In questo articolo faremo chiarezza sulla differenza tra termini apparentemente molto simili: fosforescenza e fluorescenza. Per spiegare cosa cambi tra un fenomeno e l'altro partiremo dai concetti di luminescenza e fotoluminescenza, spiegando poi da cosa sono causati e dove li possiamo osservare nella vita di tutti i giorni.
Cos'è la luminescenza?
Col termine luminescenza, dal latino lumen, cioè “luce”, siamo soliti indicare l’emissione di radiazioni luminose in quella porzione dello spettro elettromagnetico che va da 200 nm a 1500 nm, che copre quindi dall'ultravioletto al visibile e poi all’infrarosso. Il motivo per cui avviene questa emissione di fotoni è da ricercare nello stato degli elettroni che compongono gli atomi di diversi materiali. Quando eccitati, questi vanno incontro ad una serie di transizioni elettroniche e parte dell’energia assorbita viene liberata proprio sotto forma di luce. A seconda di quale tipo di energia generi lo stato eccitato degli elettroni, la luminescenza prende diversi nomi.
Facciamo qualche esempio: con termoluminescenza si indica l’emissione di luce successiva al riscaldamento di solidi e cristalli. Per gli appassionati di storia tra voi, la termoluminescenza si utilizza per datare antiche ceramiche, terracotta e laterizi. Materiali che, nel corso del tempo, intrappolano naturalmente radiazioni alfa, beta e gamma e, una volta soggetti a riscaldamento, rilasciano energia luminosa. Un altro tipo di luminescenza è la chemiluminescenza, cioè l’emissione di luce generata in seguito a una reazione chimica (nello specifico, una ossidoriduzione). A tal proposito, questa tipologia di luminescenza viene impiegata dalla Polizia Scientifica per rilevare tracce di sangue sulle scene del crimine, grazie alla presenza del luminol, composto che se messo a reagire col perossido di idrogeno, quando catalizzato dal ferro, emette luce blu.
Alla chemiluminescenza appartiene la bioluminescenza, cioè l’emissione di luce da parte di organismi viventi, catalizzata da specifici enzimi. Un’altra importante forma di luminescenza è la fotoluminescenza, cioè la riemissione di luce da parte di composti o sostanze investiti da radiazioni elettromagnetiche. Ci soffermeremo sulla comprensione della fotoluminescenza perché è proprio a questa particolare tipologia di luminescenza che appartengono fluorescenza e fosforescenza.
Fotoluminescenza
Come appena ricordato, fenomeni di fotoluminescenza accadono quando alcuni composti o sostanze vengono investiti da radiazioni elettromagnetiche. Al variare della lunghezza d’onda di tali radiazioni, avremo comportamenti diversi da parte degli elettroni che compongono gli atomi e le molecole dei composti o delle sostanze in oggetto. In particolare, dobbiamo tenere a mente che gli elettroni eccitati dalla radiazione elettromagnetica, una volta terminato l’effetto di questa radiazione, tendono a tornare naturalmente al loro stato fondamentale. Nel passaggio da un livello energetico superiore, raggiunto a causa dell’irraggiamento elettromagnetico, a un livello energetico inferiore, parte della radiazione assorbita viene rilasciata sotto forma di luce. Che esistessero sostanze in grado di trattenere ed emettere luce in questo modo era noto da tempo, tanto che già Plinio il Vecchio ne aveva preso nota nei suoi scritti. Inoltre, nel 1602, il calzolaio e alchimista bolognese Vincenzo Cascariolo raccolse e descrisse quella che oggi viene chiamata “la Pietra di Bologna”, cioè una pietra di barite che macinata e calcinata si trasforma in solfuro di bario, dalle proprietà che scopriremo essere fosforescenti. La fotoluminescenza, infatti, si suddivide in fluorescenza e fosforescenza. Vediamo qual è la differenza.
La differenza tra fluorescenza e fosforescenza
Per molto tempo dopo l’introduzione del termine fluorescenza (il cui nome proviene dal minerale fluorite, in cui fu osservato la prima volta il fenomeno) da parte di Sir George Gabriel Stokes, professore di fisica e matematica a Cambridge, la differenza tra fluorescenza e fosforescenza si basò tutta sulla durata dell’emissione di luce al cessare dello stimolo elettromagnetico. A metà del 1800 il concetto parve piuttosto semplice: si parlava di fluorescenza se l’elettrone tornava al suo stato fondamentale in poche decine di nanosecondi, e quindi l’emissione di luce cessava quasi immediatamente, e si aveva fosforescenza quando al cessare dell’irraggiamento elettromagnetico, l’emissione di luce continuava per diverso tempo. In realtà, però, questo singolo criterio non risulta essere sufficiente perché esistono casi di prolungata fluorescenza e di breve fosforescenza, come nel caso dei sali di europio e del solfuro di zinco, composti rispettivamente fluorescenti e fosforescente, la cui emissione luminosa ha una durata simile.
La risposta arrivò qualche anno dopo, nel 1929, dal fisico francese Francis Perrin, il quale per primo individuò che la differenza principale tra fluorescenza e fosforescenza sta nel comportamento degli elettroni quando dallo stato eccitato tornano al loro stato fondamentale.
Nello specifico, la fluorescenza si ha quando l’elettrone torna al livello energetico originario in maniera diretta e veloce e la permanenza al livello energetico superiore è brevissima. Nel caso della fosforescenza, invece, l’elettrone può impiegare da qualche secondo a diversi giorni per tornare al suo stato fondamentale, perché passa per stati di eccitazione intermedi. [Valeur et al., 2011]
Dove troviamo fluorescenza e fosforescenza nella vita di tutti i giorni?
La fluorescenza viene spesso utilizzata in biochimica e biologia per individuare cellule e tessuti con precisione. Uno dei composti più usati al riguardo è la Green Fluorescent Protein (GFP), una proteina espressa dalla medusa Aequorea victoria è largamente impiegata come marker in laboratorio, proprio per le sue proprietà fluorescenti. Un esempio di fluorescenza certamente più noto a tutti è quello che riguarda le banconote. I nostri euro, se esposti a luce UV (di lunghezza d’onda pari a 365 nm), si “illuminano”, proprio grazie al contenuto di fibrille fluorescenti. Fateci caso, la prossima volta che alla cassa di un negozio gli addetti alle vendite controlleranno le vostre banconote nei rilevatori di banconote false.
Per quanto riguarda la fosforescenza, invece, viene spesso impiegata per produrre oggetti utili per la messa in sicurezza di spazi bui. A volte viene utilizzata nei materiali sportivi o nelle attrezzature da pesca, impiegati perlopiù in condizioni di scarsissima visibilità. Un altro simpatico uso, che certamente risveglierà i vostri ricordi d’infanzia, vede la fosforescenza impiegata nella realizzazione di stelline e piccoli gadget utili per rendere camere e camerette dei bambini meno buie.
Curiosità: sapete a quale tipologia di luminescenza appartengono i lightstick? I bastoncini luminosi utilizzati in discoteca o durante feste e concerti vengono spesso chiamati “fluorescenti” o “fosforescenti” ma in realtà sono…chemiluminescenti! All’interno del braccialetto di silicone, infatti, è presente una fiala di acqua ossigenata avvolta da un composto chiamato difenil ossalato. Quando attiviamo il lightstick non facciamo altro che rompere la fiala e lasciar mescolare i due composti. Parte dell’energia liberata dalla reazione chimica diventa la luce che ci affascina e diverte nelle serate in compagnia di amici e musica.