

Dopo 24 anni, il regime del presidente-dittatore Bashar al-Assad in Siria è finito tra il 7 e l'8 dicembre 2024. Ci sono voluti solo 11 giorni di offensiva militare da parte delle forze dell'opposizione sunnita jihadista siriana, guidate dal movimento Ha'yat Tahrir al-Sham (in sigla HTS) e sostenute più o meno indirettamente dalla Turchia e dagli USA. L'operazione è cominciata il 27 novembre 2024, col nome di Deterrence of Aggression, e inizialmente pochissimi analisti si aspettavano di assistere a un'escalation di questo tipo, pensando che i ribelli si sarebbero fermati alla conquista della città di Aleppo o di altri centri urbani nel centro-nord della Siria. La rapidità con cui il regime di Assad è caduto ha stupito i principali osservatori internazionali anche perché nel corso di quella che possiamo ormai chiamare prima fase della Guerra Civile Siriana, tra il 2011 ed il 2020, Assad era riuscito a guidare dalla capitale Damasco una progressiva ripresa di molti dei territori che erano stati presi dalle forze di opposizione, anche con l'aiuto di forze esterne alla Siria, come Russia, Iran ed Hezbollah. La "distrazione" di questi attori su altri quadranti (guerra russo-ucraina e fronte Israele-Palestina-Libano) e la loro conseguente scarsa attenzione e debolezza in Siria è stata l'occasione che i ribelli hanno colto per riprendere le ostilità e ottenere il controllo della maggior parte del Paese. Al momento è difficile ipotizzare chiari scenari futuri perché la situazione rimane in bilico: Assad ha ottenuto asilo politico a Mosca, dopo il via libera dato da Vladimir Putin, e non è chiaro se verrà concesso alla Russia di mantenere operative le sue due basi navali militari sulla costa mediterranea della Siria, a Hmeimim e Tartous; Israele ha colto l'occasione per penetrare all'interno dei confini siriani sulle alture del Golan e anche i curdi, internamente, hanno ampliato i territori sotto il loro controllo, nel nord-est del Paese. Le fazioni di opposizione, inoltre, sono variegate e sarà necessario comprendere se continueranno ad agire come un corpo solo o se inizierà un confronto interno. Da non dimenticare l'ISIS, che manterrebbe sotto il proprio controllo alcune ridotte aree della Siria e che sarebbe la maggiore preoccupazione del presidente statunitense Biden.
Storia della Siria dal 1946 al 2011
La Siria è un Paese del Medio Oriente che ha come capitale Damasco, che confina con Turchia, Iraq, Giordania, Israele, Libano e mar Mediterraneo, e che ha una storia antichissima alle spalle, avendo visto l'ascesa e la caduta di numerose civiltà e imperi. Vediamo la sua storia recente dall'indipendenza del 1946 all'inizio della guerra civile del 2011.
Dall'indipendenza al colpo di stato di Hafez al-Assad
La Siria è diventata un moderno Stato nazionale solamente il 17 aprile 1946, quando la potenza mandataria francese fu costretta a concederle l'indipendenza. Sfortunatamente, il nuovo stato siriano si rivelò una realtà molto fragile soprattuto a causa della eterogeneità della sua popolazione che, pur condividendo un certo senso di appartenenza al territorio e alla cultura araba classica, era divisa in numerose tribù e comunità politico-religiose sempre in lotta per ampliare le loro rispettive nicchie di potere all'interno della vita politica, sociale, economica e militare del Paese.
Il risultato di queste divisioni e di questa precarietà fu l'istituzione di una repubblica instabile che, alla luce anche del discredito delle élite politiche di Damasco del tempo, causato dalla sconfitta sofferta a opera di Israele nel corso della Guerra d'Indipendenza Israeliana (1947-1949), portò il Paese ad attraversare un lungo periodo caratterizzato da colpi di stato, declino economico e malcontento popolare. Questa era di instabilità si concluse il 13 novembre 1970 quando, nel corso di un atto militare che non causò spargimento di sangue, denominato “Rivoluzione Correttiva”, il generale dell'aviazione e ministro della difesa, Hafez al-Assad (padre di Bashar al-Assad), riuscì a conquistare il potere, instaurando un regime personale che sarebbe durato per i successivi trent'anni, fino al 2000.

