Il lago d'Orta, uno specchio d'acqua di origine glaciale stretto tra colline e montagne nella regione del Cusio in Piemonte, non è certamente tra i più famosi in Italia nonostante la forte vocazione turistica. La sua storia è però una importante testimonianza degli effetti dell'industrializzazione sul territorio italiano, ma anche di un successo nella riparazione dei danni causati dall'uomo. Le acque di questo lago, un tempo ricche di vita e fonte di sussistenza per gli abitanti della zona, vennero rapidamente inquinate dall'arrivo delle prime industrie, portando alla scomparsa della fauna ittica già alla fine degli anni '20 del Novecento.
Gli studi di accademici di esperti come Rina Monti identificarono nello scarso ricambio delle acque e nelle concentrazioni di metalli pesanti la causa principale del declino. A partire degli anni '80, interventi di controllo degli scarichi e, in particolare, la bonifica delle acque tramite spargimenti di carbonato hanno permesso di ripristinare l'habitat naturale. La storia tormentata del lago ha quindi un lieto fine, e rappresenta un esempio di importanza internazionale per la riqualificazione di bacini idrici fortemente inquinati.
Il Lago d'Orta e le industrie tessili Bemberg
Il lago d'Orta, situato nella regione piemontese del Cusio, a inizio Novecento era famoso per la sua pescosità, oltre che per gli scorci pittoreschi delle sue rive e della piccola isola di San Giulio, sede di una abbazia costruita sulle fondamenta di un vecchio castello e dell'omonima Basilica.
Alimentato solo da alcuni torrenti, il lago possiede un solo torrente emissario (che esce dal lago): per questo motivo, il ricambio di acqua del bacino è decisamente lento e la maggior fonte d'acqua è quella piovana. Le sue acque presentavano perciò pochi sali minerali disciolti (un basso residuo fisso), temperatura dei fondali costante e una "purezza" da acqua potabile.
Grazie a questo ecosistema particolare, era ricco di fauna ittica e plancton, come testimoniarono le analisi condotte nel 1925 dallo svizzero Hans Bachmann. Bachmann era stato incaricato ditta Bemberg, un'azienda tessile tedesca di trovare un luogo adatto per un impianto di produzione del Rayon, fibra a base di cellulosa simile alla seta. La produzione richiedeva acqua molto pura, in cui disciogliere la cellulosa, che, reagendo con un composto del rame, il tetrammino rame [Cu(NH3)42+], poteva polimerizzare ed essere lavorata per estrusione formando la fibra tessile.
Come in pochi anni l'industria ha distrutto la flora ittica del lago d'Orta
Visti i risultati promettenti, la Bemberg fondò un impianto a Gozzano, cittadina alla punta meridionale del lago. La produzione cominciò nel settembre del 1926 e appena due anni dopo, analizzando nuovi campioni inviati dalla ditta, Bachmann constatò la scomparsa della popolazione di plancton nelle acque prelevate nell'area.
Gli studi di Rina Monti, prima donna a ottenere una cattedra nel Regno d'Italia nel 1909 a Sassari e insediata in quegli anni all'Università di Milano, confermarono nel 1929 la tragica situazione. Nel pubblicare i risultati, in apertura dichiarerà che:
Il Lago d'Orta, che fu celebre per la sua ricchezza di pesce, specialmente le sue belle trote salmonate, è ormai diventato sterile e deserto. Tutta la flora e fauna d'alto lago è già completamente scomparsa […]
Le analisi, effettuate da esperti delle Università di Milano e Pavia, dimostrarono la tossicità delle acque e dei sedimenti, che risultavano in grado di ridurre fortemente la popolazione batterica nelle colture di prova. Le procedure di decantazione e recupero dei reattivi della ditta Bemberg portavano infatti al rilascio di rame e composti del ferro, in grado di consumare rapidamente l'ossigeno disciolto e rimanere sospesi nelle acque a lungo. I primi a pagarne le conseguenze furono gli organismi unicellulari e il plancton, seguiti dai pesci che andarono più lentamente incontro all'estinzione locale, per mancanza di cibo e per gli effetti tossici del rame sull'apparato branchiale.
