I dati sono la moneta del ventunesimo secolo e, per questo motivo, il loro controllo è un elemento chiave nella geopolitica globale. Attualmente due tra i principali player a livello mondiale sono Stati Uniti e Cina e l'ITIF (Information Technology & Innovation Foundation) stima che nei cavi ogni giorno avvengano transazioni economiche dal valore superiore ai mille miliardi di dollari. Ma c'è il rischio che i cavi vengano sabotati da un Paese rivale? E perché non utilizziamo i satelliti per comunicare?
Partiamo col dire che i cavi sottomarini hanno un costo estremamente elevato: quelli in fibra possono costare tra i 30-40 e gli 80-90 mila euro al km, mentre quelli per l'energia possono tranquillamente raggiungere i 100 mila/km per la bassa tensione e i 500 mila/km per l'alta tensione. I cavi armati possono addirittura raggiungere l'esorbitante cifra di 800 mila euro al chilometro!
Trattandosi di investimenti così importanti, è facile capire come i principali investitori in questo campo siano le aziende di telecomunicazione, accanto a grandi compagnie come Amazon, Facebook o Google.
Una domanda che sarebbe lecito farsi è: ma è possibile che un Paese sia in grado di sabotare i cavi di un altro Paese? La risposta è sì, specialmente oggi, visto che la posizione dei cavi è sostanzialmente di pubblico dominio e, in pieno Oceano, nessuno li sorveglia. Storicamente questo è già avvenuto, come nel caso degli USA durante la Guerra Fredda, oppure nel 2013, quando tre uomini sono stati arrestati con l'accusa di aver volontariamente tranciato un cavo che collegava la Francia a Singapore.
Sempre più spesso si sente poi parlare dei satelliti come possibile alternativa ai cavi sottomarini, come nel caso di Starlink, la compagnia gestita dal miliardario Elon Musk. Ma per quale motivo questa tecnologia non ha ancora rimpiazzato i cavi sottomarini? Guarda il video per scoprirlo.
C@vi sottomarini – la serie
Nel caso ve li foste persi, trovate di seguito i due precedenti episodi della serie: