolazione dell'ansia. Livelli bassi di GABA sono associati a un'aumentata attività neuronale, che può sfociare in ansia. Al contrario, il glutammato, il principale neurotrasmettitore eccitatorio, quando in eccesso, può aggravare le risposte ansiose.

La serotonina, spesso associata alla regolazione dell'umore, ha anche un ruolo importante nella modulazione dell'ansia. Bassi livelli di serotonina sono collegati a una maggiore predisposizione all'ansia, il che spiega perché molti trattamenti anti-ansia mirano ad aumentarne i livelli. La noradrenalina, coinvolta nelle risposte di "lotta o fuga", regola l'attenzione e l'arousal; un suo squilibrio può pertanto contribuire a disturbi d'ansia.

Ormoni e regioni cerebrali: gli altri protagonisti

Oltre ai neurotrasmettitori, gli ormoni come il cortisolo, rilasciato in risposta allo stress, svolgono un ruolo cruciale nell'ansia. Il cortisolo mobilita le risorse energetiche dell'organismo durante i periodi di stress, aumentando la gluconeogenesi (produzione di glucosio) nel fegato e riducendo l'utilizzo di glucosio da parte di altre cellule. Questo fornisce energia immediatamente disponibile al cervello e ai muscoli, preparando il corpo a una risposta rapida e efficace a potenziali minacce, un meccanismo essenziale per la sopravvivenza.

Il cortisolo ha un effetto immunosoppressivo, riducendo l'infiammazione e limitando la risposta immunitaria. Sebbene ciò possa sembrare controproducente, ha lo scopo di prevenire un'eccessiva reazione immunitaria e danno tissutale durante momenti di stress acuto. Tuttavia, livelli cronici elevati di cortisolo possono indebolire il sistema immunitario, aumentando la vulnerabilità a infezioni e malattie, e ciò può spiegare la maggiore vulnerabilità organica tipica della somatizzazione in chi soffre di ansia.

Cosa succede nel cervello quando siamo stressati cortisolo

Il cortisolo può essere visto quindi come un indicatore biologico dello stato di stress dell'organismo. Livelli elevati di cortisolo sono spesso associati con ansia e disturbi correlati. Quando  il cortisolo rimane elevato troppo a lungo, può contribuire a uno stato di ansia cronica, con conseguente disturbo d'ansia generalizzata o altri disturbi correlati allo stress.

Il cortisolo altera infine alcune aree cerebrali significative. L'amigdala, in particolare, è centrale nella valutazione delle minacce e nella generazione della risposta di paura, mentre l'ippocampo è implicato nella formazione della memoria, inclusi i ricordi legati alle esperienze ansiogene. Livelli alti di cortisolo portano ad una eccessiva sensibilità dell’amigdala, che può correlarsi a frequenti stati di allerta.

Alla ricerca di equilibrio: trattamenti e terapie

Comprendere i meccanismi biochimici dell'ansia è fondamentale per lo sviluppo di trattamenti efficaci. Gli approcci farmacologici attuali includono i benzodiazepinici, che aumentano l'efficacia del GABA, e gli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), che aumentano i livelli di serotonina nel cervello. L’efficacia della componente farmacologica è tanto più accentuata se accompagnata da percorsi psicoterapeutici mirati: la terapia comportamentale cognitiva è uno di questi, il cui obiettivo è modificare i pattern di pensiero e comportamento che contribuiscono all'ansia; o ancora un approccio strategico, focalizzato nell’individuare le condizioni reali e contingenti di evitamento e gestione dei trigger ansiogeni.

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