La schiavitù purtroppo esiste da millenni, ma tra il ‘500 e l’800 si sviluppò una specifica tratta degli schiavi dall’Africa alle Americhe. Milioni di africani furono infatti deportati come forza lavoro per le piantagioni, le miniere e vari lavori domestici. Vediamo meglio di cosa si tratta.
Cos’è lo schiavismo
Lo schiavismo è il principio per il quale un essere umano, lo schiavo, diventa di proprietà di un altro uomo, il padrone. Nella forma “classica” del sistema schiavistico, il padrone ha diritto di vita e di morte sullo schiavo, può sfruttarne il lavoro a suo piacimento e ne garantisce la sopravvivenza, fornendogli vitto e alloggio, solo perché è un “oggetto” di sua proprietà. Tuttavia nel corso della storia sono esistite numerose forme di schiavitù e dipendenza. Per esempio, nell’Europa medievale era diffusa la servitù della gleba, in base alla quale i contadini erano obbligati a coltivare la terra del loro padrone, sebbene non fossero schiavi nel senso tradizionale del termine.
Ma perché si diventava schiavi? Le cause principali erano due: anzitutto la cattura in guerra o durante razzie organizzate appositamente; in secondo luogo per debiti, perché in alcune società, se una persona non aveva modo di rimborsare un creditore, diventava egli stesso un oggetto di sua proprietà. Inoltre, i figli degli schiavi diventavano essi stessi schiavi e nascevano già in condizione servile.
Le origini del sistema schiavistico
La schiavitù esiste da quando l’uomo, superata l’economia di caccia e raccolta, ha iniziato a costituire società complesse e stratificate. Era già conosciuta tra i popoli del neolitico e in seguito fu ampiamente praticata nella civiltà greca e romana. L’avvento del cristianesimo comportò gradualmente la fine della schiavitù “classica”, ma essa fu sostituita da altre forme di privazione della libertà, come la servitù della gleba. Nel Medioevo, inoltre, continuò a essere praticata la riduzione in schiavitù dei prigionieri di guerra appartenenti ad altre religioni: i cristiani schiavizzavano i musulmani e viceversa.
Come è iniziata la tratta degli schiavi e perché
La tratta atlantica degli schiavi ebbe luogo tra il ‘500 e l’800. Dopo la conquista europea del continente americano, le popolazioni indigene si ridussero drasticamente, sia a causa dello sfruttamento al quale erano sottoposte, sia, soprattutto, per le malattie “importate” dai colonizzatori. A questi ultimi serviva forza lavoro per mettere a frutto i nuovi possedimenti, in particolare per creare e coltivare piantagioni e per sfruttare le risorse del sottosuolo. La soluzione fu "importare" schiavi dall’Africa.
Nel continente africano la schiavitù era ampiamente praticata. I popoli e i regni più forti compivano razzie per accaparrarsi schiavi tra gli altri africani, che in genere vivevano in società prive di Stati consolidati. Una parte degli schiavi restava in Africa al servizio di coloro che li avevano catturati, ma molti erano venduti ad acquirenti musulmani attraverso la tratta araba e finivano deportati nei Paesi mediorientali.
Dall’inizio del ‘500 gli europei entrarono nel “commercio”, deportando gli schiavi in America. Secondo le stime più attendibili, furono ridotte in schiavitù e deportate circa dodici milioni di persone (meno della tratta araba, le vittime della quale furono tra 14 e 17 milioni).
Come avvenivano la cattura e la deportazione
I principali protagonisti della tratta furono i popoli che disponevano delle migliori tecnologie navali: in primis portoghesi e inglesi e, in misura minore, francesi, spagnoli, olandesi e danesi. Gli europei, però, non catturavano direttamente gli schiavi (con alcune eccezioni), ma li acquistavano da mercanti africani che li avevano precedentemente razziati. Gli europei, infatti, non potevano avventurarsi nell’entroterra dell’Africa a causa delle condizioni inospitali, in particolare per la presenza della malaria, contro la quale non avevano difese immunitarie. Perciò attendevano sulla costa, dove avevano costruito apposite fortezze.
