
Il "malocchio" è una delle credenze popolari più diffuse e resistenti al tempo. Non si tratta di un fenomeno locale, ma di un immaginario universale che attraversa continenti, religioni e sistemi di pensiero. Dalla Mesopotamia al Mediterraneo, dall’Africa all’America Latina, l’occhio è stato simbolo di energia vitale e protezione, ma anche di invidia e pericolo. Oggi, nonostante la razionalità dell’era tecnologica, il malocchio continua a sopravvivere come linguaggio culturale e psicologico: attribuire un evento negativo a uno sguardo “malevolo” serve a dare senso all’imprevisto e a difendersi da ciò che non possiamo controllare. E sui social, dove lo sguardo degli altri è onnipresente, questa antica paura sembra più attuale che mai.
Origini e credenze del malocchio
L'associazione tra l'occhio e il potere sovrannaturale è attestata sin dalle civiltà più antiche. In Italia, e in particolare nelle regioni meridionali, questa concezione prende il nome di "malocchio", ma non si tratta di un fenomeno esclusivamente mediterraneo. Varianti della stessa credenza si trovano in quasi tutte le civiltà: nel mondo greco il mati, nei paesi arabi l'ayn al-hasad (letteralmente "l'occhio dell'invidia"), in America Latina il mal de ojo, fino ad arrivare a tradizioni indiane e africane che attribuiscono allo sguardo la capacità di influenzare direttamente la salute e la fortuna altrui.
Sin dai tempi della Mesopotamia, l'occhio era raffigurato come simbolo della divinità e dell'energia vitale, capace di proteggere ma anche di colpire. Nell'antico Egitto, l'occhio di Horus incarnava la forza curativa e la protezione contro il male, un'immagine che già racchiudeva la doppia valenza dello sguardo: portatore di vita e, al tempo stesso, veicolo di vulnerabilità. La Grecia classica, successivamente, elaborò ulteriormente quest'idea: filosofi e medici discutevano del potere distruttivo del baskanos: lo "sguardo invidioso", e la diffusione di amuleti a forma di occhio testimonia la necessità di difendersi da un pericolo invisibile ma percepito come reale.
Il ruolo dell'invidia nel malocchio
Alla base della credenza nel malocchio si trova un sentimento profondamente umano e universale: l'invidia. Le leggende narrano che ogni volta che un individuo o una famiglia mostrano prosperità, salute o bellezza in un contesto di risorse limitate, automaticamente cresce la paura che lo sguardo malevolo degli altri possa "contaminare" tale fortuna. Nelle antiche società agricole africane e mediterranee per esempio, dove la sopravvivenza era legata a raccolti incerti e a un equilibrio sociale fragile, il malocchio funzionava come una spiegazione plausibile delle disgrazie improvvise: una malattia di un bambino, la perdita di un raccolto, la morte di un animale da lavoro.
In assenza di strumenti scientifici, ricondurre la sventura all'individuo altrui consentiva di dare senso al caos, di preservare una forma di controllo simbolico e, al tempo stesso, di regolare le tensioni comunitarie. L'accusa di aver gettato il malocchio diventa così una forma di linguaggio sociale, che poteva esprimere rivalità latenti, gelosie o rapporti di potere.
Simboli e amuleti religiosi contro il malocchio
I rituali di protezione contro il malocchio sono altrettanto antichi e rivelano la capacità delle culture di trasformare l'angoscia in pratiche concrete. Nel Mediterraneo orientale si diffonde l'uso dell'"occhio azzurro" (nazar), amuleto che ancora oggi accompagna la quotidianità di milioni di persone. In Italia, al contrario, sopravvive il "corno rosso" napoletano, erede di simbolismi fallici legati alla fertilità e alla vitalità. In ambito religioso, l'acqua benedetta e il crocifisso, in alcuni contesti che poco hanno a che fare con la fede, possono avere anche la funzione di protezione contro forze maligne in generale. Particolarmente interessanti sono le formule segrete che in molte regioni italiane le donne anziane recitano per "togliere il malocchio".

In un'epoca in cui scienza e tecnologia sembrano spiegare quasi ogni aspetto della realtà, continuiamo a dare spazio al malocchio perché la credenza risponde a un bisogno psicologico: attribuire le disgrazie a uno "sguardo cattivo" rappresenta un utile meccanismo per ridurre l'ansia e restituire coerenza a eventi percepiti come incontrollabili. Si tratta di un processo che la psicologia definirebbe "attribuzione esterna": spostare la causa di ciò che accade su un elemento esterno permette di sopportare meglio la frustrazione e il senso di impotenza.
Non si tratta solo di superstizione: il malocchio continua a funzionare anche come linguaggio culturale e come codice identitario. Indossare un amuleto, tatuarsi la mano di Shiva, avere in tasca un peperoncino, compiere un gesto scaramantico significa riaffermare l'appartenenza a una comunità o a un certo tipo di credo.
Il malocchio nell'epoca dei social media
In un'epoca dominata dall'immagine e dall'esposizione costante sui social, la credenza nel malocchio assume un significato sorprendentemente attuale: mostrare pubblicamente i propri successi, viaggi, la propria famiglia, ricchezza, lavoro e hobby significa inevitabilmente attirare lo sguardo, e l'invidia, degli altri. La logica dell'esposizione, difatti, sembra amplificare la percezione di vulnerabilità. "Essere visti e seguiti" è diventato un obiettivo, ma continua a essere un rischio: più mostriamo successo, benessere e felicità, più aumenta la possibilità di attirare sguardi malevoli.
In questo senso, il malocchio è più di una superstizione folcloristica: è una potente metafora del nostro rapporto con lo sguardo sociale, con l'invidia e la vulnerabilità che deriva dalla popolarità e dall'essere esposti. Non sorprende, allora, che si continui a crederci, anche quando si afferma di non crederci affatto.