La marcia su Roma fu una manifestazione armata, avvenuta tra il 27 e il 30 ottobre 1922, attraverso la quale il Partito nazionale fascista, guidato da Benito Mussolini, conquistò il potere. Il fascismo, pur essendo nato solo nel 1919, divenne in pochi anni un movimento di massa grazie alla crisi nella quale si trovò l’Italia dopo la Prima Guerra Mondiale. Tra il 1921 e il 1922 le squadre fasciste compirono violenze in molte località, aggredendo gli oppositori ma guadagnandosi il consenso di alcuni ceti sociali. Nell’ottobre del 1922 Mussolini e i suoi seguaci ordinarono alle camicie nere di marciare su Roma per fare pressione sul re, Vittorio Emanuele III, affinché affidasse loro il governo. Il sovrano cedette e chiamò Mussolini a formare il nuovo governo. Il Ventennio era così iniziato.
L’Italia al termine della Prima Guerra Mondiale e il biennio rosso
Per comprendere come fu possibile la marcia su Roma, bisogna considerare che dopo la Prima Guerra Mondiale l’Italia, pur essendo uno dei Paesi vincitori, dovette affrontare una seria crisi politica, sociale ed economica. Milioni di contadini e altri uomini appartenenti a ceti più umili erano state richiamati alle armi e, al fronte, avevano acquisito coscienza dei loro diritti. Al ritorno si aspettavano che loro condizioni migliorassero, ma il sistema politico-economico italiano si rivelò incapace di dare risposte adeguate. Gli anni 1919 e 1920 sono noti come biennio rosso, perché in tutto il Paese ebbero luogo accese proteste: gli operai organizzarono scioperi e occupazioni di fabbriche; i contadini occuparono le terre in molte regioni. Tra i gruppi politici, si rafforzarono il Partito popolare, di ispirazione cattolica, e, soprattutto, il Partito socialista, che alle elezioni del 1919 si impose come maggiore partito italiano, creando preoccupazioni e timori nella classe dirigente.
Altre tensioni erano provocate dalla situazione internazionale: le correnti politiche nazionaliste, uscite rafforzate dalla guerra, protestavano perché ritenevano insufficienti le acquisizioni territoriali ottenute dall’Italia dopo la vittoria in guerra.
L’ascesa del fascismo
Nel biennio rosso nacque anche il movimento dei Fasci di combattimento, fondato a Milano il 23 marzo 1919. Promotore fu un ex socialista, Benito Mussolini, che dirigeva il giornale “Il Popolo d’Italia”. Il movimento dei Fasci riuniva al suo interno alcune componenti del fronte interventista (cioè di coloro che, negli anni precedenti, erano stati favorevoli all’intervento dell’Italia in guerra) e intendeva sostenere le rivendicazioni degli ex combattenti. Il primo programma dei Fasci era molto progressista, ma il movimento, presentatosi alle elezioni del 1919, non ebbe successo e dal 1920 si spostò progressivamente “a destra”, sposando le istanze dei proprietari terrieri. Nacque così lo squadrismo: gruppi armati di fascisti aggredivano gli avversari politici e assaltavano le leghe sindacali che si battevano per l’assegnazione delle terre ai contadini.
Con il passare del tempo il movimento si rafforzò e nel 1921 si trasformò in un partito, il Partito nazionale fascista (Pnf). Nel 1922 le squadre di azione poterono occupare intere città, giovandosi spesso della neutralità, se non del sostegno, delle forze dell’ordine, che vedevano nei fascisti un argine all’ascesa del socialismo.
Il colpo di Stato: marcia su Roma e occupazioni nelle provincie
Nel 1922 Mussolini decise che era giunto il tempo di chiedere il cambio del governo, guidato in quel momento dal liberale Luigi Facta. Organizzò perciò un colpo di Stato, che prevedeva una dimostrazione armata a Roma e l’occupazione degli edifici strategici – prefetture, stazioni ferroviarie, centri di comunicazioni – nelle altre città. Le insurrezioni ebbero luogo tra il 26 e il 27 ottobre 1922 in numerose provincie, soprattutto nel Centro-Nord.
Per guidare la marcia verso la capitale fu invece costituito un “quadrumvirato” composto da:
- Italo Balbo, uno dei capi squadristi più in vista;
- Michele Bianchi, segretario del Partito fascista;
- Emilio De Bono, generale dell’esercito;
- Cesare Maria de Vecchi, esponente fascista vicino alla monarchia.
Il quadrumvirato si stabilì a Perugia; Mussolini restò invece a Milano (forse per essere vicino al confine svizzero in modo da poter scappare se le cose fossero andate male).
Il piano prevedeva che le camicie nere si concentrassero in alcune località vicine a Roma prima di entrare nella capitale. Il raduno iniziò il 28 ottobre e continuò l’indomani. Si riunirono circa 15.000 camicie nere. Il governo invitò i prefetti a reprimere l’insurrezione e proclamò lo stato d’assedio (cioè invitò l’autorità militare a reagire con la forza). I fascisti non avrebbero potuto resistere se l’esercito avesse cercato di fermarli, ma il re, Vittorio Emanuele III, rifiutò di firmare il decreto che istituiva lo stato d’assedio, di fatto dando via libera alle camicie nere. Sulle ragioni per le quali il sovrano rifiutò la firma si è discusso a lungo. Forse aveva ricevuto pressioni dai vertici militari o da esponenti nazionalisti; probabilmente, temeva che affrontare militarmente i fascisti significava dare avvio a una guerra civile.
L’arrivo di Mussolini a Roma
Quando iniziò il colpo di Stato, i fascisti non sapevano se pretendere che Mussolini diventasse presidente del consiglio o accontentarsi di un cambio dell’esecutivo. Visto l’esito della marcia, Mussolini poté chiedere di essere nominato capo del governo. Il re accettò e lo convocò a Roma mediante telegramma. Le squadre fasciste, rafforzate dalle numerose camicie nere arrivate all’ultimo momento, poterono entrare in Roma e sfilare davanti al re. Il numero esatto dei partecipanti alla sfilata non è noto, ma probabilmente si aggirava intorno a 30-40.000 persone. Nella capitale i fascisti si resero responsabili di violenze contro gli oppositori e i cittadini.
Dopo la marcia su Roma, Mussolini formò un governo di coalizione, del quale, insieme ai fascisti, facevano parte esponenti liberali, popolari e nazionalisti. Nel volgere di pochi anni, i ministri non fascisti furono estromessi e iniziò la dittatura vera e propria.