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29 Settembre 2021
7:50

Terremoti: cosa sono, come si formano e classificazione

I terremoti sono fenomeni naturali caratterizzati da scuotimenti del terreno. Detti anche “sismi” o “scosse telluriche”, sono innescati nella maggior parte dei casi dall’attivazione di una faglia, con conseguente rilascio di energia attraverso onde sismiche. I terremoti vengono solitamente classificati in base alla loro intensità o ai danni provocati.

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Terremoti: cosa sono, come si formano e classificazione
terremoti

In geofisica, i terremoti, chiamati anche sismi o scosse telluriche, sono fenomeni naturali che consistono nello scuotimento di una porzione di crosta terrestre e sono causati dalla liberazione e dalla propagazione di energia attraverso onde sismiche in conseguenza all’attivazione di una faglia.

La posizione sotto la superficie terrestre dove inizia il terremoto è chiamata ipocentro e la posizione direttamente sopra di essa sulla superficie terrestre è chiamata epicentro.

Alla fine di questo articolo saprai:

  • qual è la relazione tra i sismi e la tettonica delle placche;
  • perché si generano i terremoti;
  • come si innescano;
  • dove solitamente si innescano;
  • come si classificano.

La tettonica delle placche è il motore principe

La parte più superficiale del nostro pianeta, la crosta, è suddivisa in tante placche, le celebri placche tettoniche.

Possono essere considerate come tanti pezzi di un puzzle. A grandi linee possiamo dire che ogni placca ha dei contorni ben definiti, dei limiti geografici che siamo riusciti a definire e a tracciare su mappa. Per darvi un’immagine più concreta, pensate ai confini di una nazione. Ecco, dal punto di vista geometrico le placche tettoniche hanno una delimitazione analoga.

Placche tettoniche
Schema illustrativo delle placche tettoniche  (credit: Moccia, 2020).

E soprattutto si muovono.

Il perché avvengono questi movimenti tettonici oggi non è ancora chiaro al 100 per cento e ci sono varie teorie in proposito; una delle più accreditate e plausibili è quella dei movimenti convettivi, secondo cui le placche sarebbero spinte da delle specie di «correnti» nel mantello. Si tratterebbe di movimenti circolari di materiale roccioso, detti appunto «correnti convettive», o «moti convettivi».

Non è immediato immaginare che un continente come l’Africa, il Sud America o l’Australia si possa muovere spinto da correnti rocciose; per questo motivo è necessario vedere il fenomeno con «un occhio geologico». Cerchiamo di darvi un paio di suggerimenti per rendere il concetto più chiaro: il primo è di provare a immaginare le placche galleggiare su un materiale mobile. In tanti documentari questo materiale mobile è spesso rappresentato da masse di magma incandescente, ma in realtà non è assolutamente così!

La parte sottostante la crosta terrestre (astenosfera) è solida, ma caratterizzata da una viscosità relativamente più bassa, caratteristica necessaria per comportarsi come un liquido (ad altissima viscosità) e permettere dunque il lento movimento della crosta sovrastante. Il comportamento «plastico» dell’astenosfera è il concetto chiave per figurare nella propria mente il movimento delle placche tettoniche.

Il secondo suggerimento è di immaginare questi movimenti nei tempi geologici, altrimenti non risultano percepibili. Bisogna cominciare a pensare ad archi temporali di milioni di anni, di decine di milioni di anni. I tempi geologici non sono un concetto astratto, ma qualcosa di concreto, e necessitano di un piccolo sforzo mentale per essere capiti.

Ora che abbiamo compreso il movimento delle placche veniamo a noi per capire la relazione con i terremoti.

Come si formano i terremoti: le faglie

Le placche tettoniche, muovendosi, possono scontrarsi o separarsi, creando quindi zone compressive o distensive. Uno scontro o un allontanamento tra placche si traduce nella formazione o nella riattivazione di faglie. Una faglia non è altro che una vera e propria rottura di una porzione della crosta terrestre. Per capire a pieno questo concetto, è molto più efficace mostrarvi il disegno semplificato di una faglia.

Nella figura sottostante (figura a) è rappresentato lo stato non deformato, antecedente all’attivazione della faglia. A destra, invece, è illustrato il momento successivo all’attivazione della faglia (figura b). Lo scalino che vedete nell’immagine b è la conseguenza del movimento di una faglia, in questo caso detta «normale» o «estensionale», tipica di contesti, appunto, estensionali, in cui le placche tettoniche tendono ad allontanarsi. La freccia rivolta verso il basso rappresenta il movimento del blocco sinistro rispetto a quello destro.

Schema formazione faglia
Disegno semplificato di un lembo di terra attraversato da una faglia normale, prima (figura a) e dopo l’attivazione (figura b) (credit: Moccia, 2020).

Il fenomeno che ha creato questo scalino è concettualmente semplice: un lembo di terra, dove gli strati rocciosi sono sottoposti a grossi sforzi tettonici, a un certo punto si spacca letteralmente, creando di conseguenza un piano di rottura, dove uno dei due lembi di terra si muove su o giù rispetto all’altro. Nel caso del contesto estensionale si formano generalmente le cosiddette «faglie normali»; al contrario, in contesti compressivi, si formano quelle che in gergo vengono chiamate «faglie inverse».

