Ogni anno grandi quantità di sostanze inquinanti entrano negli oceani di tutto il mondo: tra rifiuti, plastica, sostanze chimiche, liquami fognari e petrolio, la lista è davvero lunga. Sempre più spesso si parla quindi di inquinamento marino e si stima che l'80% di questo provenga dalla terraferma. Dal momento che le acque coprono circa il 70% della superficie terrestre, si tratta di un problema a scala globale che merita sempre più attenzione. Ma facciamo un passo indietro. Quali sono le cause e le conseguenze dell'inquinamento dei mari? E cosa stiamo facendo per contrastare questo fenomeno?
Le cause dell'inquinamento del mare
L'inquinamento marino, come vedremo a breve, si può presentare sotto diverse forme, molto diverse le une dalle altre. Volendo però fare un discorso in generale, possiamo dire che la maggior parte dell'inquinamento del mare può essere ricondotto a due tipologie di fonti: puntuali e non puntuali.
Per "fonti non puntuali" si intendono tutti quegli inquinanti che vengono prodotti non da un'unica sorgente ma da più sorgenti distribuite sul territorio: veicoli, allevamenti e industrie possono produrre sostanze inquinanti che, specialmente tramite la pioggia, possono essere accumulate, convogliate in un corso d'acqua e trasportate in mare. In questi casi quindi non è un singolo allevamento o un singolo veicolo a causare tutto l'inquinamento, ma si tratta dell'unione di tante piccole sorgenti.
Discorso diverso invece per le "fonti puntuali", che provengono cioè da una singola area, come accade ad esempio per le fuoriuscite indesiderate di petrolio o di sostanze chimiche. Come ricorda anche il NOAA, questo tipo di inquinamento può avere un impatto ambientale potenzialmente più grande di quello non puntuale anche se, per fortuna, si tratta di eventi molto meno frequenti.
Tipologie di inquinamento marino
Nonostante esistano numerose forme di inquinamento marino, le principali quattro sono: inquinamento da plastica, chimico, da petrolio, luminoso e acustico. Vediamole una per una nel dettaglio.
Inquinamento marino da plastica
Al giorno d'oggi quello della plastica è un problema a scala globale: le isole di plastica sono forse una tra le prove più evidenti di questo fenomeno.
Solitamente questo materiale è in grado di raggiungere i mari di tutto il mondo principalmente grazie ai corsi d'acqua: si stima che circa l'80% della plastica presente negli oceani venga trasportata fin lì da un migliaio di fiumi sparsi in diverse aree del mondo – con una concentrazione particolarmente alta nel sud-est asiatico.
Questo polimero sintetico rappresenta un problema a diverse scale. Se partiamo dalla scala "macro", troviamo sacchetti, cannucce, reti da pesca e oggetti di tutti i giorni che, una volta raggiunto il mare, possono andare a danneggiare gli ecosistemi marini. Chi non ha mai visto la foto di una tartaruga che mangia sacchetti di plastica scambiandoli per meduse?
Allo stesso tempo, la plastica crea problemi anche alla scala del "micro". La tematica delle microplastiche infatti è sempre più attuale e riguarda tutte quelle particelle plastiche il cui diametro è inferiore ai 5 mm. Queste possono essere prodotte ex-novo di queste dimensioni oppure raggiungerle in seguito all'alterazione: in ogni caso possono essere ingerite dalle creature marine e, risalendo la catena alimentare, giungere fino a noi. Proprio nel 2022 due diversi studi hanno dimostrato la presenza di microplastiche negli esseri umani, in particolare nel sangue e nei polmoni. È giusto specificare però che, al momento, la comunità scientifica non sa con certezza se le microplastiche nel nostro organismo siano dannose o meno (e in che misura).
Inquinamento marino chimico
L'inquinamento chimico riguarda l'inserimento (accidentale o volontario) di sostanze contaminanti nelle acque oceaniche come pesticidi, fertilizzanti, detergenti, prodotti chimici industriali ed erbicidi. Si tratta di una famiglia di sostanze molto grande, ciascuna con un diverso impatto ambientale. I fertilizzanti, ad esempio, stimolano una crescita eccessiva di alghe, portando nei peggiori casi alla cosiddetta eutrofizzazione – cioè all'assenza di ossigeno in quella porzione di mare, andando di fatto ad eliminare tutta la fauna e la flora marina presenti. Altre sostanze invece possono bio-accumularsi e risalire la catena alimentare, arrivando fino a noi, come nel caso del mercurio.
