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16 Maggio 2023
12:30

Il professor Iunio Iervolino (Federico II e IUSS) ci spiega la mappa del rischio sismico ideale

Costruire in zone sismiche implica accettare un rischio implicito di fallimento. È possibile quantificarlo con una mappa per tutto il territorio italiano?

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Il professor Iunio Iervolino (Federico II e IUSS) ci spiega la mappa del rischio sismico ideale
Intervista a: Iunio Iervolino
Professore di Tecnica delle costruzioni presso UNINA (Napoli) - IUSS (Pavia)
terremoto mappa ideale

L'Italia è un Paese sismicamente molto attivo ma non tutte le zone del paese sono esposte allo stesso modo: nel 2021 è stato terminato un progetto di ricerca durato diversi anni nel quale numerosi ricercatori hanno dato vita – tra le altre cose – alla Mappa di Rischio Ideale, cioè una rappresentazione grafica a livello nazionale del rischio sismico se le strutture fossero tutte progettate al massimo della tecnologia (normativa) attuale per le costruzioni. Per approfondire l'argomento abbiamo intervistato il coordinare del progetto, il professor Iunio Iervolino del Dipartimento di strutture dell’Università di Napoli Federico II e IUSS – Scuola Superiore Universitaria di Pavia.

Una premessa sul rischio sismico

Prima di riportare gli estratti dell'intervista, è essenziale fare una premessa di dettaglio su cosa sia effettivamente il rischio sismico e perché può essere complicato averne una misura oggettiva. Questo valore può essere espresso come il prodotto di tre fattori:

  • La pericolosità, che quantifica la probabilità annuale di accadimento delle intensità dei terremoti al sito di interesse;
  • La vulnerabilità, che quantifica la suscettibilità delle costruzioni a subire danni per terremoti di date intensità;
  • L’esposizione, che misura le conseguenze dei danni.

Per una singola costruzione, possiamo intenderlo come la probabilità che in un anno si verifichino in quel luogo terremoti in grado di produrre conseguenze inaccettabili – come il tasso annuo di fallimento della struttura, del quale parleremo a breve.

Tuttavia, per quanto possa sembrare strano, le norme di progettazione attuali – incluso quella italiana che è tra le più avanzate al mondo – non consentono in generale di conoscere questa probabilità di fallimento, a meno di sviluppare calcoli laboriosi che richiedono competenze molto specifiche in merito alla quantificazione pericolosità del sito, vulnerabilità dalla costruzione, e valore delle conseguenze.

L'intervista al prof. Iunio Iervolino

Professore, cosa vuol dire esattamente "Rischio Implicito"?

Gli attuali codici normativi tengono conto del fatto che è impossibile progettare una struttura totalmente a prova di fallimento: per questo motivo vengono date delle indicazioni per fissare queste probabilità, dato un terremoto di una certa intensità. Tuttavia oggi risulta abbastanza complesso conoscere il rischio implicito, cioè il rischio sismico che "implicitamente" si accetta nell’occupare un edificio progettato.

Da questa considerazione, nasce l'idea di provare a quantificarlo numericamente e su larga scala, dandogli una rappresentazione grafica che possa essere di aiuto a comprendere il fenomeno e la sua variabilità su scala territoriale. Da qui il progetto di ricerca, il cui nome per intero è Rischio Implicito delle Norme Tecniche per le Costruzioni (RINTC). Si riferisce al fatto che tutte le strutture hanno un rischio intrinseco di fallimento per cause sismiche, anche se ben progettate.

Quindi, partendo da tipologie comuni di edifici residenziali (come quelli della figura qui sotto), abbiamo calcolato – tramite sofisticate analisi numeriche – l'effettivo rischio implicito associato al collasso strutturale per azioni sismiche.

Immagine
Esempi di edifici residenziali in cemento armato studiati nel progetto sul rischio implicito delle costruzioni (RINTC).

Cosa è una mappa di rischio ideale? Come deve interpretarla una persona “non addetta ai lavori”?

