
Love bombing, gaslighting, ghosting: sono tutte forme di manipolazione emotivo-affettiva che una persona può mettere in atto all’interno di una relazione. L’obiettivo? Il controllo e la dominanza sull’altro, che se resta “imprigionato” in un legame disfunzionale di questo tipo può sentirsi profondamente frammentato e logorato. Nominare e saper riconoscere queste numerose sfaccettature di violenza psicologica è fondamentale. Mentre una certa persuasione è normale, la manipolazione diventa problematica quando è una modalità relazionale costante e dannosa. È una violenza psicologica che può manifestarsi in relazioni di coppia, amicali o familiari, e chi la subisce può perdere autostima e volontà, sentendosi dipendente e incapace di andare avanti.
Le relazioni – di coppia, amicali, familiari – sono un aspetto molto significativo nella vita di ognuno di noi. Attraverso i legami costruiamo la nostra identità, impariamo a conoscerci, a fidarci, a condividere. Sono il luogo dove si sviluppano intimità, empatia e sicurezza, ma anche la dimensione in cui emergono fragilità, paure e bisogni profondi. Quando le relazioni sono sane, diventano una fonte di nutrimento e di equilibrio, ma quando si fondano su dinamiche disfunzionali possono trasformarsi in terreno fertile per il controllo, la manipolazione e la dipendenza affettiva. In questo caso sono estremamente prosciuganti e generatrici di una profonda sofferenza psichica, a tal punto da far dubitare di se stessi, delle proprie capacità e delle proprie percezioni. A livello psicologico diventano veri e propri contesti distruttivi: logorano l’autostima, svuotano l’identità e minano il senso stesso del sé, fino a far crollare l’intero sistema su cui si fonda la propria realizzazione identitaria.
Cos’è la manipolazione affettiva e come si comporta un manipolatore
La manipolazione emotiva è un insieme di comportamenti, spesso sottili e progressivi, volti a influenzare, controllare o sottomettere l’altra persona, sfruttandone le emozioni.
Non sempre è una dinamica consapevole: può nascere da bisogni di controllo, da insicurezze o da modelli relazionali disfunzionali interiorizzati. Se ci pensiamo, tutti in una certa misura possiamo aver messo in atto strategie simili, durante l'infanzia o anche in età adulta per ottenere qualcosa. Il problema, però, sorge quando l’influenza persuasiva diventa la modalità principale con cui ci si relaziona, trasformandosi in un modus operandi costante e dannoso che definisce il legame con l'altra persona. Nonostante siamo abituati a sentirne parlare nelle dinamiche di coppia, questa forma di violenza psicologica (perché è di questo che si tratta), può manifestarsi nei contesti familiari, sociali e lavorativi. La manipolazione può essere pensata come una strategia psicologica emotivamente malsana utilizzata da persone incapaci di chiedere ciò che vogliono e di cui hanno bisogno in modo diretto. Chi si trova in una relazione tossica scandita da comportamenti disfunzionali, infatti, sperimenta una comunicazione indiretta e spesso ambigua. L'obiettivo principale di chi manipola è il controllo, il quale rappresenta un modo per difendersi dalla paura di essere ferito o umiliato. Il manipolatore affettivo è prima di tutto una persona che tenta di tenere a bada se stessa, spesso negando o reprimendo le proprie emozioni. Questo bisogno di autocontrollo si trasforma poi in un desiderio di dominio sulle situazioni e sulle persone vicine come se, solo mantenendo il potere, potesse evitare di sentirsi vulnerabile.
Spesso, la manipolazione affettiva è accostata ai disturbi di personalità narcisistico e antisociale, ma è bene precisare che non sono solo i narcisisti o gli antisociali che ricorrono a ricatti emotivi e a violenza psicologica: queste dinamiche di strumentalizzazione dei sentimenti, possono emergere in molti tipi di relazione, anche in assenza di un disturbo conclamato. Quale che sia il contesto, quello su cui vale la pena porre una lente d’ingrandimento è che chi resta incastrato in una relazione tossica spesso fatica a uscirne, perché alla base vi è quasi sempre una fragilità emotiva preesistente che lo rende più vulnerabile alla manipolazione. Proprio questa vulnerabilità rende difficile riconoscere i segnali della manipolazione e, allo stesso tempo, trovare la forza per interrompere il legame.
Quali sono le tecniche della manipolazione affettiva e il significato
Per snellire la lunghissima lista di forme manipolatorie, ci concentreremo su alcuni inglesismi ormai entrati nel linguaggio comune, che ci forniscono già un ampio ventaglio di sfumature e varianti.
