Rese celebri da numerosi film western, le pepite d'oro sono forse l'emblema della cosiddetta "caccia all'oro". Ma nonostante si tratti di pietre estremamente note, la loro formazione è tutt'altro che chiara, tanto che ancora oggi non c'è accordo all'interno della comunità scientifica. Ma cosa sono esattamente le pepite d'oro? E quali sono le più grandi mai ritrovate?
Come sono fatte le pepite d'oro?
Iniziamo col dire che con il termine "pepita" si intende solitamente una massa d'oro superiore ai 4 mm di lunghezza o, in alternativa, più pesante di un grammo (Butt et al., 2020). A vederle così sembrano semplicemente dei sassi dorati ma nascondono al loro interno una struttura ben più complessa di quanto non sembri.
Innanzitutto la superficie esterna è solitamente composta da un sottile strato di oro puro.
All'interno della pepita invece l'argento è in lega con l'oro in una quantità pari circa al 3-20% in peso, nonostante siano state misurate pepite con valori inferiori all'1% da una parte o superiori al 35% dall'altra. Oltre a oro e argento, possono essere presenti tracce di altri metalli come mercurio o tellurio, anche se piuttosto rare.
All'interno delle pepite sono presenti dei vuoti che formano una fitta rete di canali collegati tra loro. Questa porosità permette a ossidi di ferro, polvere di quarzo e argille di entrare e di depositarsi all'interno della pepita.
Come si formano le pepite d'oro?
L'oro estratto dalle miniere non si trova normalmente sotto forma di pepite ma come piccoli cristalli spesso invisibili ad occhio nudo all'interno di vene o filoni, cioè delle fratture (riempite solitamente da quarzo) al cui interno sono presenti tracce di oro. È possibile che nel corso delle ere geologiche vene e filoni vengano erosi dagli agenti atmosferici ed alterati, creando una "polvere" che può essere trasportata dai corsi d'acqua. All'interno di questa polvere è presente una certa percentuale di oro che, durante la fase di trasporto, viene separata dal resto del sedimento a causa della sua diversa densità. Se quest'oro si riesce ad accumulare, può dar vita a depositi sedimentari conosciuti in gergo come "placer".
Qui arriva il bello. Una volta arrivata nel placer, non si sa con esattezza come faccia la polvere d'oro a trasformarsi in pepita. Ci sono però due scuole di pensiero: quelli che sostengono un'origine "superficiale" (teoria supergenica) e quelli che invece sostengono un'origine "profonda" (teoria ipogenica).
Senza scendere nell'ultra-dettaglio, possiamo dire che la teoria "superficiale" prevede che le pepite si formino a piccole profondità: in questo caso l'unione tra i vari grani sarebbe favorita da processi chimici, fisici (compattazione durante il trasporto fluviale dei cristalli d'oro), oltre che da alcune tipologie di batterio. Dall'altra parte la teoria "profonda" sostiene che per creare "l'unione" tra i cristalli d'oro siano necessarie temperature tra gli 80 e i 250 gradi, cioè temperature non superficiali ma raggiungibili solo a profondità più elevate.
Chi ha ragione? La comunità scientifica non ha ancora dato una risposta unanime a questa domanda.
Le difficoltà nello studio
Ma perché c'è così tanta incertezza su questo argomento? Principalmente perché è estremamente complicato riuscire a reperire delle pepite: i collezionisti le tengono per sé, e lo stesso vale per i principali musei. Per analizzare una pepita infatti è necessario sezionarla, così da poterne studiare la struttura interna e riuscire a comprenderne il meccanismo di formazione.
Le pepite più grandi mai ritrovate
Nonostante la stragrande maggioranza delle pepite sia di dimensione decisamente ridotta, nel corso della storia ne sono state ritrovate alcune decisamente fuori misura.
Al momento quella più grande mai ritrovata è la pepita Welcome Stranger, portata alla luce dai cercatori inglesi John Deason e Richard Oates nel febbraio del 1869, in Australia. Pensate che questa gigantesca pepita pesava circa 72 kg! Purtroppo ad oggi questo record della natura non esiste più: la pepita infatti è stata suddivisa in tre pezzi che sono stati poi fusi e trasformati in lingotti. Secondo la BBC, se la pepita fosse stata conservata, il suo valore odierno sarebbe superiore ai 2 milioni di dollari!
Al secondo posto della classifica troviamo una pepita dal nome simile, la Welcome Nugget, anch'essa trovata in Australia nel 1858 dai minatori della Redhill Mining Company. Questo ritrovamento pesava circa 69 kg e, anche in questo caso, si decise di venderla per circa 21 mila dollari. La pepita venne poi divisa in frammenti di dimensione minore e fusa per ricavarne dei lingotti. Quello che ci resta è una sua replica, esposta all'Harvard Mineralogical Museum (USA).
A chiudere questa piccola classifica troviamo al terzo posto la Canaã nugget (conosciuta anche come Pepita Canaa) che, al momento, è la più grande pepita d'oro tutt'ora esistente. Il suo peso è di 60,8 kg e venne scoperta in Brasile il 13 settembre 1983 da Julio de Deus Filho nel Garimpo da Malvina, nella Serra Pelada. Questo ritrovamento è tutt'oggi esposto al Museo dei valori del Banco Central do Brasil, a Brasilia.
Bibliografia
Butt, C. R. M., R. M. Hough, and M. Verrall. "Gold nuggets: the inside story." Ore and Energy Resource Geology 4 (2020): 100009.