;Resize,width=638;)
L’epidemia del Seicento, che colpì il Nord Italia in tre ondate dal 1629 al 1631 e fu poi raccontata da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi, rientra nella seconda pandemia di peste, che colpì pesantemente l’Europa, con ondate periodiche, tra il ‘300 e il ‘700. L’epidemia del XVII secolo fu probabilmente provocata dall’arrivo in Italia del Nord di truppe mercenarie al servizio del Sacro romano impero, i famigerati lanzichenecchi. La peste si diffuse in tutta l’Italia settentrionale e in parte di quella centrale, provocando la more di centinaia di migliaia di persone.
La medicina non disponeva di strumenti efficaci per curare la peste, ma le misure di prevenzione, che nelle città italiane erano state introdotte sin dalla pandemia del ‘300, riuscirono, almeno entro certi limiti, a contenere i contagi. La peste, però, provocò reazioni isteriche da parte della popolazione, che credeva che i responsabili del contagio fossero gli “untori”, cioè persone che diffondevano di proposito la malattia.
La peste in Europa
Fino al ‘700, la peste è stata la malattia infettiva più temuta. Il contagio è provocato da un batterio, noto come Yersinia Pestis, che infesta i roditori ed è capace di colpire anche l’uomo. La peste si è sviluppata in tre grandi “pandemie”, cioè tre lunghe fasi nelle quali ha colpito la popolazione con ondate periodiche. La prima pandemia durò all’incirca dal 550 al 750 d. C. In seguito la peste scomparve, ma si ripresentò alla metà del ‘300 con il terribile evento della “morte nera”, che uccise circa un terzo della popolazione europea e diede inizio alla seconda pandemia, durata fino agli anni ‘20 del Settecento. Per quasi quattro secoli la peste flagellò periodicamente l’Europa, l’Asia e il Nord Africa, colpendo di volta in volta località diverse.

In Europa la peste scomparve nel XVIII secolo. La terza e ultima pandemia si è sviluppata tra fine ‘800 e inizio ‘900, ma è stata limitata all’India e alla Cina.
La peste “manzoniana” del ‘600 è una delle epidemie più noti della seconda pandemia.
L’Italia settentrionale nel ‘600 e gli eserciti stranieri
Nel ‘600 la Penisola italiana si trovava in condizioni difficili, perché aveva perso la sua autonomia politica ed era diventata terra di conquista delle potenze europee. Tra il 1628 e il 1631, dopo la morte del duca Vincenzo II Gonzaga, scoppiò una guerra per la successione al trono del Ducato di Mantova e del Monferrato, nella quale erano schierati da un lato la Francia e la Repubblica di Venezia e, dall’altro, la Spagna, il Ducato di Savoia e il Sacro romano impero. La guerra comportò il passaggio nel territorio dell’Italia settentrionale di diversi eserciti stranieri, tra i quali i lanzichenecchi, cioè mercenari arruolati dall’Impero. Proprio a loro, secondo le teorie più accreditate, si deve l’origine dell’epidemia.

Le origini e la diffusione dell’epidemia
L’epidemia ebbe probabilmente origine nella città tedesca di Lindau, da dove fu portata verso sud dai lanzichenecchi. Fu colpita per prima la Confederazione elvetica, nella quale, però, gli effetti furono relativamente blandi. In seguito l’epidemia raggiunse l’Italia settentrionale, dove ebbe effetti molto più tragici.
Il caso più noto è quello del Ducato di Milano, all’epoca controllato dal Regno di Spagna, che fu colpito da tre ondate: la prima iniziò nell’ottobre del 1629; la seconda, la più terribile, nell’estate del 1630; la terza nel 1631. Si stima che, su una popolazione complessiva di 130.000 abitanti, i morti furono 60.000, quasi metà della popolazione. La città, che già all’epoca era uno dei principali centri urbani europei, si trovò in condizioni terrificanti e il paesaggio era dominato da fosse comuni, cadaveri abbandonati nei luoghi pubblici e porte sbarrate. Per le strade transitavano continuamente i carretti dei monatti, cioè gli uomini incaricati di raccogliere i cadaveri degli appestati.

La peste non colpì solo Milano, ma si diffuse in tutta l’Italia centro-settentrionale. Venezia, per esempio, fu raggiunta dall’epidemia nel 1630 e perse 46.000 dei suoi 130.000 abitanti. In Italia centrale, alcune città come Modena e Reggio Emilia, persero quasi metà della popolazione. Nei centri principali, come Firenze e Bologna, il contagio si diffuse in misura minore, ma provocò ugualmente migliaia di vittime.
Il numero complessivo dei morti non è noto e le stime oscillano tra 300.000 e 1.100.000, su una popolazione totale di circa quattro milioni di persone.
La questione degli untori e la colonna infame
Alla peste è legata la questione degli untori, cioè persone che, secondo le teorie diffuse all’epoca, provocavano il contagio cospargendo i muri con unguenti velenosi. Gli storici hanno accertato che effettivamente alcune persone, pensando di trarre vantaggio dall’epidemia, cercarono di aumentare la diffusione del contagio, lasciando gli abiti e altri oggetti degli appestati nei luoghi più frequetanti
Tuttavia, l’accusa degli “ungimenti” era dovuta solo all’isteria popolare. Il caso più noto è quello di due milanesi, l’ufficiale di sanità Guglielmo Piazza e il barbiere Giangiacomo Mora, che nell’estate del 1630 furono torturati e messi a morte mediante l’atroce supplizio della ruota con l'accusa di aver effettuato "ungimenti". L’accusa era partita da una testimone che aveva visto camminare Piazza troppo rasente a un muro.
Alla vicenda è dedicato la celebre Storia della colonna infame di Manzoni, così intitolato perché nel luogo dove sorgeva la bottega di Mora, presso Porta Ticinese, fu eretta una colonna a simbolo di infamia perenne. La colonna fu abbattuta alla fine del Settecento, quando si capì che l’accusa era infondata, e oggi al suo posto c’è una lapide che ricorda l’innocenza di Mora, al quale è stata anche intitolata la strada dove sorgeva la bottega.

La medicina e le misure di prevenzione
All’epoca la medicina non conosceva i batteri e riteneva che le epidemie fossero provocate dai miasmi, una sorta di veleni diffusi nell’aria. Più specificamente, i medici pensavano che l’epidemia del ‘600 fosse dovuta a una congiunzione astrale che aveva reso pestifera l’aria. I medici, però, avevano intuito la trasmissione del contagio e, dal ‘300 in avanti, gli Stati avevano fatto progressi importanti nelle misure di prevenzione. In molte città erano stati istituiti gli uffici di sanità, che in occasione delle epidemie avevano il potere di prendere tutte le misure necessarie: isolamento dei contagiati, quarantene, divieto di recarsi nelle località colpite. Non essendoci farmaci antibatterici, la peste veniva trattata con rimedi semplici, come le piante.

Nelle principali città, inoltre, erano attivi i lazzaretti, cioè grandi edifici che ospitavano i contagiati per isolarli dalla comunità. In epidemie di grandi proporzioni come quella del ‘600 i lazzaretti non erano sufficienti ad accogliere tutti i malati, ma furono ugualmente utili per limitare i contagi. Anche per questa ragione l'epidemia del 1629-31, come tutte quelle seguite alla "morte nera" del ‘300, fu contenuta in un'area geografica circoscritta.