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15 Marzo 2025
20:07

La storia del virus Michelangelo che il 6 marzo 1992 terrorizzò il mondo

Il 6 marzo 1992 il virus Michelangelo avrebbe dovuto mandare in tilt milioni di computer in tutto il mondo. Perlomeno questo fu quanto annunciato da alcuni “profeti di sventura”, come John McAfee. Ecco, invece, cosa accadde quel giorno.

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La storia del virus Michelangelo che il 6 marzo 1992 terrorizzò il mondo
floppy disk

Negli anni '90, la minaccia dei virus informatici era in costante crescita, ma pochi episodi hanno suscitato un allarme globale quanto quello legato al virus Michelangelo, pensato per infettare i sistemi MS-DOS. Scoperto nel 1991, questo malware ha attirato un'attenzione senza precedenti fino a quel momento a causa della sua presunta capacità distruttiva e della sua attivazione programmata per una data specifica: il 6 marzo di ogni anno, giorno del compleanno dell’artista rinascimentale Michelangelo Buonarroti. A differenza di altri virus che si limitavano a mostrare messaggi o a causare piccoli inconvenienti, Michelangelo aveva un obiettivo preciso e devastante: cancellare dati dai computer infetti sovrascrivendo i settori critici del disco rigido. La sua modalità di diffusione sfruttava i floppy disk, all’epoca ampiamente utilizzati (oggi quasi spariti del tutto), permettendogli di propagarsi silenziosamente tra i computer dell'epoca.

Alcuni analisti ed esperti informatici, tra cui il controverso John McAfee, avanzarono stime catastrofiche secondo cui milioni di computer sarebbero stati colpiti inesorabilmente dal virus, causando perdite enormi. Quando il fatidico 6 marzo 1992 arrivò, il danno effettivo fu molto inferiore alle aspettative e la propagazione dell'infezione fu alquanto contenuta. Il caso Michelangelo dimostrò quanto fosse facile alimentare il panico (non che oggi le cose stiano poi così diversamente) e quanto fosse cruciale adottare un approccio più scientifico nella valutazione delle minacce informatiche. Allo stesso tempo, il caso Michelangelo accelerò la diffusione dei software antivirus e aumentò la consapevolezza dell’importanza della cybersecurity, lasciando un'eredità che ancora oggi influenza il modo in cui affrontiamo le minacce digitali.

La paura di un’“apocalisse informatica”

Nonostante i virus informatici fossero già presenti da anni (il primo virus di cui abbiamo notizia, Elk Cloner, venne sviluppato nel 1982 dal 15enne Richard Skrenta), Michelangelo si distinse per il suo potenziale distruttivo e per la rapidità con cui riuscì a diffondersi. A differenza di minacce più moderne che sfruttano Internet, questo virus si propagava tramite supporti fisici, in particolare attraverso il settore di avvio dei floppy disk. Quando un computer veniva acceso con un disco infetto, il virus si caricava nella memoria e si installava nel settore di avvio del disco rigido, infettando ogni altro floppy inserito nel sistema. Questo metodo di diffusione era estremamente efficace in un'epoca in cui la condivisione di floppy disk era una pratica comunissima.

La scoperta di Michelangelo avvenne nel 1991 grazie a Roger Riordan, un esperto australiano di sicurezza informatica. Riordan notò che il virus era una variante di un altro malware noto come Stoned, che si limitava a mostrare il messaggio «Il tuo PC è ora Stoned!» all'accensione del computer. Michelangelo era decisamente più insidioso: non dava alcun segnale della sua presenza fino alla data prestabilita, quando sovrascriveva i primi cento settori del disco rigido con dati nulli, rendendo impossibile l'accesso ai file. Senza gli strumenti adeguati, il ripristino delle informazioni era quasi impossibile per gli utenti comuni.

La notizia della scoperta di Michelangelo si diffuse rapidamente tra gli esperti di sicurezza, ma il vero allarme scattò nei mesi successivi, quando il virus iniziò a essere rilevato in diversi computer in tutto il mondo. Nel gennaio 1992, si scoprì che centinaia di PC venduti dall'azienda statunitense Leading Edge erano stati distribuiti con il virus già presente nei loro dischi! Anche altri produttori si trovarono ad affrontare situazioni simili, alimentando il timore che il 6 marzo 1992 potesse trasformarsi in una giornata “nera” per la storia dell'informatica. I media, affascinati dall’idea di un “contagio digitale” con una scadenza precisa, contribuirono a creare un vero e proprio caso mediatico, amplificando le previsioni più pessimistiche.

In questo clima di crescente allarme, le aziende di sicurezza informatica sfruttarono l'occasione per promuovere i loro prodotti. John McAfee, fondatore dell'omonima azienda di antivirus, fu tra i più attivi nel lanciare avvertimenti sulle possibili conseguenze di Michelangelo, arrivando a stimare che l'infezione si sarebbe diffusa su 5 milioni di computer. Queste affermazioni spinsero molti utenti a cercare soluzioni per proteggere i propri dati, facendo impennare le vendite di software antivirus.

Cosa accadde il 6 marzo 1992

Il 6 marzo 1992 arrivò tra attese e timori. I primi report provenienti dall'Asia e dall'Australia indicavano che l'impatto del virus era stato limitato, ma i media occidentali attesero con ansia i resoconti dall'Europa e dagli Stati Uniti. Durante la giornata, alcune aziende e istituzioni riportarono malfunzionamenti attribuiti a Michelangelo, ma nulla che si avvicinasse all’“apocalisse informatica” paventata nelle settimane precedenti. A fine giornata, l'Associated Press e altre agenzie di stampa pubblicarono articoli che ridimensionarono l'accaduto. Secondo le nuove stime, il numero reale di computer colpiti si aggirava intorno alle 10 o 20 mila unità, una cifra ben lontana dalle previsioni fatte da MacAfee e company.

Per tirare un po' le somme, possiamo dire che il virus Michelangelo non distrusse il mondo digitale, ma insegnò una lezione importante: nel mondo della cybersecurity, la paura può diffondersi più velocemente dei virus stessi. E, come avremmo visto anni dopo con il Millennium Bug, non sempre un disastro annunciato si trasforma in realtà.

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