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13 Luglio 2025
6:00

L’incendio dimenticato del Narodni Dom, ovvero l’atto di nascita dello squadrismo fascista

L’incendio del Narodni Dom di Trieste, il 13 luglio 1920, fu un atto di violenza fascista contro la comunità slava. Simbolo dell’avvio dello squadrismo, aggravò le tensioni italo-jugoslave nel contesto del difficile confine orientale postbellico e delle ambizioni nazionaliste italiane.

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L’incendio dimenticato del Narodni Dom, ovvero l’atto di nascita dello squadrismo fascista
Narodni Dom Copertina
L’edificio di Narodni Dom dopo l’incendio del 1920

L’incendio del Narodni Dom, noto anche come incendio dell’Hotel Balkan, fu un episodio di violenza politica contro la popolazione slava avvenuto a Trieste il 13 luglio 1920, che di fatto diede il via allo squadrismo organizzato fascista che imperversò in tutta Italia negli anni successivi.

L’episodio va inquadrato nella nascita del fascismo e nelle tensioni sviluppatesi dopo la Prima guerra mondiale per la definizione del nuovo confine orientale italiano, per la quale il Regno d’Italia dovette trovare un accordo con il nuovo Regno di Jugoslavia, nato alla fine della guerra. Tra le forze politiche italiane che alimentavano le tensioni figuravano i Fasci di combattimento che il 13 luglio 1920, a Trieste, incendiarono il Narodni Dom (letteralmente “Casa nazionale”), cioè la sede delle organizzazioni politiche slave.

L'origine dell'incendio del Narodni Dom: la questione del confine orientale dopo la Prima guerra mondiale

Al termine della Prima guerra mondiale, la definizione del confine orientale italiano diede origine a forti tensioni. In base al Patto di Londra, sottoscritto dal governo italiano prima di entrare in guerra, all’Italia spettavano alcuni territori appartenenti all’impero asburgico: il Trentino, il Sud Tirolo, l’Istria e parte della Dalmazia (l’attuale costa croata). L’area del confine orientale era multietnica e includeva sia abitanti di lingua ed etnia italiana che slavi; alcuni territori erano abitati in maggioranza da italiani, ma in alcune aree, come nella parte orientale dell’Istria, prevalevano gli slavi.

I confini del patto di Londra (credits Jcw12 via Wikimedia Commons)
I confini del patto di Londra (credit: Jcw12 via Wikimedia Commons)

L’applicazione del Patto di Londra era complicata da alcuni fattori: anzitutto l’Impero d’Austria si era dissolto ed era nato un nuovo Stato, il Regno dei Serbi, dei croati e degli Sloveni (poi chiamato Regno di Jugoslavia), che rientrava tra i vincitori della Prima guerra mondiale, essendo derivato da un’estensione della Serbia. L’Italia si trovava quindi a negoziare con un altro Paese vincitore e non con uno sconfitto.

Inoltre, gran parte dell’opinione pubblica italiana e della classe dirigente non si accontentava dei territori previsti dal Patto di Londra, ma pretendeva anche la città di Fiume (oggi Rijeka), che non era inclusa nei territori che, secondo il Patto, spettavano all’Italia, ma era abitata da italiani. Le richieste italiane, in realtà, erano contraddittorie, perché si rivendicava Fiume in base al principio di nazionalità, ma non si riconosceva lo stesso principio per i territori a maggioranza slava. Ciò nonostante, nella Penisola si sviluppò un vasto movimento nazionalista, composto da varie anime, che pretendeva l’espansione territoriale e guardava agli slavi con disprezzo e razzismo. Tra le componenti del movimento figuravano i Fasci di combattimento, fondati a Milano nel 1919 da Mussolini e capeggiati, a Trieste, da un avvocato toscano: Francesco Giunta.

I fatti del 13 luglio 1920 a Trieste: cosa successe

Dopo la Prima guerra mondiale, Trieste fu occupata da truppe italiane, sebbene non fosse ancora formalmente annessa. In città erano presenti significative minoranze slave, che disponevano di un edificio noto come Narodni Dom, cioè “Casa nazionale”. L’edificio era considerato un simbolo del nazionalismo slavo, e al suo interno avevano sede le organizzazioni politiche, nonché un teatro, un caffè, una banca e un albergo, l’hotel Balkan.