Dopo la cattura, gli schiavi erano condotti dai loro razziatori africani verso la linea costiera, in genere legati tra loro perché non potessero fuggire, ed erano poi ceduti agli europei in cambio di beni come stoffe, armi da fuoco, liquori, persino conchiglie. Erano quindi imprigionati in attesa che fosse pronta una nave per deportarli in America.
Il viaggio degli schiavi
Le navi negriere in genere compivano un percorso triangolare: dall’Europa in Africa portando i beni da usare come moneta per l’acquisto degli schiavi; dall’Africa all’America per deportare gli uomini che avevano “comprato”; dall’America all’Europa dopo aver fatto carico di materie prime di genere minerario o agricolo.
La traversata dell’Atlantico con gli schiavi durava da uno a sei mesi a seconda delle condizioni meteorologiche. Una parte significativa dei deportati moriva durante il viaggio, che avveniva in condizioni terribili: gli schiavi venivano legati l’uno all’altro, con poca acqua e poco cibo, e minacciati in continuazione di morte dai negrieri. Le rivolte erano frequenti (in media su una nave ogni dieci), ma avevano sempre esito tragico perché i ribelli venivano uccisi.
I principali luoghi di destinazione erano il Brasile portoghese, nel quale furono deportate circa 5 milioni di persone, e i territori caraibici colonizzati dal Regno Unito e dalla Francia, dove furono introdotti 3,5 milioni di schiavi. Meno ingente fu il numero di deportati nelle colonie spagnole (circa 1,3 milioni) e nell’America del Nord (400.000-600.000).
Gli schiavi in America
Giunti in America, gli schiavi erano venduti in veri e propri mercati, dove talvolta si tenevano delle aste, o persino in negozi specializzati. La maggior parte dei malcapitati era acquistata dai proprietari terrieri europei, che li usavano per impiantare e coltivare piantagioni di canna da zucchero, cotone, tabacco, caffè, ecc. Questo ebbe una conseguenza importante sull’economia americana, perché favorì lo sviluppo delle monocolture: i territori si specializzarono nella produzione di una sola merce. Esistevano però anche schiavi domestici, cioè “usati” in casa come camerieri, stallieri, ecc.
Le condizioni degli schiavi, nonostante alcune differenze a seconda dei contesti, erano terribili: lavoravano in base a turni massacranti e per ogni mancanza o errore erano puniti con frustate e torture vere e proprie. Per le schiave erano frequenti le violenze sessuali, che avvenivano anche al fine di provocare gravidanze e “produrre” così nuovi schiavi. Alle difficoltà fisiche e materiali si aggiungeva il dramma psicologico di essere stati strappati alla propria terra e alle proprie famiglie senza possibilità di fare ritorno.
L'abolizione della tratta degli schiavi
La tratta degli schiavi terminò nell’Ottocento. Inizialmente fu vietata dalla Francia, temporaneamente, alla fine del ‘700, e dal Regno Unito nel 1807, ma al Congresso di Vienna– il celebre incontro del 1815 che risistemò l’Europa dopo il periodo di Napoleone – i Paesi schiavisti si accordarono per abolirla del tutto.
La deportazione degli africani terminò, ma questo non comportò la liberazione di chi era già schiavo o nasceva tale. L’abolizione della schiavitù, infatti, nei Paesi americani fu decretata gradualmente nel corso dell’Ottocento. L’ultimo Paese a farlo fu il Brasile nel 1888, mentre negli Stati Uniti era stata vietata a livello federale nel 1865 (in precedenza era legale e ampiamente praticata in tutti gli Stati del Sud). L’abolizione fu dovuta non solo a una presa di coscienza “umanitaria”, ma anche e soprattutto all’evoluzione dell’economia: nel sistema capitalista, che nell’Ottocento si affermò in tutto l’Occidente, è più vantaggioso disporre di forza lavoro salariata che di schiavi.