La siccità sta mettendo in crisi una delle più grandi opere ingegneristiche mai costruite: il Canale di Panama, un corso d'acqua artificiale che taglia a metà il continente americano permettendo alle navi di passare dall'oceano Atlantico all'oceano Pacifico (e viceversa) senza circumnavigare l'America del Sud. In estrema sintesi, infatti, la carenza d'acqua ha portato il governo panamense a dover fermare già oltre il 30% delle imbarcazioni che vogliono transitare attraverso l'infrastruttura (ma la situazione peggiorerà nei prossimi mesi).
Il Canale, completato nel 1914, ampliato nel 2016 e lungo quasi 82 km, segue parzialmente il profilo della terraferma su cui è stato realizzato, scendendo fino al livello del mare in corrispondenza della costa (dal lato atlantico e pacifico) e salendo invece di quota nell'entroterra, fino a oltre 26 metri.
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Il funzionamento del Canale e il calo di navi in transito
Per permettere alle navi di salire e scendere di altitudine è stato progettato un sistema a tre chiuse che consente alle imbarcazioni di superare una serie di dislivelli attraverso il pompaggio e il rilascio di acqua (come si vede nella rappresentazione grafica che vedete qui sotto). Per fare questo, però – neanche a dirlo – è necessario che ci sia acqua a sufficienza. Quest'ultima defluisce nel Canale da una serie di laghi e corsi d'acqua circostanti.
Tuttavia negli ultimi anni e mesi, la siccità ha provocato una carenza d'acqua tale da costringere le autorità a limitare il numero di navi di passaggio attraverso l'opera. Per intenderci, parliamo di una riduzione da 38/36 imbarcazioni al giorno di media a 24 (oltre il 30% in meno) e a un limite più stringente rispetto al pescaggio delle navi, cioè alla distanza tra la linea di galleggiamento e la parte inferiore dello scafo. Secondo le attuali stime delle autorità del Canale, però, entro la fine di febbraio la riduzione del numero delle navi potrebbe arrivare a colpire il 50% delle imbarcazioni.
Gli effetti del calo sul commercio globale
Tutto ciò ha creato grossi ritardi per varie compagnie di navigazione (soprattutto per le navi portarinfuse, quelle che non utilizzano container) e, di conseguenza, ha determinato un aumento sensibile dei costi di trasporto (in alcuni casi più che raddoppiato) tra stipendi degli equipaggi, utilizzo di carburante e penali per i ritardi nelle consegne. Come potete immaginare, queste condizioni hanno una ricaduta notevole sul commercio globale. Il Canale di Panama, infatti, è uno dei cosiddetti choke point del nostro pianeta, cioè uno dei pochi passaggi quasi obbligati tra mari e/o oceani che le navi sono costrette ad attraversare per muoversi da un angolo all'altro del globo.
In particolare, dal Canale di Panama passa circa il 5% del commercio marittimo mondiale, soprattutto le merci in arrivo e in partenza dagli Stati Uniti che, non a caso, detengono per trattato il diritto di difendere l'infrastruttura da qualsiasi minaccia che ne possa impedire l'accessibilità e il funzionamento. Risulta chiaro, perciò, che se la siccità dovesse far peggiorare ulteriormente la situazione, rendendo troppo oneroso o addirittura impossibile tecnicamente il passaggio nel Canale, andrebbero trovate delle soluzioni alternative, alcune delle quali potrebbero modificare equilibri economici e geopolitici immutati da decenni.
Si tratta di un nuovo esempio di quanto siano cruciali i choke point e di quanto siano fragili le nostre catene di approvvigionamento. Lo si era già compreso nel 2021, quando la nave taiwanese Ever Given si incagliò per 6 giorni nel Canale di Suez, bloccando il passaggio di oltre 400 imbarcazioni e danneggiando notevolmente il commercio tra Europa e Asia.
L'impatto locale della carenza d'acqua
In questo caso, inoltre, subentrano anche questioni di carattere locale. Pensate che è stato calcolato che il passaggio di una singola nave da un oceano all'altro richiede la stessa quantità d'acqua che consumerebbero circa 500.000 panamensi in un giorno. L'utilizzo della risorsa per il funzionamento dell'infrastruttura, quindi, si scontra con i bisogni dei cittadini, oltre la metà dei quali riceve acqua dagli stessi bacini che alimentano il Canale di Panama. D'altro canto, il ridotto o mancato passaggio di navi attraverso l'opera sta privando e potrebbe sempre più privare lo Stato di milioni di dollari, danneggiando notevolmente l'economia di Panama e degli stessi residenti. Contate, infatti, che il denaro ottenuto dai diritti di passaggio attraverso il canale vale circa il 6% del PIL dello Stato.
Le cause della siccità
Ma come mai si è innescata la carenza d'acqua attuale? Teoricamente Panama è uno Stato con un clima equatoriale, con abbondanti piogge, ma nel 2023 queste ultime sono diminuite di circa il 30-40% soprattutto a causa del fenomeno climatico ciclico chiamato El Niño, che nel Paese centroamericano determina un aumento delle temperature medie e una diminuzione delle precipitazioni. Si tratta quindi di una fase particolare, ma la comunità scientifica ha già registrato un trend più generale, provocato dal riscaldamento globale e dai cambiamenti climatici: i periodi di siccità tenderanno a essere sempre più lunghi e intensi, con una diminuzione progressiva dell'acqua presente nei bacini che alimentano Panama e il suo Canale.
Le possibili soluzioni al problema
Veniamo quindi alle potenziali soluzioni al problema. Anzitutto il governo di Panama sta pensando di realizzare un nuovo bacino artificiale lungo il fiume Indio che possa raccogliere ulteriori precipitazioni e convogliarle nel Canale, aumentando il traffico al suo interno di 12/15 imbarcazioni al giorno. Questa opzione necessiterebbe però di uno sforzo economico e ingegneristico enorme (i costi stimati attualmente si attestano almeno a 900 milioni di dollari) e causerebbe notevoli danni ambientali e sociali (molte persone sarebbero costrette ad abbandonare le proprie case, peraltro situate su terreni che oggi sono protetti). Inoltre rimarrebbe il problema del trend climatico legato al riscaldamento globale.
Le alternative più immediate sono di percorrere altre rotte, con un aumento notevole, però, dei tempi, dei costi e anche delle emissioni di gas serra: si potrebbe tornare a circumnavigare l'America del Sud oppure i Paesi asiatici potrebbero commerciare con la costa orientale degli Stati Uniti percorrendo la rotta che attraversa il Canale di Suez e il Mar Mediterraneo; in alternativa le merci potrebbero essere trasportate fino alla costa occidentale degli USA e di lì spostati via terra (in treno o camion) o, ancora, potrebbero nascere nuove vie di comunicazione terrestri tra un lato e l'altro di Stati come il Messico o la Colombia, che si affacciano sia sull'oceano Atlantico sia su quello Pacifico. Infine, non dimentichiamolo, proprio il riscaldamento globale potrebbe progressivamente sbloccare la Rotta Artica, nell'estremo nord del Pianeta, che rivoluzionerebbe completamente il commercio globale. Ma questa è un'altra storia.