Le norme per le costruzioni attuali sono entrate vigore meno di quindici anni fa, mentre gli edifici del patrimonio costruito italiano sono mediamente molto più vecchie. La Protezione Civile ci ha chiesto di creare, a partire dai risultati del progetto, la mappa del rischio sismico delle costruzioni in Italia se queste fossero tutte sostituite da strutture progettate secondo queste norme e poi anche se fossero tutte isolate sismicamente alla base.
Questo esercizio ideale consente due obiettivi giudicati di grande interesse:

  • Quantificare, a scala nazionale, il beneficio in termini di sicurezza sismica implicato dalle norme attuali;
  • Comunicare ai portatori di interesse, gli amministratori, e in linea di principio anche ai cittadini, come la tecnologia allo stato dell’arte consenta eventualmente di ridurre il rischio sismico, ma non eliminarlo del tutto.

L'immagine in basso ne rappresenta un esempio. Si nota come il rischio vari lungo lo sviluppo planimetrico del territorio nazionale, con zone meno rischiose (colori freddi) e zone più rischiose (colori caldi). Non esistono di fatto punti che hanno rischio zero.

Immagine
Mappe di rischio ideale in termini di tasso annuale che impedisce l’uso di: (a) edifici di cemento armato ordinario e muratura; edifici in c.a.; (b) edifici isolati alla base. Figura adattata da [2]

Nelle mappe mostrate qui sopra, si visualizza su scala nazionale il tasso di fallimento. Se volessimo dare un’idea più pop di questo dato, Lei come la darebbe?

Il tasso annuo di fallimento di una costruzione è il numero atteso di terremoti che possono occorrere in un anno in un dato sito di costruzione e causarne il fallimento.
Facendo alcune ipotesi, il tasso consente di calcolare la probabilità annua di fallimento. Volendo fare un'analogia, anche se molto grossolana, il tasso di fallimento è il numero atteso all’anno di incidenti stradali mortali (i terremoti che causano il fallimento) che una persona di una certa categoria (un edificio di una data tipologia strutturale, es. cemento armato) ci si aspetta si debba affrontare ogni anno.
Per fortuna sia per gli incidenti che per i terremoti, questo numero è molto minore di uno.

Quali risultati emergono come importante conclusione di questa ricerca?

Diversi! Molti di natura piuttosto tecnica e quindi poco utile da menzionare in questa sede. Trovo però utile sottolineare i seguenti punti emersi, certamente di interesse anche per i non addetti ai lavori:

  1. Lo studio dimostra come l'aggiornamento normativo abbia consentito di ridurre drasticamente il rischio sismico atteso. In altre parole, progettare e costruire oggi rende l’abitare sostanzialmente meno rischioso dal punto di vista sismico che in passato;
  2. Ricerche ulteriori sembrano preliminarmente indicare che sia meno rischioso morire per colpa di un terremoto piuttosto che per altri rischi cui si trovano esposti i cittadini (es., tumori, incidenti stradali e vari);
  3. Strutture progettate con medesimi criteri hanno rischio sismico maggiore in alcune zone di Italia rispetto ad altre. Lo si vede sempre dal grafico in basso: costruire a L'Aquila espone ad un rischio maggiore che a Milano dal punto di vista sismico. Questo è uno dei temi attuali della ricerca, cioè ambire ad avere una norma tecnica che renda uniforme il rischio a cui sono esposti i cittadini.

Come può questo studio aiutare/educare i non addetti ai lavori sulle tematiche del rischio sismico?

I terremoti sono un fenomeno complessissimo che non osserviamo direttamente, se non attraverso gli effetti, come la registrazione dello scuotimento che producono o i danni conseguenti. Allo stesso modo il comportamento delle costruzioni durante i terremoti può essere molto complesso da prevedere. Ciò fa sì che il problema della scurezza sismica sia un tema che è avvolto da grande incertezza. L’unico modo che conosciamo per quantificare le incertezze – o almeno quello più convincente scientificamente – è il calcolo delle probabilità.

Questo studio, mostrando che esiste una probabilità di fallimento anche per le strutture progettate allo stato dell’arte, mostra quanto sia illusorio l’obiettivo di azzerare i rischi, soprattutto quelli di origine naturale. Di fatto, esso rafforza l’esigenza che abbiamo, da cittadini, di imparare le competenze di base per capire le misure (probabilistiche) dei rischi, e ciò non può che coinvolgere l’istruzione e quindi la scuola, per potere prendere decisioni razionali su di esse.

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