L’incendio avvenne il 13 luglio. Due giorni prima, a Spalato – altra città rivendicata dagli italiani – nel corso di scontri tra nazionalisti slavi e italiani, avevano perso la vita (in maniera mai chiarita del tutto) due membri della marina italiana. Il giorno 13 Francesco Giunta tenne un comizio a Trieste, invocando vendetta per le uccisioni. Al termine del comizio, scoppiarono dei tafferugli, e un giovane italiano, il cuoco Giovanni Nini, fu ucciso con una coltellata. Anche in questo caso, le responsabilità dell’uccisione non sono mai state accertate, ma dal palco un oratore urlò che il giovane era stato colpito da uno slavo. La folla diede immediatamente avvio a una sorta di sommossa, seguendo un piano prestabilito: furono presi d’assalto negozi, sedi politiche e studi professionali slavi.

Il gruppo più nutrito di fascisti si diresse, diviso in tre colonne, verso il Narodni Dom, che era presidiato dai soldati italiani. Appena i fascisti giunsero presso l’hotel, scoppiarono gli scontri: una bomba a mano lanciata da una finestra ferì gravemente uno degli assalitori, che morì pochi giorni dopo; i fascisti iniziarono a sparare, e i militari, invece di proteggere il Narodni Dom, si unirono a loro. Gli assalitori poterono perciò forzare le porte dell’edificio, gettarvi delle taniche di benzina e appiccare il fuoco.

Le fiamme avvolsero rapidamente l’edificio, ma le persone presenti all’interno, inclusi gli ospiti internazionali dell’hotel Balkan, riuscirono a mettersi in salvo. Morì solo una persona, il farmacista Hugo Roblek, che si gettò dalla finestra per sfuggire alle fiamme.

Le fiamme del 13 luglio 1920
L’edificio in fiamme il 13 luglio 1920 (Wikimedia Commons)

Le conseguenze dell’incendio del Narodni Dom

L’incendio del Narodni Dom acuì le tensioni tra Italia e Jugoslavia, ma non impedì che le trattative per la definizione del confine proseguissero. A novembre i due Paesi firmarono il trattato di Rapallo, che assegnò all’Italia, oltre alla città di Trieste, la Venezia Giulia, l’Istria e parte della Dalmazia.

Le delegazioni dopo la firma del Trattato di Rapallo
Le delegazioni dopo la firma del Trattato di Rapallo

L’assalto, però, segnò la nascita dello squadrismo fascista: nei mesi seguenti, le camicie nere compirono violenze di ogni genere in tutta Italia contro gli avversari politici e chiunque si opponesse loro. L’incendio, inoltre, rese più difficile la convivenza interetnica nell’area del confine orientale e fece aumentare le tensioni italo-slave.

Il palazzo del Narodni Dom oggi

Dopo l’ascesa al potere del fascismo, l’edificio del Narodni Dom fu espropriato e adibito ad albergo, l'Hotel Balkan. Le organizzazioni slave furono costrette a sciogliersi nel 1927 e la popolazione di etnia slava fu pesantemente discriminata. Dopo la Seconda guerra mondiale e il crollo del regime fascista, la minoranza slovena di Trieste ha chiesto che l’edificio le fosse restituito, ma il che è avvenuto solo parzialmente.

Il Narodni dom oggi (informaretrieste.eu)
Il Narodni dom oggi (informaretrieste.eu)

L’edificio è infatti sede della facoltà di lingue dell’Università di Trieste, ma il 13 luglio 2020, a cento anni esatti dall’incendio, al suo interno è stato inaugurato un centro culturale sloveno, chiamato simbolicamente Narodni Dom. Alla cerimonia inaugurale hanno preso parte il presidente Mattarella e il presidente sloveno Borut Pahor. L’edificio è quindi diventato simbolo di convivenza e dialogo tra popoli.

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