- Benign neglect: trascurare intenzionalmente l’altro, ignorandone i bisogni emotivi o svalutandone le richieste affettive. La conseguenza di questa deprivazione emotiva è l’erosione dell’autostima e la percezione di non essere meritevoli di amore.
- Breadcrumbing: la traduzione letterale, “lasciare le briciole”, e già di per sé l'espressione fa riflettere: consiste nel mantenere l’altro in attesa o in sospeso, con messaggi sporadici, poco impegnativi, ambigui e attenzioni intermittenti che alimentano la speranza di un coinvolgimento più profondo. L’effetto di questo comportamento è una profonda dipendenza emotiva e una continua ricerca di conferme.
- Future faking: promettere un futuro insieme per tenere l’altro legato. La persona che adotta questa forma manipolatoria parla di convivenza, matrimonio, viaggi e grandi progetti; peccato che alla base non c’è nessuna intenzione di mantenere le promesse. L’illusione della stabilità mantiene viva la speranza nel partner, rendendogli/le difficile riconoscere l’intento manipolatorio che c'è dietro.
- Gaslighting: è una forma di manipolazione che mira a far dubitare la persona della propria percezione della realtà. Il manipolatore nega fatti, minimizza episodi o ribalta situazioni, fino a far credere all’altro di essere “esagerato” o “fuori di testa”. Questa dinamica ha come conseguenza la perdita di fiducia in sé e la dipendenza dal giudizio degli altri.
- Ghosting: letteralmente “svanire come un fantasma”. È la scomparsa improvvisa e totale di una persona da una relazione, senza dare spiegazioni, né concedere un confronto di chiusura. Può avvenire dopo un breve legame o anche all’interno di una storia duratura e rappresenta sia una forma di evitamento, che di controllo: chi sparisce decide unilateralmente di interrompere il contatto, privando l’altro della possibilità di comprendere o di elaborare l’accaduto. Molto spesso la chiusura avviene tramite l’utilizzo di strumenti tecnologici, negando un contatto vis à vis. La persona “ghostata” si senterà smarrita, rifiutata e in uno stato di auto-colpevolizzazione, come se la mancanza di risposte fosse una prova della propria inadeguatezza.
- Guilt-tripping: fare leva sul senso di colpa per ottenere ciò che si vuole; è il classico “dopo tutto quello che ho fatto per te”. Si genera di conseguenza un’incapacità a dire di no e un senso di forte debito emotivo.
- Hoovering: prende il nome dal marchio Hoover, l’aspirapolvere; è infatti il tentativo di “risucchiare” la vittima dopo una rottura, usando promesse, nostalgia o falsi cambiamenti. È proprio questo comportamento che porta ai cicli ripetuti di separazione e riconciliazione tipiche di una relazione disfunzionale.
- Love bombing: si manifesta con un eccesso di attenzioni, complimenti e dichiarazioni d’amore, con l’obiettivo di conquistare rapidamente fiducia e attaccamento della persona. Questo comportamento però, si concentra solo nella prima fase della relazione, lasciando poi spazio a una seguente indisponibilità affettiva. Molto spesso quindi, chi la subisce idealizza precocemente il partner (o un amico o un datore di lavoro), per poi ritrovarsi completamente disorientato una volta terminata la strategia manipolatoria.
- Silent treatment (silenzio punitivo): è un comportamento aggressivo-passivo di esclusione comunicativa; il manipolatore smette di parlare o di rispondere all’altro come forma di punizione o controllo. La persona che lo sperimenta infatti, avvertirà un grande senso di colpa (“le mie parole o il mio comportamento lo hanno evidentemente ferito perché è offeso; è colpa mia”), ansia e bisogno di “riconciliazione” a tutti i costi.
Oltre a queste definizioni, c’è un ampissimo spettro di sfumature manipolatorie che varrebbe la pena approfondire: un esempio è la triangolazione, ovvero introdurre una terza persona, reale o immaginaria, per generare deliberatamente gelosia, competizione o insicurezza; esistono poi l’isolamento, le intimidazioni velate, il ricatto emotivo… Insomma, il mondo dell’abuso emotivo è vasto e complesso.
Comprendere i meccanismi alla base della manipolazione emotivo-affettiva è già il primo passo per interrompere il ciclo della disfunzionalità relazionale. Dare un nome a ciò che si vive significa riappropriarsi della realtà, ristabilire i confini e poter ritrovare la propria autonomia emotiva. Non dimentichiamo che le relazioni si basano sul rispetto, sulla reciprocità e sulla libertà: riconoscere ciò che non lo è non è un fallimento, ma un atto di consapevolezza e cura di sé.