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È terminata l'eruzione dell'Etna che nella giornata di ieri ha prodotto una nube ardente dal cratere di Sud-Est e la formazione di tre colate laviche principali: una si è diretta a sud, una seconda a est, ramificandosi in più bracci, e l'ultima, originatasi alla base del fianco settentrionale del cratere di Sud-Est, si è diretta a nord. Già nella serata del 2 giugno, l'INGV aveva aggiornato l'allerta riportandola al livello giallo: l'attività stromboliana era stata registrata in diminuzione, con solo una debole emissione di cenere.
Ma il vulcano più alto d'Europa, tra i più attivi al mondo, è anche al centro del recente studio Pressurized magma storage in radial dike network beneath Etna volcano evidenced with P-wave anisotropic imaging, pubblicato sulla rivista Communications Earth & Environment e condotto da un team di ricercatori del Dipartimento di Geoscienze dell'Università di Padova coordinato da Gianmarco Del Piccolo e Manuele Faccenda: analizzando le onde sismiche, infatti, i ricercatori sono riusciti a mappare la struttura del sistema magmatico che esiste al di sotto del Monte Etna, riuscendo così a spiegare come il magma fuoriesca dai crateri sommitali e dalle bocche laterali del vulcano.
Cosa afferma lo studio sulle vie di risalita del magma dell'Etna
L'Etna, quindi, può eruttare anche lateralmente, attraverso fessure presenti lungo i fianchi del vulcano, e non solo dai crateri sommitali. Ma perché questo avviene? Lo studio è riuscito a dimostrare l'esistenza di una rete di «dicchi verticali», ossia di alcune fratture riempite di magma che si estendono tra i 6 e i 16 km di profondità. Sono proprio queste fratture ad aver formato una rete radiale, che a sua volta ha dato origine a un sistema di «vie preferenziali» per la risalita del magma: ecco spiegato perché l'attività eruttiva dell'Etna avviene dai crateri sommitali e dalle bocche laterali presenti sul vulcano. Secondo le osservazioni, è probabile che in questa zona sia presente un sistema magmatico profondo, caratterizzato da alte pressioni dei fluidi.
Nella mappa qui sotto, tratta dallo studio, si nota chiaramente la distribuzione radiale dei dicchi nel sottosuolo vulcanico.

Come è stata costruita la mappa della struttura interna dell'Etna
In particolare, il team di ricercatori ha utilizzato una particolare tecnica sismologica, ovvero la «tomografia sismica»: si tratta di un metodo di indagine geofisica che permette di ottenere immagini dettagliate del sottosuolo grazie all'analisi della propagazione delle onde sismiche nel sottosuolo, il cui comportamento dipende dalle proprietà fisiche del materiale che attraversano da cui si può ricostruire indirettamente una “mappa 3D” di come è fatto l'interno del vulcano. Le onde sismiche, infatti, si modificano in base al tipo di materiale che attraversano: nel caso di fratture nella roccia, per esempio, le onde sismiche tenderanno a propagarsi più lentamente lungo determinate direzioni correlate con quelle delle fratture stesse.
Basandosi su un approccio probabilistico, i ricercatori sono così riusciti ad analizzare oltre 37.000 segnali sismici, raccolti tra il 2006 e il 2016 sotto l'Etna, realizzando quindi una sorta “TAC” del vulcano grazie all'utilizzo delle onde sismiche al posto dei classici raggi X. Raccogliendo questi dati si può risalire all'architettura dell'impianto vulcanico (e di conseguenza ai percorsi di migrazione del magma) perché questa è correlata alle cosiddette «anisotropie elastiche» (la proprietà di un materiale di presentare comportamenti diversi a seconda della direzione lungo cui agiscono le sollecitazioni elastiche) che sono strettamente legato allo stato di stress della crosta, ossia lo stato di sollecitazione a cui sono soggette le rocce crostali, che è deducibile dalle mappe di propagazione delle onde sismiche.

Perché questo studio è importante
In altre parole, il metodo sviluppato potrebbe portare a predizioni più attendibili delle vie preferenziali dove migrano il magma e i fluidi in crosta, ma anche a una maggiore comprensione dell'effetto dello stress in ambienti crostali in zone sismiche, campi geotermici o campi petroliferi. La tecnica utilizzata, tra l'altro, ha anche permesso di valutare il grado di incertezza dei risultati, rendendo così più affidabili le simulazioni dei percorsi del magma attraverso la crosta, con conseguenti implicazioni per la valutazione del pericolo vulcanico.
Purtroppo, però, questa nuova conoscenza non è sufficiente per prevedere in maniera diretta il come e il quando delle future eruzioni etnee: la previsione delle eruzioni vulcaniche è estremamente complessa e rappresenta attualmente un campo di ricerca ancora aperto.