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14 Aprile 2023
18:30

Green Fluorescent Protein (GFP), l’invenzione del technicolor nella ricerca scientifica

La GFP, Green Fluorescent Protein, è una proteina fluorescente verde scoperta nelle meduse ed oggi utilizzata nella ricerca scientifica come marcatore di geni, proteine e cellule.

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Green Fluorescent Protein (GFP), l’invenzione del technicolor nella ricerca scientifica
tecnicholor proteine
Credit: Moen et al., 2021, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

Stai studiando per un esame. Apri il libro. È immacolato, intonso, di un candore effimero. Leggi. Ecco un concetto importante. Che fai? Lo sottolinei! Sì… ma con cosa? Puoi scegliere: da un lato, una tiepida matita dal tratto leggero, che nel caso si cancella (non si sa mai!), dall’altro un esercito di pennarelli fluo, dalle tinte vivaci, uno più invitante dell’altro.

Cedi alla tentazione; quell’arcobaleno di colori non ha rivali: vai con l’evidenziatore!
“Evidenziare”, ovvero mettere in risalto, contrassegnare, porre in luce. Dal 1963, anno dell’invenzione del pennarello evidenziatore, lo facciamo in modo sgargiante. Ed è curioso notare che, negli stessi anni, seppur in modo del tutto differente, anche il mondo della ricerca scientifica si è lasciato contagiare dalla dilagante moda fluo. Pochi mesi prima del lancio dell’iconico Hi-Liter giallo, all’Università di Princeton veniva scoperta una proteina che avrebbe cambiato il modo di “evidenziare” le cellule: stiamo parlando della GFP – Green Fluorescent Protein, una proteina fluorescente verde tanto rivoluzionaria da meritare il premio Nobel per la chimica del 2008.

La medusa Aequorea victoria

Nel 1962 il ricercatore giapponese Osamu Shimomura estrae dalla medusa Aequorea victoria una proteina che, per usare le sue stesse parole, "era leggermente verdastra alla luce del sole e appena giallognola sotto quella della lampadina" ma che se illuminata con una lampada a luce ultravioletta, diventata di un "verde fluorescente brillante".

medusa Aequorea victoria

Molti esseri viventi sono bioluminescenti, ovvero in grado di produrre luce, e lo fanno per i motivi più disparati: le lucciole per farsi notare dal partner, la rana pescatrice per attrarre la preda. La nostra medusa, invece, si illumina quando si sente minacciata, probabilmente per confondere il predatore. È dotata di organelli luminosi che adornano il bordo del cappello e dove vengono prodotte due proteine: le equorine, che emettono luce blu, e la GFP, in grado di assorbire questa luce blu e di emettere a sua volta luce verde. È un meccanismo curioso: la medusa poteva accontentarsi di illuminarsi di blu, oppure poteva illuminarsi direttamente di verde. Invece, preferisce questo giocoso doppio meccanismo, indubbiamente affascinante, ma ancora incomprensibile.

La GFP come "evidenziatore molecolare"

Fino alla fine degli anni ‘80 la ricerca sulla GFP non era altro che un interessante progetto sulla chimica degli animali bioluminescenti. Ma, nel 1987 il biologo molecolare Douglas Prasher ebbe un’intuizione a dir poco geniale: utilizzare la GFP come "evidenziatore molecolare" per seguire l’espressione di un gene all’interno di un organismo vivente. Per capire come, dobbiamo concederci una ripassino di quello che gli scienziati chiamano il “dogma centrale della biologia molecolare”.

Il "dogma centrale della biologia molecolare": come il DNA diventa proteina

Nella sua definizione più semplice (e probabilmente ormai antiquata) un gene è un tratto di DNA che contiene la ricetta per produrre una proteina. Per passare da DNA a proteina, la cellula ricopia la sequenza di basi azotate del DNA (Adenina, Timina, Citosina, Guanina) su una molecola di RNA, una sorta di post-it sul quale viene trascritta la ricetta.

