;Resize,width=638;)
La notte tra martedì 6 maggio e mercoledì 7 maggio (alle 01:00 ora locale), l'India ha bombardato il Pakistan con una serie di raid aerei. Come dichiarato dal governo di Nuova Delhi, con l'operazione militare denominata Sindoor l'aviazione indiana avrebbe colpito nove siti in Pakistan e nel Kashmir pakistano. Il premier del Pakistan Shehbaz Sharif ha definito i raid come «attacchi vigliacchi», aggiungendo che «Il nostro Paese ha tutto il diritto di rispondere con la forza a questo atto di guerra». Il Pakistan ha risposto poche ore dopo con una rappresaglia contro l'India.
Il portavoce Ahmed Sharif Chaudhry ha anche confermato che al momento i raid aerei e gli scambi di artiglieria hanno causato la morte di almeno 34 persone e il ferimento di una cinquantina (numeri che probabilmente aumenteranno nelle prossime ore). L'India ha invece reso noto che sul suo lato del confine de facto almeno 10 persone sarebbero rimaste uccise e una trentina ferite. Tutte le vittime indiane si concentrano nel distretto di Poonch, adiacente alla "linea di controllo".
I motivi dell'attacco missilistico indiano contro il Pakistan
Gli attacchi, avvenuti nell'arco di 25 minuti (tra le 01:05 e le 01:30, ora locale), sono stati una risposta all'attentato terroristico che il 22 aprile ha causato la morte di 26 persone (per la maggior parte turisti indiani) a Pahalgam, nel Kashmir indiano. Il governo del premier nazionalista Narhendra Modi ha accusato il Pakistan di aver supportato Resistenza del Kashmir, il gruppo terroristico che ha rivendicato l'attentato. Anche per questo l'operazione militare indiana avrebbe colpito solo obiettivi riconducibili a gruppi terroristici e non installazioni dell'esercito pakistano.
Va comunque ricordato che le due potenze, entrambe dotate di arsenali atomici, si sono già scontrate diverse volte in passato per il controllo del Kashmir. La prima pochi mesi dopo la partizione dell'India nel 1947, arrivando a un cessate il fuoco mediato dall'Onu nel 1949. Altri scontri si sono verificati nel 1965, nel 1971 in una guerra che portò alla creazione dello Stato del Bangladesh e nel 1999. L'amministrazione del Primo ministro Modi ha colpito il Pakistan con attacchi come quello di queste ore già nel 2016 — come ritorsione per l'attacco di un gruppo terroristico a una base dell’esercito indiano ad Uri, in Kashmir, che causò la morte di 20 militari — e nel 2019, in seguito all'attacco di Pulwama in cui 40 paramilitari indiani persero la vita.

La reazione del Pakistan
Il governo del Pakistan ha comunicato che i raid dell'Aviazione militare indiana hanno colpito Muzaffarabad, capoluogo del Kashmir pakistano, la località di Bagh e la città di Muridke, nel Punjab pakistano. A seguito dei bombardamenti sono anche stati scambiati diversi colpi di artiglieria tra forze armate pakistane e indiane in diversi punti della "linea di controllo", il confine de facto che divide in due la regione del Kashmir divisa tra Pakistan e India. Il governo di Islamabad ha anche rivendicato l'abbattimento di cinque aerei indiani: stando alle dichiarazioni di Ahmed Sharif Chaudhary, portavoce delle Forze armate del Pakistan, si tratterebbe di tre caccia Rafale di produzione francese, un SU-30 e un MiG-29 (di produzione russa), oltre a un drone Heron (prodotti e venduti all'India da Israele). L'India non ha ancora confermato o smentito l'abbattimento dei suoi mezzi.
Rischio di escalation?
Come fanno notare gli esperti, non è facile capire se lo scambio di attacchi di queste ore sia la prima fase di un futuro conflitto tra India e Pakistan o meno. Come ha dichiarato il ministro degli Interni indiano Amit Shah poco dopo gli attacchi:
Il governo Modi è determinato a rispondere in modo adeguato a qualsiasi attacco contro l'India e il suo popolo. Il Bharat (il nome dell'India in hindi molto caro al nazionalismo indù) è fortemente impegnato nell'estirpare il terrorismo dalle radici.
La speranza è che i raid aerei e gli scambi di colpi lungo la "linea di controllo" siano solo una dimostrazione di forza dei due governi a beneficio dell'ala più intransigente delle rispettive opinioni pubbliche.