SARS-CoV-2, il virus che provoca il Covid-19, purtroppo è solo l’ultimo arrivato. Le malattie infettive e le epidemie, infatti, colpiscono il genere umano da millenni. Da quando ebbe inizio l’allevamento degli animali, probabilmente intorno al 14.000 a.C., numerosi virus e batteri di origine animale hanno effettuato il salto di specie, hanno cioè sviluppato la capacità di infettare l’uomo.
Almeno fino a tutto l’Ottocento, le malattie infettive sono state una delle principali cause di morte nel mondo, non solo per via delle epidemie, ma anche delle endemie, quelle malattie che non si manifestano con focolai improvvisi, ma sono sempre presenti (vaiolo, tubercolosi, morbillo, malaria, ecc.). Nell’ultimo secolo l’impatto di queste infezioni è diminuito e le malattie cronico-degenerative, soprattutto quelle cardio-vascolari e i tumori, sono diventate la prima causa di morte. Tuttavia, nei Paesi più poveri le malattie infettive sono ancora molto più diffuse e mortali rispetto al mondo economicamente più sviluppato.
Scopriamo quali sono state alcune delle principali epidemie e pandemie del passato e come i cittadini hanno cercato di limitare il loro impatto.
La peste di Giustiniano
In epoca antica le epidemie erano frequenti e hanno influenzato l’andamento della storia più di quanto oggi se ne abbia consapevolezza.
Nel VI secolo d. C., fece la sua prima apparizione la più spaventosa di tutte le malattie infettive: la peste. Si tratta di un morbo provocato dal batterio Yersinia pestis, che infesta i roditori (soprattutto topi e marmotte) ed è trasmesso all’uomo tramite le pulci e i pidocchi. Se non è curata, la peste ha un tasso di letalità elevatissimo, uccidendo tra l’80% e il 100% dei contagiati, con variazioni a seconda del tipo di infezione. La prima grande epidemia fu quella degli anni 541-544, nota come peste di Giustiniano, che colpì l’Impero Bizantino e varie parti dell’Europa. Le vittime furono certamente molto numerose, ma non si dispone di dati precisi e le stime oscillano tra 15 e 100 milioni di morti.
La peste restò nel bacino del Mediterraneo e nel Medio Oriente per oltre due secoli, manifestandosi con epidemie frequenti fino all’anno 750 circa, quando scomparve per ragioni che gli storici e gli scienziati non sono ancora in grado di spiegare.
La peste del ‘300
Circa seicento anni dopo la sua ultima apparizione, lo Yersinia pestis, che aveva continuato a infestare i roditori, ricomparve nel modo più tragico. La peste del 1346-1353 è stata probabilmente la pandemia più letale della storia, al punto che uccise tra il 30 e il 60% della popolazione europea e provocò vittime in tutto il mondo allora conosciuto, per un totale di morti stimato tra 75 e 200 milioni. La pandemia ebbe origine in Asia e nel 1347 arrivò in Sicilia, trasportata dai topi presenti sulle navi, raggiungendo nel corso di pochi anni quasi ogni angolo dell’Europa.
Durante l’epidemia furono sperimentate alcune misure di prevenzione, come l’isolamento degli infetti. Pochi anni dopo, inoltre, alcune città portuali introdussero il sistema della quarantena, cioè imposero alle navi provenienti da località infette di attendere quaranta giorni prima di far sbarcare l’equipaggio.
Dopo il ‘300, la peste restò in Europa, manifestandosi con varie epidemie, fino al 1720, quando l’ultimo focolaio ebbe luogo a Marsiglia.
Lo scambio colombiano
La conquista del continente americano da parte degli europei nei secoli XV e XVI comportò uno scambio di agenti patogeni tra le popolazioni dei due continenti. Gli europei “importarono” la sifilide (anche se l’origine americana della malattia recentemente è stata messa in discussione da alcuni studiosi) ed “esportarono” in America infezioni terribili, come il vaiolo e il morbillo (sì, il morbillo era una malattia pericolosissima e in parte lo è ancora oggi), contro le quali le popolazioni native non avevano anticorpi.
