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Nel linguaggio comune si tende spesso a usare in modo intercambiabile parole come totalitarismo, dittatura e autoritarismo, ma in realtà esistono differenze importanti tra i tre termini. Quando parliamo di regimi politici non democratici, ci riferiamo a sistemi in cui il potere non è esercitato dal popolo, o quantomeno non in modo libero, pluralistico e trasparente. In questi contesti, le regole del gioco non sono scritte dai cittadini né garantite da istituzioni indipendenti, e chi comanda lo fa senza che ci siano meccanismi efficaci per controllarlo o limitarlo.
Cos’è il totalitarismo?
Il totalitarismo è un tipo di regime politico che mira a penetrare e dirigere tutti gli aspetti della vita collettiva e privata. Non si limita a governare: il suo obiettivo primario è quello di plasmare la società e l’individuo. Ne sono un esempio cardine il nazismo e il fascismo, che hanno studiato a tavolino il loro credo ufficiale, a cui tutti gli individui della società dovevano conformarsi, pena l'esclusione, la galera o l'esilio. Per far sì che l'opera di brainwashing funzioni, però, il credo non basta: ci vuole anche la mobilitazione di massa: organizzazioni giovanili e popolari, rituali pubblici, parate… perché non basta obbedire, bisogna anche partecipare attivamente.

Oltre a questo, nel regime totalitario ogni libertà di espressione è vietata, e la censura particolarmente severa. Non può esistere alcun tipo di dissenso, pubblico o privato, al partito unico in comando.
Fortunatamente, i regimi totalitari – che hanno avuto lunga vita nel secolo scorso – sono quasi scomparsi dalla faccia della Terra. Quasi perché, purtroppo, perché almeno due regimi totalitari esistono ancora. Il regime più noto è quello della Corea del nord, in cui impera l’ideologia dello Juche, basata sul nazionalismo e il marxismo-leninismo, che si è evoluta nel corso degli anni per riflettere i principi di autonomia e autosufficienza del Paese. Anche in questo caso, vige il culto della personalità del proprio leader (in questo caso di Kim Jong-un). Il paese è talmente isolato dal mondo che ha persino un altro calendario: se noi siamo nel 2025, per i nordcoreani questo è l'anno 114, perché contano a partire dalla nascita del fondatore e primo presidente della nazione, Kim Il-Sung, che tutt’ora – nonostante sia morto 31 anni fa – è ancora considerato il "Presidente eterno".
L'altro caso è nel corno d'Africa: il regime di Isaias Afwerki ha fatto sì che l'Eritrea diventasse uno degli stati più repressivi al mondo. Non ci sono elezioni democratiche dal 2001, e ogni forma di dissenso è brutalmente repressa. Il governo controlla strettamente la vita dei cittadini, imponendo un servizio militare obbligatorio che può durare tutta la vita. Inutile dire che le libertà di espressione e stampa sono severamente limitate.
Cos’è una dittatura?
Nel suo significato moderno, una dittatura è un regime politico in cui tutto il potere è concentrato in un solo organo o in una sola persona (di solito un capo carismatico o un piccolo gruppo) che lo esercita senza alcun controllo da parte di altri poteri: non ci sono vere elezioni, né opposizione, né stampa libera. Il capo decide tutto, spesso in modo arbitrario.
Il termine “dittatura” ha una storia lunga e articolata. Nell’antica Roma, la dittatura era una carica straordinaria, conferita per affrontare un’emergenza. Un cittadino veniva nominato dittatore, ma solo per un tempo limitato, solitamente sei mesi, con l’obiettivo di risolvere una crisi. Tra i casi più noti quello di Cincinnato, che accettò il potere per poi tornare a coltivare i campi una volta compiuto il suo dovere, quello di Silla che invece usò la dittatura per consolidare un potere personale molto più a lungo del previsto, e quello di Giulio Cesare che nel 49 a.C. fu nominato dittatore per breve tempo, poi di nuovo nel 48 a.C., nel 46 a.C. e infine nel 44 a.C. fu proclamato "dittatore a vita" (dictator perpetuo), rompendo con la tradizione repubblicana. Questo accentramento di potere personale, fuori dalle regole consuete, fu visto come una minaccia alla Repubblica, e contribuì alla decisione di assassinarlo. Giulio Cesare fu l’ultimo dittatore romano nel senso originario del termine, ma anche il primo a incarnare un uso della dittatura che anticipa le derive autoritarie moderne.