Concettualmente simile a quello chimico, troviamo l'inquinamento marino organico. In questo caso ci si riferisce principalmente ai liquami delle fognature che, senza venire trattati, finiscono direttamente in mare. In questo caso è possibile che si crei il già citato fenomeno dell'eutrofizzazione, oltre alla possibile presenza di grandi quantità di batteri potenzialmente dannosi.
Inquinamento marino da petrolio
Le perdite di petrolio possono avere dimensioni diverse. Durante il rifornimento di una nave, ad esempio, possono verificarsi piccole perdite di petrolio il cui impatto è certamente rilevante ma comunque contenuto. È però possibile che, in rare circostanze, si vengano a creare delle perdite di dimensioni ben maggiori. Questo accade ad esempio quando si rompono delle tubature, si ribalta una petroliera o un'operazione di scavo finisce male: tanto per citare un caso celebre, l'incidente sulla Deepwater Horizon causò il rilascio in mare di circa 500 milioni di litri di petrolio.
Il petrolio può rivelarsi un problema per gli ecosistemi sotto molti punti di vista: ad esempio si può attaccare al piumaggio o alla pelliccia di creature che vivono in prossimità del mare; oppure le sostanze chimiche presenti al suo interno possono contaminare le acque, andando a danneggiare l’ecosistema marino della zona.
Inquinamento luminoso e acustico
L'inquinamento non riguarda solamente sostanze "chimiche" o rifiuti che finiscono in mare. Esistono anche forme differenti alle quali solitamente non pensiamo, come l'inquinamento luminoso e quello acustico.
Per quanto riguarda quello luminoso, sembra strano pensare che anche nei "bui" oceani ci sia questo problema. In realtà sempre più studi stanno osservando come la luce che penetra nella massa d'acqua possa alterare il ritmo biologico delle creature marine, andando a scompensare i pattern di migrazione, riproduzione e nutrimento. Inoltre la luce artificiale può rendere più semplice ai predatori la cattura dei pesci.
Anche l'inquinamento acustico, per quanto nella nostra testa sia collegato principalmente a zone industriali o città trafficate, può essere un problema. Anche le acque degli oceani infatti sono inquinate dai rumori: diversi studi a carattere ambientale hanno dimostrato come grandi navi, piattaforme petrolifere, turbine eoliche e sonar possono andare a interrompere le comunicazioni tra animali, rendere più complessa la migrazione, la caccia e la riproduzione di molte specie marine.
Le conseguenze dell'inquinamento del mare
Come abbiamo anticipato, le conseguenze dell’inquinamento marino sono diverse e strettamente legate alla tipologia di inquinamento che prendiamo in considerazione. In generale possiamo dire che i primi a farne le spese sono, ovviamente, la flora e la fauna marine che possono danneggiarsi in modo irrimediabile, fino a scomparire del tutto in determinate aree. Anche le creature che vivono in prossimità dei maggiori corpi idrici possono risentire dell’inquinamento e, in realtà, anche la nostra stessa specie ne risente – dal momento che molte sostanze si bio-accumulano, arrivando nel nostro organismo tramite la catena alimentare.
Cosa stiamo facendo per rimediare all'inquinamento marino
Nonostante l'enorme quantità di acqua sulla superficie terrestre, solo negli ultimi decenni l’essere umano ha iniziato a preoccuparsi del suo stato di salute. Pensate che prima degli anni ‘70 venivano versate quotidianamente in mare enormi quantità di liquami e prodotti chimici. Oggi sembra assurdo, ma all’epoca non esistevano norme stringenti sull’argomento e, quindi, era tutto nella norma. Le cose iniziarono a cambiare nel 1975, quando venne stipulata la Convenzione di Londra, il primo accordo internazionale pensato per proteggere l’ambiente marino: al suo interno erano presenti programmi, divieti e normative per cercare di tutelare gli ecosistemi acquatici di tutto il mondo. La convenzione venne poi aggiornata nel 2006, vietando lo scarico in mare della maggior parte dei materiali e dei rifiuti tossici.
Nonostante questo sia uno tra i principali accordi sul tema, nel corso degli anni sono state intraprese dai singoli stati delle azioni più o meno importanti per cercare di contrastare queste forme di inquinamento. Un esempio che tutti conosciamo è quello del divieto di utilizzare la plastica monouso in Italia, entrato in vigore il 14 gennaio 2022.