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8 Ottobre 2023
17:00

Favelas, ghetti e baraccopoli: un fenomeno che riguarda il 25% della popolazione urbana mondiale

Secondo le ultime stime dell’Onu, una persona su quattro che vive in aree urbane è segregata in “insediamenti informali”, ossia in baraccopoli. Analizziamo il fenomeno con l'aiuto dei dati.

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Favelas, ghetti e baraccopoli: un fenomeno che riguarda il 25% della popolazione urbana mondiale
baraccopoli i dati globali

Non tutti hanno la possibilità di scegliere dove vivere: quasi 2 miliardi di persone nel mondo sono costrette ad abitare ai margini delle grandi città, in abitazioni precarie e senza servizi essenziali. L'isolamento sociale riguarda in particolar modo gruppi di persone accomunati da disoccupazione, povertà, basso livello di istruzione, passato migratorio ma anche dipendenza da alcol e/o droghe. È un fenomeno che troviamo anche nelle grandi metropoli occidentali, ma i numeri più preoccupanti riguardano l'Africa subsahariana e l'America Latina. Secondo l'ONU, le persone in questa condizione sono destinate a crescere, se non si interviene sulle cause strutturali di questa condizione.

La segregazione sociale

Segregare significa separare e isolare un individuo o un gruppo di persone dagli altri. La segregazione ci salta spesso agli occhi perché tante volte ha anche un connotato “spaziale”,  può cioè essere ben individuata geograficamente (pensiamo ai ghetti ebraici che ancora oggi sono visibili).

Quando osserviamo una grande città, è piuttosto comune notare che le persone non sembrano distribuirsi in modo casuale nello spazio, ma ripetono un “pattern”. Non è inusuale riscontrare che in alcune zone risiedono gruppi di individui che condividono una stessa lingua, cultura e nazionalità (pensiamo a Little Italy a New York o Chinatown a Milano).

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Ciò che differenzia una semplice distribuzione nei quartieri dalla segregazione, è la possibilità e la probabilità di risiedere in zone diverse da quelle in cui si è. La segregazione infatti ha a che fare con la libertà di potersi muovere e vivere a prescindere dal gruppo etnico di appartenenza o delle classe sociale.

La segregazione sociale e residenziale che – come vedremo – ritroviamo nei ghetti, nelle favelas e nelle baraccopoli, ha quindi a che fare con la separazione involontaria delle persone in base a “dati sociali rilevanti” come il luogo di nascita, la fede religiosa, lo status di migrante ecc. Qui, la distanza fisica si trasforma e accentua anche la distanza sociale tra i gruppi cittadini.

Le caratteristiche delle baraccopoli

Secondo la definizione delle Nazioni Unite, una baraccopoli è un agglomerato di abitazioni e altre strutture costruite non formalmente riconosciuti (e talvolta non trattati come parti integranti della città).

In tutte gli insediamenti informali troviamo caratteristiche ricorrenti:

  • abitazioni precarie e autocostruite, realizzate con materiali di scarto come lamiera o cartone;
  • mancanza di servizi essenziali (acqua potabile, elettricità e fognature);
  • assenza di infrastrutture (strade e spazi pubblici);
  • crescita demografica incontrollata;
  • mancanza di diritti e tutele, povertà e vulnerabilità economica.
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Queste condizioni generano problemi di malnutrizione, analfabetismo e mancanza di accesso a servizi sanitari di base. Oltre al rischio di incendi o crolli delle strutture abitative.

Secondo la Scuola di Chicago, le aree segregate sono instabili, transitorie: qui infatti osserviamo le aree della “disorganizzazione sociale e individuale” (per usare il gergo dei ricercatori della Scuola). Troviamo alti tassi di criminalità, abbandono scolastico, degrado urbano e così via.

Dati e diffusione del fenomeno

Le più grandi baraccopoli si trovano in quei Paesi in cui le disuguaglianze economico-sociali sono molto evidenti. Non solo. Spesso gli slums (termine anglosassone) nascono a seguito di importanti riqualificazioni urbane: i quartieri vengono trasformati per far nascere attività di commercio o lusso. Queste operazioni urbanistiche (gentrificazione, dall'inglese gentry), creano una vera e propria “sostituzione” dei gruppi sociali, costringendo le persone con poche disponibilità economiche che abitavano quei luoghi ad abbandonarli e ad affollare le periferie. Anche il cambiamento climatico gioca un ruolo fondamentale nell’esodo di migliaia di persone dalle campagne rurali verso le città (evidentemente non pronte ad accoglierli tutti).

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Per studiare il livello di segregazione possiamo servirci di numerosi indici: indice di dissimilarità (che quantifica la differenza c'è nella distribuzione di due o più gruppi tra le zone di una città), l’isolation index (che misura le possibilità che i membri di un gruppo incontrino membri del proprio gruppo), l’exposure index (che misura la probabilità con cui si può incontrare un membro di un gruppo sociale diverso dal proprio) e così via.

Secondo il Rapporto UN Habitat i numeri sono destinati a crescere e, a oggi, la maggior parte delle baraccopoli si trova in Africa subsahariana, mentre lo slum più popoloso al mondo è a Città del Messico a Neza-Chalco-Itza: in questa periferia vivono 4 milioni di persone.

Troviamo poi Kibera in Kenya, dove vive il 60% della popolazione della capitale (2 milioni di abitanti), Orangi Town, in Pakistan (1,8 milioni di persone), Manshiet, alla periferia del Cairo (1,5 milioni di persone); Dharavi a Mumbai, con un area di 1,7 km² e un milione di abitanti; e Petare, (370 000 persone) a est di Caracas.

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