Nel linguaggio quotidiano, il termine ha assunto anche significati figurati: parliamo di "dittatura della moda", "dittatura del mercato" o "dittatura dell’audience" per indicare situazioni in cui un potere, spesso non politico, domina senza alternative. Il paese che al tempo d'oggi viene in mente per primo è senza ombra di dubbio, l'Iran, che è a tutti gli effetti una dittatura teocratica, con il potere concentrato nelle mani di leader religiosi e militari.
Cos’è l’autoritarismo?
Il significato del termine autoritarismo invece è più ampio e sfumato: indica un sistema in cui il potere viene esercitato dall’alto, in modo gerarchico, con comandi che non si discutono e l’uso della coercizione per ottenere obbedienza. Ma l’autoritarismo non è solo una questione di governo. Può essere anche un atteggiamento, un modo di comportarsi o gestire il potere dentro istituzioni come la scuola, la famiglia o l’azienda: quando non c’è spazio per il dialogo e la partecipazione, ma solo per l’obbedienza, siamo in un clima autoritario.
La definizione più usata in ambito accademico è quella proposta dal politologo Juan Linz. Secondo lui, un regime autoritario è un sistema politico che ha quattro caratteristiche fondamentali:
- Pluralismo politico limitato, ma non del tutto assente: esistono altre istituzioni (come Chiesa, esercito, imprese), che non sono completamente sottomesse allo Stato, a differenza dei regimi totalitari.
- Assenza di un’ideologia direttiva forte: i regimi autoritari non hanno una dottrina rigida e obbligatoria. Più che su ideologie, si basano su valori tradizionali e mentalità conservatrici.
- Assenza di mobilitazione politica di massa: a differenza del totalitarismo, che chiede una partecipazione continua e fanatica, l’autoritarismo si accontenta di un consenso passivo. I cittadini non devono entusiasmarsi, basta che stiano buoni.
- Presenza di un leader forte, ma non onnipotente: chi comanda è potente, ma opera entro limiti informali e prevedibili. Deve tener conto di equilibri interni, alleanze e pressioni tra i vari attori del potere (esercito, élite economiche, partito dominante…).
Insomma, a differenza dei totalitarismi (come il nazismo o lo stalinismo), i regimi autoritari non vogliono trasformare la società o “creare l’uomo nuovo”, ma mantenerla sotto controllo, frenando i cambiamenti. Ne è un esempio attuale la Bielorussia, dove il presidente Aleksandr Lukashenko, al potere dal 1994, ha costruito un regime che controlla strettamente l'economia, i media e le istituzioni. Le elezioni sono generalmente viste come fraudolente, e la repressione dei dissidenti politici è sistematica, con arresti, intimidazioni e violenze contro chi si oppone al governo. Anche la Cina e l'Arabia Saudita sono esempi di regimi autoritari: la prima per il controllo severo dei suoi cittadini – fortemente limitati a livello di libertà politica – e la seconda perché dire la propria opinione potrebbe non essere una buona idea, viste le pesanti ripercussioni nei confronti degli attivisti politici.
Come funzionano (e cadono) i regimi autoritari
I regimi autoritari non puntano a cambiare tutto, ma a mantenere il controllo: concedono spazi limitati alla competizione economica e tollerano certi cambiamenti sociali, ma cercano di filtrarli e rallentarli, non di impedirli del tutto. Il leader gioca un ruolo centrale, come mediatore tra le varie forze del potere, ed è proprio questa centralità rende il sistema fragile: la successione è spesso il tallone d’Achille. Quando il leader muore o perde autorità, il sistema rischia di crollare per mancanza di equilibrio. Tuttavia, la fine di un regime autoritario non significa automaticamente democrazia. Spesso viene rimpiazzato da un altro regime autoritario, magari meno solido, ma ugualmente oppressivo. In sintesi, se una dittatura è una forma estrema di concentrazione del potere, spesso personalistica, assoluta e permanente, un regime autoritario, invece, è più sfumato: limita il pluralismo, non impone un’ideologia totalizzante, si accontenta di un consenso passivo e funziona attraverso un leader forte ma vincolato da equilibri interni. Entrambe le forme possono riemergere ogni volta che una democrazia entra in crisi.