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Circa 29 milioni di italiani hanno lasciato il nostro Paese tra l’Unità d'Italia (1861) e gli anni ’80 del ‘900. La parte più massiccia di emigranti partì tra 1876 e 1915, in un periodo chiamato "grande emigrazione".
Dei quasi 30 milioni di italiani partiti, circa 19 milioni si sono stabiliti definitivamente nei Paesi di destinazione mentre gli altri sono tornati in patria successivamente. In tempi recenti si sono sviluppati nuovi flussi migratori, meno massicci di quelli del passato.
Le fasi dell'emigrazione italiana, dalla “grande emigrazione” a oggi
L’emigrazione italiana all'estero si può dividere in tre grandi fasi (o quattro).
- La grande emigrazione tra fine Ottocento e inizio Novecento, diretta in maggioranza verso l’America, in particolare Stati Uniti, Argentina e Brasile. Alcuni studiosi dividono questa fase in due, una fino al 1900 e una dopo, cosicché le fasi dell’emigrazione sarebbero quattro.
- I flussi dopo la Seconda Guerra Mondiale, che si sono indirizzati soprattutto verso i Paesi europei (come Germania, Belgio e Francia).
- Le migrazioni degli ultimi decenni, che interessano in maggioranza i giovani altamente qualificati e che continuano ancor oggi.
A questi flussi, vanno aggiunte le migrazioni stagionali (cioè i trasferimenti all’estero per alcuni mesi dell’anno) e le migrazioni interne, sviluppatesi soprattutto negli anni ’50 e ’60 del Novecento, in particolare dal Sud e dalle Isole al Nord della Penisola e dalle campagne alle città.
L’emigrazione è stata provocata soprattutto da ragioni economiche: soprattutto da varie crisi in Italia e, contemporaneamente, dalla richiesta di lavoratori in altri Paesi. In misura minore, gli italiani sono emigrati per ragioni politiche: si è trasferito all'estero chi rischiava di essere perseguitato in Italia a causa delle sue idee.
Quando e dove emigrarono gli italiani: la grande emigrazione
La prima fase dell’emigrazione italiana è compresa tra l’Unità d’Italia e la Prima Guerra Mondiale. I flussi migratori si intensificarono soprattutto dopo il 1876 a causa della crisi di sovrapproduzione, dovuta alla seconda rivoluzione industriale, e della crisi agraria, innescata dall’arrivo sui mercati europei di grano e altri prodotti americani, che fecero crollare i prezzi e resero impossibile il sostentamento dei contadini.

A differenza di quanto spesso si pensa, l’emigrazione non interessò solo le regioni meridionali. Al contrario, fino alla fine dell’Ottocento i flussi più massicci partirono dall’Italia del Nord, in particolare da Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte; solo dopo il 1900 il Sud divenne il principale serbatoio dell’emigrazione. Gli emigranti erano quasi tutti contadini e persone di umili origini, ma tra loro non vi erano i più poveri in assoluto, che non avevano la possibilità di pagarsi il viaggio.
Gli emigranti si diressero verso numerosi Paesi. I flussi più massicci interessarono il continente americano, in particolare l’Argentina, il Brasile e gli Stati Uniti. Flussi minori si indirizzarono verso il Canada, i Paesi europei (in primis la Francia) e l’Australia.
Effetti e conseguenze della grande emigrazione
In molti casi, nei Paesi di destinazione gli italiani dovettero affrontare pregiudizi e difficoltà di inclusione. In linea di massima, si inserirono più facilmente nei Paesi latinoamericani e incontrarono maggiori difficoltà negli Stati Uniti e nei Paesi europei. Gli emigranti, però, con il loro lavoro diedero un contributo significativo alla crescita dei Paesi di destinazione e giocarono un ruolo importante anche per l’economia italiana, grazie alle rimesse, cioè le somme di denaro che spedivano ai familiari rimasti in patria e che contribuirono allo sviluppo della Penisola.
La fine della grande emigrazione
La grande emigrazione si interruppe con la Prima Guerra Mondiale. Dopo la fine delle ostilità i flussi non ripresero perché i principali Paesi di destinazione, in particolare gli Stati Uniti, posero limiti stretti all’ingresso di nuovi migranti; in Italia, inoltre, la dittatura fascista bloccò le partenze, cercando di dirottare i flussi verso le colonie in Africa. Durante il fascismo, però, migliaia di oppositori cercarono rifugio all’estero per sfuggire alla repressione attuata dal regime.

L’emigrazione “europea” e le migrazioni interne dopo la Seconda Guerra Mondiale
I flussi migratori ripresero nel secondo dopoguerra, indirizzandosi prevalentemente verso alcuni Paesi europei: Germania, Francia, Belgio, Svizzera e altri. Flussi minori si diressero verso altri Paesi, come il Venezuela, o verso le mete di destinazione delle migrazioni precedenti, come gli Stati Uniti. I migranti dovettero affrontare serie difficoltà di inclusione, anche perché una quota significativa degli espatriati emigrava illegalmente.
Negli anni ’50 e ’60 si svilupparono anche massicci flussi migratori interni, diretti dalle campagne verso le città e dal Sud verso il Nord. I flussi erano provocati dai cambiamenti socio-economici e, in particolare, dal declino della civiltà contadina, che spingeva una parte della popolazione ad abbandonare le campagne e a trasferirsi in città.

I flussi migratori recenti e l’emigrazione italiana oggi
Dalla fine degli anni ’70 l’Italia è diventata principalmente un Paese di destinazione, accogliendo immigrati da varie aree del mondo. L’emigrazione italiana verso l’estero si è ridotta significativamente, ma non si è interrotta del tutto e da alcuni anni, in particolare dopo la crisi del 2007, sta sperimentando una nuova crescita. I flussi migratori odierni, però, sono molto diversi da quelli del passato: sono meno massicci sul piano numerico e in genere interessano giovani con titoli di studio elevati. Nel decennio 2011-2021, 451.000 giovani della fascia di età 18-34 hanno trasferito la residenza all’estero, contro circa 130.000 che l’hanno trasferita in Italia. La statistica, però, non tiene conto di coloro che si sono trasferiti senza spostare la residenza, che sono stimati in più di un milione. Da alcuni decenni sono ripresi anche i flussi interni Sud-Nord, che però non hanno raggiunto i livelli degli anni ’60 e ’70.
Gli italiani nel mondo oggi
La maggior parte degli emigranti non ha fatto rientro in Italia. Si stima che, di quelli che sono partiti fino agli anno ’80, circa 19 milioni siano restati nei Paesi di destinazione e circa 10 milioni siano rientrati.
Di conseguenza, oggi nel mondo vivono milioni di persone di origine italiana. Va però fatta una distinzione tra gli oriundi, cioè coloro che hanno solo origini italiane, e gli italiani residenti all’estero, che sono iscritti all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) e hanno diritto a votare alle elezioni italiane.
Gli oriundi sono stimati tra 60 e 80 milioni e sono particolarmente numerosi in Brasile e in Argentina (in quest’ultimo Paese costituiscono la maggioranza della popolazione). La legge italiana consente loro di ottenere, con alcuni passaggi, la cittadinanza. Non a caso, numerosi atleti oriundi gareggiano per le selezioni nazionali italiane.
Gli italiani residenti all’estero sono invece poco più di 5,9 milioni, dei quali il 54,7% vive nei Paesi europei, il 40,1% nelle Americhe e gli altri nel resto del mondo.