Il regime di Hafez al-Assad
L'ascesa al potere di Hafez al-Assad segnò un punto di svolta nella storia della Siria anche se alcune sue caratteristiche erano in linea con colpi di stato e personaggi precedenti. Assad veniva infatti dai ranghi delle Forze Armate, ma già altri colpi di stato del ventennio precedente erano stati condotti dai militari. Era inoltre un illustre esponente del partito Ba'ath, di tendenze nazionaliste e filo-socialiste, ma, a ben vedere, tale partito era già al potere dal 1961 come conseguenza di un altro colpo di stato. Infine, Assad faceva parte della minoranza degli alauiti (circa il 13% della popolazione della Siria) ma essi avevano già occupato i principali ruoli di potere nel 1966, grazie all'operato del predecessore di Assad, il generale Salah Jadid.
Ciò che rese veramente differente il regime di Hafez al-Assad rispetto ai suoi predecessori fu l'asfissiante stato di polizia che egli impose alla popolazione così come la gestione rigidamente familiare che si venne a creare, divenendo in pratica la Siria una sorta di “tenuta personale” del clan degli al-Assad. D'altro canto la “Rivoluzione Correttiva” pose fine alla cronica instabilità del Paese e aprì la Siria allo sviluppo economico, favorito anche dai programmi di assistenza promossi dall'Unione Sovietica, alleata della “Repubblica Araba Siriana”.
L'ascesa al potere di Bashar al-Assad
Alla morte di Hafez, avvenuta il 10 giugno del 2000, suo figlio Bashar gli succedette alla leadership del Paese; tuttavia ogni speranza di riforma e democratizzazione venne presto delusa e il regime divenne, se possibile, ancora più intransigente e repressivo di quello precedente.

