
Il processo di pulitura dei vestiti nell'Antica Roma poteva includere anche l'uso dell'urina: le proprietà detergenti e sbiancanti dell'ammoniaca contenuta nel liquido non erano sfuggite agli antichi che, mescolandola con altre sostanze, la impiegavano per lavare panni, vestiti e toghe. Quella dei "lavandai" all'epoca dei romani, i fullones (fullo al singolare), era una professione molto diffusa e precisamente regolamentata nel mondo romano. In un mondo in cui l'acqua corrente in casa era prerogativa unicamente dei ricchi, il servizio di lavanderia offerto dai fullones era essenziale.
Il lavoro di pulitura dei vestiti avveniva all'interno delle fullonicae, impianti deliberatamente costruiti a questo scopo, e che per questo motivo avevano bisogno di grandi quantità di acqua per poter funzionare. I capi venivano lavati all'interno di tinozze piene d'acqua o recipienti in terracotta – i dolii – dentro alle quali venivano aggiunte sostanze come l'urina, il carbonato di sodio e la cenere. I fullones sfregavano energicamente i panni per rimuovere lo sporco, e questi successivamente venivano risciacquati con acqua pulita. Dopo queste azioni di pulitura, gli abiti venivano strizzati (anche con presse meccaniche) e fatti asciugare, per poi essere riconsegnati ai clienti.
I proprietari delle fullonicae erano soliti procurarsi l'urina necessaria per il loro lavoro direttamente dai bagni pubblici. Visto che con la crescita urbana dell'impero nel corso del I sec. d.C. il lavoro dei fullones era diventato ancora più essenziale, l'attività di lavanderia era diventata molto redditizia. Per questo motivo l'imperatore Nerone (54-68 d. C.) approvò la prima "tassa sull'urina", in latino vectigal urinae, che doveva essere pagata da coloro che prelevavano il liquido per le fullonicae.

Dopo essere stata in uso per qualche tempo, la tassa venne abolita e reintrodotta sotto l'imperatore Vespasiano (69-79 d. C.), a cui viene attribuito dallo storico latino Svetonio, parafrasandolo, il famoso detto "pecunia non olet", ovvero "il denaro non puzza". Gli orinatoi pubblici sono chiamati tuttora anche "vespasiani".