L'inquinamento industriale del lago
La Bemberg non fu l'unica azienda a causare danni al lago d'Orta: nel secondo dopoguerra si diffusero sul territorio numerose aziende produttrici di rubinetti (da qui il nome "Distretto del rubinetto"). Oltre ai composti di ferro e rame, gli scarichi della Bemberg e gli scarichi della aziende galvaniche dei rubinetti rilasciarono anche metalli pesanti come cromo e nichel e composti acidificanti come l'ammonio solfato.
L'ammonio viene ossidato in nitrato (NH4+ + 2O2 → NO3– + 2H+ + H2O), consumando ancora di più l'ossigeno disciolto nell'acqua e aumentando la concentrazione di ioni idrogeno in soluzione. Più questa concentrazione aumenta, più diventa acida la soluzione. La concentrazione degli ioni idrogeno si misura tramite il pH, una scala di valori che ci indica quanto una soluzione è basica o acida: pH 7 è neutro, valori di pH inferiori a 7 indicano una soluzione acida, mentre pH superiori indicano una soluzione basica.. Alla fine degli anni Ottanta, il pH dell'acqua raggiunse valori tra 3.9 e 4.4, lontanissimi dall'originario 7.2 (pH neutro) misurato nel periodo pre-industriale, facendo diventare l'Orta il "più grande lago acidificato del mondo"
Normalmente, la presenza di sali minerali e altre specie in soluzione possono rallentare le variazioni di pH grazie a reazioni di equilibrio, tramite un processo chimico chiamato "effetto tampone", ma la caratteristica naturale scarsità di sali minerali disciolti nel lago ridusse la capacità delle acque di resistere all'acidificazione.
Il risanamento del lago d’Orta grazie al carbonato di calcio
Nel corso dei successivi decenni, progressivi miglioramenti nella gestione e riduzione degli scarichi e dell'inquinamento da parte delle industrie portarono alla ricomparsa di vita nel lago: una pubblicazione dell'Istituto Italiano di Idrobiologia del 1958, pur riconoscendo questi sforzi e il ritorno di alcune specie come le diatomee, constatò però la persistenza del rame nelle acque, con una scarsa precipitazione dei sali sul fondale. Seguirono interventi trattare le acque fognarie residenziali, ma lo scarso ricambio d'acqua dovuto alla particolare geografia del lago costrinse ad azioni più incisive per il recupero degli ecosistemi.
Per questo motivo, nel biennio 1989-1990 si decise di spargere 14900 tonnellate di calcare, un processo chiamato liming (dall'inglese limestone, “calcare”).
Il carbonato di calcio (CaCO3) contenuto nel calcare è solubile in acqua e in ambiente acido reagisce con gli ioni idrogeno presenti per formare acido carbonico, che si decompone velocemente in anidride carbonica (CO2) e acqua (H2O). Questa reazione permette di abbassare la concentrazione degli ioni idrogeno (che vengono consumati dalle reazioni con il carbonato) e quindi di aumentare il pH riportandolo ai valori pre-industriali: negli anni Duemila i valori di pH raggiunsero così i 6.8-6.9, ripristinando la natura neutra dello specchio d'acqua. Avendo eliminato gli scarichi incontrollati da industrie o abitazioni, l'ammonio residuo fu completamente consumato e questa variazione portò anche alla riduzione della concentrazione dei metalli sospesi in soluzione o disciolti nelle acque del lago, grazie all'aumento della precipitazione sui fondali.
Il successo dell'operazione e i ripopolamenti hanno riportato diverse specie ittiche al Lago d'Orta, e ne hanno anche permesso l'uso balneare favorendo l'afflusso turistico: come per l'area del lago Maggiore, anche il Cusio è diventata meta di vacanza per svizzeri, francesi e tedeschi.