Il post-it viene poi portato al ribosoma, un organello cellulare che, come se fosse un cuoco, legge l’RNA e combina una precisa sequenza di amminoacidi per confezionare la proteina. In un gene, la regione “codificante”, ovvero quella che viene trascritta in RNA, è anticipata a monte da una sorta di interruttore detto “promotore”: quando il promotore è acceso, il gene viene letto, trascritto ed in seguito tradotto a proteina, viceversa, se il promotore è spento, nessuna ricetta viene letta, nessun post-it viene trascritto e nessuna proteina viene cucinata.

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Come “evidenziare” l’accensione di un gene

Torniamo a Douglas e alla sua idea da Nobel. Supponiamo di voler vedere quando un gene viene acceso all’interno di una cellula. Ad esempio, vogliamo osservare quando viene attivato il gene dell’emoglobina in un globulo rosso. Immaginiamo di poter inserire nel globulo rosso un filamento di DNA contenete il gene della GFP, ma con a monte il promotore dell’emoglobina. In questo modo, quando la cellula vuole produrre emoglobina, accenderà anche il gene della GFP che verrà trascritto in RNA e tradotto in proteina rendendo la cellula di verde!

Douglas ottenne un finanziamento di 200.000 dollari e due anni di tempo per riuscire nel suo intento. Allo scadere del contratto era riuscito “soltanto” ad isolare il gene della GFP. Terminati i soldi, fu costretto ad abbandonare il progetto. Tuttavia, era così sicuro dell’enorme potenzialità della GFP che, senza esitazioni, regalò quella preziosa sequenza di DNA ad altri due biologi, Marty Chalfie e Roger Tsien.

e.coli fluorescente
Nelle piastra petri di destra i batteri E. coli sono fluorescenti perché esprimono la GFP. Credit: DanceWithNyanko, CC BY–SA 4.0, via Wikimedia Commons

Cosa sono le proteine di fusione

Marty e Roger fecero letteralmente brillare l’idea di Douglas. Non solo dimostrarono che la GFP poteva essere usata per marcare l’espressione di un gene, ma anche che poteva essere appiccicata ad altre proteine per poterle “osservare” all’interno di una cellula. Nella foto qui sotto, il gene della GFP è stato aggiunto in coda al gene della sinaptofisina, una proteina espressa nelle sinapsi dei nostri neuroni.

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Credit: Lorenzo Gesuita, Karayannis Lab, University of Zurich

Questo doppio-gene produce una doppia-proteina, altrimenti detta “proteina di fusione”, dove la sinaptofisina è collegata alla GFP, una piccola lampadina verde che ci mostra quando viene prodotta e dove si posiziona nella cellula. Illuminando questo neurone con una luce blu, la stessa luce blu prodotta dalle equorine delle meduse, vedremo accendersi di verde tutte le sue sinapsi.

GFP: invenzione o scoperta?

Evidenziare le cellule attraverso la GFP è oggi una potente tecnica di laboratorio, ma come dovremmo definirla? Un’invenzione o una scoperta? Non abbiamo inventato la GFP; l’abbiamo scoperta all’interno della medusa. D’altro canto, l’idea di utilizzarla come marcatore è chiaramente un’invenzione. Nessuno ci impone di scegliere, perché è, a tutti gli effetti, un po’ dell’una e un po’ dell’altra.

Possiamo riflettere però su quante volte le nostre invenzioni siano innanzitutto il frutto di un’attenta osservazione della natura, con l’aggiunta di un briciolo di intuizione geniale. Nel 2008, la scoperta-invenzione della GFP vince il premio Nobel per la chimica. A ritirarlo furono Osamu Shimomura, Marty Chalfie, Roger Tsien… e no, Douglas Prasher no, non era tra i vincitori. A lui però va il merito di aver avuto quel briciolo di intuizione geniale e perché no, un pizzico di generosità intellettuale.

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