
Il nostro corpo è una "macchina" estremamente complessa, per il cui funzionamento sono fondamentali adeguati livelli di diversi elementi chimici: condizioni come l'anemia da carenza di ferro (anemia sideropenica) sono relativamente comuni e per questo conosciute. Se la carenza di nutrienti è un problema, però, anche un eccessivo accumulo può causare problemi: è il caso per esempio dell'emocromatosi, condizione ereditaria che può portare a livelli elevati di ferro nel nostro organismo, con conseguenze anche gravi. Questa malattia, relativamente diffusa in paesi nord europei, in Italia a una prevalenza (quantità di soggetti colpiti nella popolazione) decisamente più alta nelle regioni settentrionali e i sintomi sono più evidenti negli uomini e nelle donne in menopausa. Fortunatamente, la medicina moderna è in grado di evidenziarne le cause e aiutare i pazienti a tenere sotto controllo la loro condizione, tramite frequenti prelievi di sangue o specifici farmaci che aiutano a eliminare il ferro in eccesso dall'organismo.
Disclaimer: Le seguenti informazioni sono solamente a scopo informativo: per approfondimenti è fondamentale rivolgersi al proprio medico curante, che potrà valutare il quadro generale e gli eventuali esami necessari.
Chi colpisce e da cosa è causata l'emocromatosi?
L'emocromatosi è una malattia genetica ereditaria, variamente diffusa tra le popolazioni europee, soprattutto in aree abitate da popolazioni celtiche migliaia di anni fa: sono colpiti dalla malattia ben 1 persona su 100 in Irlanda e 1 su 400 in Francia. In Italia, la prevalenza è altrettanto variegata: da 1 caso su 500 al nord, fino a meno di 1 caso su 2000 nel sud Italia.
La malattia è causata da mutazioni genetiche: dei 5 tipi a oggi registrati, la più diffusa è quella "tipo 1" del gene HFE, responsabile dell'80% dei casi italiani. Le mutazioni, a eccezione del tipo 5, sono trasmesse in maniera "autosomica recessiva", cioè si manifesta solo quando entrambi la mutazione è presente su entrambi i cromosomi. Pertanto, chi possiede un solo gene mutato è portatore sano della malattia, ma due portatori sani hanno il 25% di probabilità di avere un figlio che erediti due copie di geni mutati (una da ciascun genitore) e che quindi sia colpito dalla malattia.
Nonostante ciò, per cause ancora da accertare, per cause ancora da accertare, solo una parte dei soggetti con mutazione con omozigosi (cioè con 2 copie di geni mutati) sviluppa evidenti sintomi da emocromatosi; allo stesso tempo, una percentuale di individui con eterozigosi (mutazione del gene presente su un solo cromosoma) può svilupparne i sintomi.
I sintomi dell'emocromatosi e le diagnosi
Le conseguenze dell'accumulo di ferro si manifestano, nella maggior parte dei casi, in età adulta e sono più evidenti nella popolazione maschile e nelle donne in menopausa. I sintomi sono diversi, da un generico affaticamento cronico e sintomi depressivi fino a dolore alle articolazioni; a livello clinico sono invece presenti danni ad organi come fegato e cuore.
La diagnosi viene effettuata unicamente dal medico curante dopo aver visionato le analisi del sangue: i soggetti affetti dalla malattia hanno alti livelli di ferritina sierica e alta saturazione di transferrina, due proteine protagoniste del metabolismo del ferro nel corpo umano. In caso di sospetta emocromatosi, il medico curante può poi richiedere una analisi genetica che indaghi lo stato del gene HFE e degli altri geni coinvolti dalle mutazioni di tipo 2-5.
Le terapie e la salute dei soggetti colpiti
Le terapie più utilizzate sono due: la prima e più semplice è il salasso, ossia il prelievo di sangue frequente (fino a mezzo litro, una volta alla settimana) ripetuto fino al raggiungimento di concentrazioni basse di ferritina e una minor saturazione di transferrina.
La "perdita" di sangue spinge il midollo osseo alla produzione di nuovi globuli rossi, che contengono emoglobina, una proteina a base di ferro, le cui riserve vengono quindi "consumate". Questo è anche il motivo della minor incidenza di sintomi da emocromatosi nelle donne, "aiutate" dal ciclo mestruale mensile, almeno fino al raggiungimento della menopausa.
Una volta raggiunti valori accettabili, il prelievo di sangue diventa meno frequente, dalle 2 alle 4 volte all'anno: se non vi sono altri valori fuori limite, il soggetto può quindi decidere di diventare un donatore di sangue regolare, unendo alla cura della propria salute un servizio di grande utilità pubblica.
La seconda opzione prevede l'uso di medicinali ferrochelanti, sostanze in grado di "catturare" il ferro e favorirne l'espulsione con l'urina o le feci: si tratta di una alternativa per i pazienti che, per diverso motivo, potrebbero avere controindicazioni in seguito a salassi. Con una di queste due terapie, le persone affette da emocromatosi possono vivere una vita normale, aiutando anche il prossimo quando donano il sangue.