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18 Maggio 2025
7:00

Cos’è la Museum Fatigue e perché ci stanchiamo quando visitiamo i musei

Visitare i musei può diventare faticoso: tra corridoi infiniti, sovraccarico informativo e stanchezza fisica e mentale, l’attenzione dei visitatori cala. Questo fenomeno, detto museum fatigue, è causato da fattori personali e ambientali che compromettono il coinvolgimento.

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Cos’è la Museum Fatigue e perché ci stanchiamo quando visitiamo i musei
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I musei possono essere piacevoli, ma anche luoghi particolarmente ostici: mappe, corridoi, grandi sale (spesso senza sedute) piene di decine o centinaia di opere d'arte che chiedono tutte la nostra attenzione… portandoci a provare la museum fatigue o "affaticamento museale" un fenomeno studiato già negli anni '20 che spiega uno stato di stanchezza fisica o mentale indotto dalla visita culturale. Nonostante le buone intenzioni, infatti, capita a moltissimi visitatori di rassegnarsi molto presto a visioni parziali e occhiate di passaggio delle mostre e delle collezioni permanenti.

Stando all’antropologo ed esperto di psicologia sociale Gareth Davey la museum fatigue è “una costellazione di fattori che generano la prevedibile decrescita dell’interesse del visitatore e l’insorgere della selettività durante una singola visita, sia essa in piccole o ampie aree espositive, o tra una ridotta serie di esposizioni successive". Secondo Davey, i cambiamenti nel comportamento "sono attribuibili a una combinazione di caratteristiche dei visitatori (quali il processo cognitivo, la fatica fisica e le qualità individuali), caratteristiche dell’ambiente (tra cui la costruzione architettonica dell’esibizione e il setting) e l’interazione tra loro”. Questa combinazione di caratteristiche è discussa e ancora soggetto di ipotesi, anche se la tesi di Giulia Milani ne riassume efficacemente i tratti, distinguendo tra fattori propri dei visitatori e fattori ambientali.

Tra i fattori propri dei visitatori ci sarebbe la stanchezza fisica: l'assenza di sedute e le dimensioni spesso mastodontiche dei musei affaticano chi vi entra. Che quindi mettono in atto specifici modelli di comportamento per evitare di sovraccaricarsi, per esempio tendendo a girare a destra ai bivi, evitare di tornare indietro per vedere delle opere o di spostarsi da un lato all’altro della stanza qualora le opere siano esposte sui entrambi i lati (concentrandosi spesso su ciò che sta al centro).

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Poi ci sarebbe la stanchezza cognitiva, data dal sovra-utilizzo di un risorsa preziosa e scarsa: l'attenzione. Nei musei, questa è a tutti gli effetti la componente più necessaria, visto che permette di attivare il processo di apprendimento (e spesso anche di godimento) di ciò che si vede. Anche la saturazione sarebbe un'altra caratteristica importante: quando si è circondati da una grande quantità della stessa cosa, si può scatenare un processo psicologico e fisiologico che potrebbe portare a un senso di disinteresse e disagio tra i visitatori, sensazioni che andrebbero di pari passo con lo stress ambientale, risultato di una situazione di sovra-stimolazione dell’individuo che non ha il controllo sull'ambiente che lo circonda.

Anche l'overload informativo fa parte dei fattori propri dei visitatori: si tratta della capacità cognitiva umana che predispone le persone a concentrarsi su una sola informazione alla volta, perché il cervello riesce a processare degli input entro dei limiti finiti. Tanto più cresce lo sforzo, tanto più diminuisce la capacità di assorbire e processare. Questo porterebbe ad innescare una "competizione" per l'attenzione, sacrificando molte cose da vedere e imparare, e quindi anche a prendere costantemente delle decisioni durante la visita.

Bisogna poi considerare i fattori ambientali: se l'allestimento è troppo omogeneo si aumenta il senso di saturazione (ed è anche provato che a seconda di come vengono posizionate le opere, cambia il grado di ricettività). Il percorso deve essere motivante e immersivo, e dovrebbe seguire il pattern di visita (cioè le tendenze dei visitatori in termini di attenzione lungo il percorso, come la tendenza a girare a destra), con didascalie chiare per le opere sotto forma di storie "umane" con cui entrare in empatia, pena l'affaticamento e la mancanza di coinvolgimento.

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