La prima fase della Guerra Civile Siriana (2011-2020)
Lo scoppio delle cosiddette “Primavere Arabe” nel Nord Africa e in Medio Oriente nei primi anni '10 del Duemila coinvolse anche la Siria. La maggior parte delle fonti indica Dara'a, nel sud-ovest del Paese, come il luogo di scoppio della rivolta e la data del 15 marzo 2011 come giorno di inizio. In ogni caso, dopo un primo periodo confuso di proteste (una parte pacifiche mentre altre di natura “terroristica”), caratterizzate dall'assenza di una leadership centralizzata, la situazione degenerò in una drammatica guerra civile che nel corso degli anni ha causato oltre 600.000 morti e milioni di sfollati interni e di profughi esterni.
Nel periodo compreso tra il 2011 ed il 2020, il conflitto è più volte uscito dai confini siriani, arrivando a coinvolgere, per esempio, l'Iraq e, in misura minore, il Libano, e provocando l'intervento della maggior parte delle grandi potenze sia regionali che mondiali, tanto da essere definito una sorta di “proto guerra mondiale”. Nel campo dell'opposizione siriana si fecero progressivamente strada, grazie anche agli aiuti economici e militari provenienti dalla Turchia e dalle monarchie sunnite del Golfo, una galassia di formazioni estremiste accomunate dall'ideologia integralista del “Salafismo”, tra le quali spiccava Jabhat al-Nusra, che, dopo una serie di trasformazioni, ha dato i natali ad Ha'yat Tahrir al-Sham (HTS).
Dall'altra parte della barricata, invece, Bashar al-Assad è potuto rimanere al potere grazie e una strategia tanto intelligente quanto spietata, che ha portato le élite e le classi medie sunnite del Paese, in particolare quelle delle grandi città (Damasco, Aleppo, Homs) così come quasi tutte le minoranze (eccezion fatta per i curdi e i turcomanni) a fare quadrato attorno a lui, ritenuto (a torto o a ragione) come l'unico garante della stabilità del Paese contro l'anarchia degli integralisti islamici, in particolare del famigerato e mai del tutto debellato “Stato Islamico” (ISIS).
Nella sua guerra di sopravvivenza personale, Assad ha poi potuto contare sul sostegno della Russia e del cosiddetto “Asse della Resistenza” (Iran, Hezbollah, milizie sciite irachene pro-iraniane), intervenuto direttamente nel conflitto allo scopo di puntellare il fronte governativo.
La guerra, infine, ha visto l'affermazione dei curdi, che sono riusciti a imporsi agli Stati Uniti d'America e agli altri Paesi occidentali come dei partner imprescindibili nella lotta contro l'ISIS e, dopo aver ribattezzato le proprie forze SDF (Syrian Democratic Forces – Forze Democratiche Siriane) sono riusciti a occupare una vastissima area del nord e del nordest della Siria (anche se scarsamente popolata), comprendente Raqqa, una delle due ex-capitali dell'ISIS (l'altra era Mosul, in Iraq).
Gli ultimi sviluppi in Siria e la caduta del regime di Assad
La prima fase della Guerra Civile Siriana terminò il 5 marzo del 2020 quando, in un mondo devastato dalla diffusione del COVID-19, Russia e Turchia raggiunsero un accordo di cessate il fuoco che lasciava il governo di Assad in possesso di oltre il 63% del territorio siriano, mentre i suoi oppositori islamisti dovevano accontentarsi di un 11% localizzato nel governatorato di Idlib e nell'area compresa tra Afrin e Jarabulus.
Negli ultimi quattro anni, però, il regime di Assad si è indebolito sempre più sia a causa delle sanzioni economiche internazionali sia per questioni di scarsa capacità di governo sia a causa dello scoppio di nuove crisi internazionali che hanno impegnato i suoi alleati (guerra russo-ucraina, guerra con Israele). Al contempo i jihadisti ad Idlib si sono rafforzati, riformando il loro sistema militare e incorporando nelle loro tattiche e dottrine operative tutte le lezioni apprese nel corso degli anni della prima fase della guerra.
Il risultato di questo doppio processo sì è visto a partire dal 27 novembre 2024 quando, con una travolgente offensiva denominata Deterrence of Aggression, i jihadisti di Ha'yat Tahrir al-Sham e altre fazioni locali alleate sono riusciti a sbaragliare (spesso senza combattere) le linee governative e a portare, nell'arco di soli 11 giorni alla caduta del regime degli al-Assad, dopo 54 anni di controllo del Paese. L'offensiva dei jihadisti ha provocato lo sbriciolamento di tutte le ormai deboli strutture statuali, in particolare le Forze Armate, e la fuga di Assad e di tutta la sua famiglia in Russia, dove secondo le ultime notizie gli sarebbe stato concesso l'asilo politico.

I possibili scenari futuri della guerra civile in Siria
Anche se la fuga degli Assad ha segnato certamente un punto di svolta nella storia della Siria, non ci sono purtroppo al momento ragioni per essere particolarmente ottimisti. Il Paese è infatti ancora frammentato ed è molto probabile che scoppieranno dei combattimenti tra i jihadisti e i curdi per il controllo della parte settentrionale ed orientale del Paese. Il fronte della cosiddetta “opposizione sunnita”, inoltre, non è affatto monolitico, ma si divide in almeno cinque grandi campi dove il più forte e organizzato è senza dubbio quello centrato attorno all'area di Idlib e guidato dalla già citata Ha'yat Tahrir al-Sham, che ha a disposizione un vero e proprio esercito compreso tra 60.000 e 150.000 uomini e il cui “emiro”, Ahmed Hussein al-Shar'a (nome di battaglia: Abu Mohammad al-Julani) si è già candidato a diventare l'uomo forte del paese, cercando di moderare i toni e presentarsi a livello internazionale con un volto pacifico.

Nel frattempo è già incominciato l'esodo delle minoranze le quali, nonostante alcune rassicurazioni da parte della leadership jihadista, hanno già cominciato a lasciare la Siria per non doversi trovare, in un prossimo futuro, a rischiare di subire atti di violenza o addirittura la morte. Tra questi meritano di essere menzionati poco meno di 50.000 armeni, ultimi rimasti di una fiorentissima comunità che, prima dello scoppio della Guerra Civile Siriana, contava oltre 100.000 persone: secondo quanto riferito da Baykar Sivazliyan, presidente dell'Unione degli armeni d'Italia, avrebbero in questi giorni lasciato la Siria per riparare nel vicino Libano.