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L’attacco a siti nucleari, come impianti di arricchimento dell’uranio e depositi di materiale fissile, non comporta il rischio di una detonazione nucleare, poiché mancano la configurazione geometrica critica e il sistema di innesco necessari per realizzare una reazione di fissione a catena esplosiva. Questo punto ha generato qualche confusione, per esempio, in occasione dei recenti attacchi ai siti nucleari iraniani da parte di Israele. Tuttavia, il rischio primario risiede nella possibile dispersione di materiale radioattivo, che può determinare contaminazione ambientale e conseguenti effetti negativi sulla salute pubblica. Per tali ragioni, il danneggiamento di impianti nucleari, sia civili che militari, è considerato estremamente pericoloso e destabilizzante, anche in assenza di un’esplosione atomica.
Differenza tra "materiale nucleare" e "ordigno atomico"
Nel contesto dei siti nucleari (impianti di arricchimento dell’uranio, depositi di materiale fissili o centrali nucleari), è fondamentale sottolineare la distinzione tra “materiale nucleare” e “ordigni atomico”. Sebbene entrambi contengano isotopi radioattivi, essi differiscono sostanzialmente per composizione, configurazione e potenziale distruttivo. L’esplosione di un ordigno atomico è il risultato di una reazione di fissione nucleare a catena estremamente rapida e incontrollata. Perché ciò avvenga, è indispensabile che il materiale fissile (uranio-235 o plutonio-239) presenti elevata purezza e quantità sufficiente, sia disposto in una geometria che raggiunga la massa critica, ovvero la quantità minima necessaria affinché la reazione a catena si autosostenga, e che sia dotato di un sistema di innesco sofisticato, capace di comprimerlo in modo rapido e uniforme per avviare la detonazione.
Invece nei siti nucleari, civili o militari, il materiale fissile non è né assemblato in una configurazione critica, né accoppiato ad un meccanismo di innesco; di conseguenza, un eventuale bombardamento di tali strutture non provocherebbe un’esplosione atomica. Specificatamente, negli impianti di arricchimento, l’uranio viene tipicamente processato a livelli di arricchimento inferiori a quelli richiesti per le armi nucleari (generalmente sotto il 90% di U-235), mentre un ordigno atomico necessita di uranio altamente arricchito (superiore al 90%).
Rischio di contaminazione radioattiva
Il rischio principale connesso all’attacco di infrastrutture nucleari risiede nella possibile liberazione e dispersione di isotopi radioattivi nell’ambiente, come documentato negli incidenti di Chernobyl e Fukushima. La contaminazione assume particolare gravità in caso di compromissione di impianti nucleari civili o depositi di rifiuti radioattivi. Tuttavia, tale evento configura un fenomeno di contaminazione radiologica e non una reazione di detonazione nucleare. Particelle aerosolizzate e gas contenenti radionuclidi possono propagarsi attraverso l’atmosfera, il suolo e le matrici idriche, determinando effetti rilevanti sulla salute umana e sugli ecosistemi circostanti.
È più rischioso colpire un sito nucleare militare o civile?
L’attacco a siti nucleari civili comporta un rischio superiore rispetto a quelli militari per molteplici motivi inerenti alla loro progettazione, funzione e collocazione geografica. Gli impianti civili gestiscono ingenti quantità di materiale fissile e scorie radioattive, spesso con livelli di protezione inferiori rispetto ai siti militari, dove il materiale è conservato secondo standard di sicurezza più stringenti e in quantità generalmente minori ma più concentrate. Inoltre, numerose centrali nucleari sono situate in prossimità di aree densamente popolate o lungo zone costiere, per esigenze logistiche e di raffreddamento, aumentando così il potenziale impatto su popolazioni civili in caso di incidente o attacco. Al contrario, i siti nucleari militari sono tipicamente ubicati in aree remote e fortificate, dotate di sistemi di difesa altamente sofisticati e difficilmente penetrabili o sabotabili.
Conseguenze degli attacchi ai siti nucleari iraniani
I recenti bombardamenti condotti dalle forze statunitensi ed israeliane su siti nucleari iraniani non hanno generato né detonazioni nucleari né dispersioni radioattive significative, in quanto erano assenti le condizioni necessarie per l’innesco di una reazione nucleare esplosiva. Secondo le ultime valutazioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) e delle autorità iraniane, non sono stati rilevati rilasci di materiale radioattivo al di fuori delle strutture colpite (Fordow, Natanz e Isfahan), né è stato riscontrato alcun rischio per la popolazione residente nelle aree circostanti. L’AIEA ha inoltre confermato che, nonostante i danni strutturali estesi agli impianti e la possibile perdita di materiale chimico-radioattivo all’interno delle infrastrutture, non si sono registrati incrementi dei livelli di radiazione nell’ambiente esterno.