
Le tasche mancanti negli abiti femminili sono un topic di cui si discute molto, tra donne, e se non le si trova quasi mai nei pantaloni in vendita la causa è una, ed è molto semplice: il maschilismo patriarcale che ha dettato legge anche in fatto di moda. L'assenza delle tasche, o la loro riduzione a piccoli ornamenti decorativi che si vede ancora oggi su molti jeans, non è una questione di estetica, né tantomeno sartoriale: per secoli ha riflesso il controllo sociale sulle donne, limitandone libertà e autonomia. Avere una tasca significa avere uno spazio personale, un luogo in cui custodire ciò che ci appartiene senza dipendere da altri — un gesto apparentemente banale, ma profondamente politico.
Oggi, tra il ritorno dei cargo pants e le campagne femministe come #wewantpockets, la richiesta di tasche capienti racconta ancora lo stesso desiderio di indipendenza e di uguaglianza.
Il Medioevo e le tasche, simbolo di potere
Nel Medioevo uomini e donne usavano borse legate alla cintura, antenate dei marsupi di oggi. Poi, per ragioni di praticità e sicurezza, queste borse vennero nascoste all’interno dei vestiti, trasformandosi nelle prime vere tasche. E qui nasce la differenza: a fine Seicento le tasche furono cucite direttamente nei cappotti e nei pantaloni degli uomini, mentre le donne continuarono a portare sacche rimovibili sotto le gonne.
Perché? Una teoria molto diffusa è che alle donne non fosse concesso avere uno “spazio personale” così immediato e sicuro. Le tasche, spiegano le studiose Hannah Carlson e Ariane Fennetaux, erano un simbolo di autonomia: poter custodire oggetti significava esercitare controllo e proprietà, due cose che per secoli la società patriarcale ha cercato di negare alle donne. Non a caso, dopo la Rivoluzione francese, quando la moda femminile si orientò verso lo stile impero con abiti più aderenti e anche le sacche sotto le gonne sparirono gradualmente quasi del tutto, vennero sostituite da piccole borsette decorative. Gli uomini avevano ancora una volta le mani libere e tasche piene, mentre alle donne non era concesso.
Le tasche femminili come rivendicazione politica
Il primo grande atto di ribellione sartoriale arrivò con le suffragette, all’inizio del Novecento. La “uniforme da suffragetta”, come racconta il New York Times dell’epoca, era “piena di tasche”: sei, otto, persino dieci. Ogni tasca era un gesto politico, un’affermazione di indipendenza.
La moda però non sempre seguì questa scia. Nel 1954 lo stilista Christian Dior dichiarò senza giri di parole: «Gli uomini hanno le tasche per tenerci le cose, le donne per decorazione». Una frase che riassume perfettamente come l’industria abbia spesso preferito abiti femminili esteticamente curati ma poco funzionali. E non è tutto: c’è anche un aspetto economico. Se le tasche diventassero davvero standard negli abiti femminili, il mercato miliardario delle borse rischierebbe un colpo.
Diana Vreeland, storica direttrice di Vogue, voleva dedicare un numero intero alle tasche, ma non le fu permesso: gli inserzionisti delle case di moda e degli accessori non l’avrebbero mai accettato.
Dal #wewantpockets alla moda di oggi
Oggi il dibattito è più vivo che mai. La giornalista Caroline Criado Perez, autrice di Invisibili, parla del “great gender pocket gap”, il grande divario delle tasche tra uomini e donne, e porta avanti una campagna social con l’hashtag #wewantpockets. I dati le danno ragione: nel 2018 uno studio del sito The Pudding ha mostrato che le tasche dei jeans femminili sono in media il 48% più corte di quelle maschili e spesso non contengono nemmeno uno smartphone.

Negli ultimi anni però qualcosa si muove. Il ritorno dei cargo pants, pieni di tasconi, ha riportato le tasche sotto i riflettori, e sempre più stilisti le trasformano in protagoniste delle collezioni, da Miu Miu a Isabel Marant. Alcuni designer sperimentano addirittura tasche “intime” o centrali, per trasformarle in un segno di sensualità e libertà personale.
Le tasche, è chiaro, non sono un dettaglio di stile, ma un simbolo di indipendenza: significano avere le mani libere, non dipendere da una borsa, non dover chiedere a qualcun altro di portare le proprie cose. Non è un caso, infatti, che negli ultimi anni siano tornate al centro del discorso femminista: sono un piccolo spazio di autonomia, di scelta, di libertà. In fondo, come scriveva la poetessa americana Alice Duer Miller già nel 1915, ironizzando sul rifiuto di concedere alle donne le tasche: «Le tasche non sono un diritto naturale».