Le nuove malattie decimarono gli indigeni: considerando tutto il continente, la popolazione nativa si ridusse di una quota stimata tra l’80 e il 95% entro i 150 anni dall’arrivo di Colombo nel 1492. Sebbene la riduzione sia stata provocata anche dallo sfruttamento al quale le potenze coloniali sottoposero gli indigeni, le infezioni furono la principale causa di morte.
Il colera e l'ultima pandemia di peste
Nell’Ottocento fece la sua comparsa un’altra inquietante malattia: il colera, che dall’India, dove era endemico, si diffuse in tutto il mondo attraverso varie epidemie. La più grave fu quella del 1846-1860, con un numero di vittime pari a circa un milione. Il colera non è stato debellato: continua a essere endemico nel subcontinente indiano e in alcuni Paesi africani.
Nella seconda metà dell’Ottocento, inoltre, ebbe luogo l’ultima pandemia di peste, che però interessò solo l’India e la Cina, con un numero di morti intorno ai quindici milioni. Oggi la peste è ancora presente in alcuni Paesi dell’Africa, come il Madagascar, ma provoca poche vittime.
I progressi della medicina
Dalla fine del ‘700 i progressi della scienza e dell'igiene hanno fatto diminuire notevolmente sia la diffusione sia la mortalità delle malattie infettive. Nel 1796 un medico inglese, Edward Jenner, sperimentò lo strumento che ha dato il maggiore contributo alla lotta contro le infezioni: il vaccino. La prima vaccinazione, basata su precedenti esperienze di inoculazione, fu quella contro il vaiolo.
Nel corso dell’Ottocento furono introdotte anche numerose norme igieniche, come il principio di lavarsi le mani e di non bere acqua contaminata, che oggi appaiono scontate, ma che per l’epoca erano innovative. Alla fine del secolo, inoltre, Louis Pasteur, Robert Koch e altri scienziati dimostrarono che le infezioni erano provocate dai microorganismi, fondando così la microbiologia moderna e consentendo di iniziare la sperimentazione di contromisure efficaci.
L'influenza spagnola
I progressi scientifici non impedirono che le malattie infettive mietessero vittime anche nel Novecento. La pandemia più grave del secolo è stata quella dell’influenza spagnola del 1918-20, la prima pandemia veramente globale, capace di raggiungere ogni angolo del pianeta. La stima delle vittime oscilla tra 17 e 100 milioni.
Nonostante il nome, l’influenza non ha nulla a che fare con la Spagna, che fu colpita dal morbo, ma non più degli altri Paesi. Il nome deriva dal fatto che le prime notizie sulla pandemia giunsero in Europa dalla Spagna, dove non era in vigore la censura militare (presente, invece, in tutti gli altri Paesi, impegnati nella Prima guerra mondiale).
L'età della hybris e l'AIDS
Nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, alcuni scienziati pensarono che, grazie ai nuovi progressi scientifici, fosse possibile debellare completamente le malattie infettive. Fu l’età della hybris, cioè dell’arroganza, come l’ha definita Frank Snowden, uno dei massimi esperti di storia delle epidemie: l’uomo pensò di poter avere ragione della natura o almeno su questo aspetto. La medicina raggiunse effettivamente traguardi importanti, come l’eradicazione del vaiolo nel 1979, resa possibile dalla vaccinazione di massa, ma non riuscì a sconfiggere definitivamente i virus e i batteri.
Negli anni ’80, a ricordare che la lotta contro le malattie infettive non era vinta, giunse la sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS), provocata da un virus originario dell’Africa, l’HIV, che si trasmette prevalentemente per via sessuale. Arrivato negli Stati Uniti nel 1981, l’Aids si diffuse presto in tutto il mondo. Le vittime complessive, da quando l’HIV è stato identificato fino al 2020, sono stimate in 36,3 milioni. Oggi nei Paesi industrializzati l’AIDS provoca pochi morti, perché sono disponibili trattamenti medici che riescono ad arrestare il corso della malattia, ma è ancora un grave flagello in Africa, dove uccide centinaia di migliaia di persone ogni anno.