Quando in un telegiornale o in un documentario si parla di «attivazione di faglia», si sta facendo riferimento al movimento relativo di un blocco rispetto all’altro, proprio come illustrato nella figura b. Concettualmente è tutto qui!

Quando una faglia si muove, si libera una quantità di energia enorme che si propaga nelle rocce attraverso le onde sismiche, le quali, a loro volta, arrivando in superficie, generando i terremoti.

In sintesi, un terremoto è l’effetto dell’attivazione di una faglia, che a sua volta è l’effetto di uno scontro o di una separazione tettonica. Esiste anche un terzo tipo di faglie, chiamate «trascorrenti», il cui movimento è principalmente orizzontale, per cui non crea «scalini». Anche loro generano terremoti; pensate che la faglia più famosa del mondo, quella di Sant’Andrea in California, è proprio una faglia trascorrente. La Terra brontola e si muove perché è viva!

Dove avvengono i terremoti?

Rispondere a questa domanda risulta ora più semplice. I terremoti sul pianeta Terra si concentrano principalmente lungo i bordi delle placche tettoniche o, per meglio dire, lungo i margini di placca. Cioè lì dove avvengono gli «scontri tettonici» o le «separazioni tettoniche». È piuttosto intuitivo!

Oggi i margini di placca sono ben definiti e cartografati e i luoghi lontani da questi hanno un rischio sismico bassissimo o quasi nullo. Insomma, la sismicità di un luogo dipende in gran parte dalla sua vicinanza a un margine di placca.

Le onde sismiche

Il punto sotterraneo dal quale si sviluppa un terremoto, che sicuramente sarà sul piano di faglia, prende il nome di ipocentro e la sua profondità può variare da poche centinaia di metri a circa 700 km. Le onde sismiche vengono da qui sprigionate in ogni direzione e le due principali tipologie vengono definite longitudinali e trasversali. Le onde longitudinali (anche dette “P” di “prime”) sono di tipo compressivo, come le onde acustiche in aria, e sono le più veloci di tutte. Le onde trasversali (anche dette “S” di “seconde”) sono invece onde di taglio, più lente delle P e non capaci di propagarsi in un liquido.

Per chiarire meglio la differenza, si può semplificare dicendo che nelle onde P le particelle si muovono solo avanti e indietro seguendo la direzione dell’onda: il risultato è una compressione e dilatazione della superficie terrestre “a fisarmonica”. Le onde S invece sono paragonabili alle onde del mare, con un movimento oscillante verso il basso e l’alto rispetto alla direzione dell’onda.

Quelle viste finora (onde P ed S) prendono il nome di “onde di volume” poiché interessano tutto il volume di roccia che attraversano. Esiste però una seconda categoria di onde dette “di superficie” che, come suggerisce il nome, interessano soltanto la superficie terrestre, causando la maggior parte dei danni alle nostre città.

Si dividono in onde di Rayleigh (dette “R”) e di Love (dette “L”). Le R possono essere paragonate a quelle che si formano quando viene lanciato un sasso in uno stagno mentre le L fanno vibrare il terreno orizzontalmente.

Onde sismiche
Schema riassuntivo delle onde sismiche.

Come si localizza l’origine di un terremoto?

Le prime onde ad essere avvertite sono le “P”, seguite a ruota dalle onde “S”. Riprendendo l’esempio citato dall’USGS, le onde P corrispondono al fulmine che vediamo durante un temporale e le S al tuono che sentiamo solo in un secondo momento. Se ci troviamo nel luogo dove cade il fulmine, il tuono sarà simultaneo alla scarica elettrica; se siamo lontani il tempo tra tuono e fulmine sarà sempre più lungo.

Tramite conteggio del tempo tra onde P ed S è possibile capire quanto è distante un terremoto dal sismografo che lo ha registrato, pur non avendo informazioni sulla direzione dalla quale è arrivato. Per ricavare quest’ultimo dato vengono correlati i dati di diverse stazioni (almeno tre) di rilevamento e, tramite un processo di triangolazione, si risale all’area corrispondente all’epicentro del sisma.

Triangolazione
Esempio di triangolazione di un terremoto (credit: USGS).

La scala Richter e la scala Mercalli

I terremoti si classificano solitamente in base alla loro intensità o alla loro magnitudo – rispettivamente quantificate tramite la scala Mercalli e la scala Richter.

La classificazione basata sui danni, dunque quella dell’intensità, è legata alla distruzione che comporta un terremoto in una determinata area. Mercalli, come illustrato nell’immagine in basso, definì 12 livelli, con grado di distruzione crescente.

Scala Mercalli
Scala Mercalli.

La scala Mercalli non è necessariamente legata a quella Richter: se un sisma molto forte (es. grado della scala Richter 8) si verifica in mezzo al deserto non provoca né vittime né danni a edifici, perciò avrà un valore sulla scala Mercalli molto basso. Contrariamente, un terremoto relativamente debole potrebbe far crollare edifici e causare vittime: in quel caso il grado di scala Mercalli sarebbe comunque elevato.

La magnitudo è invece la misura dell’effettiva forza di un terremoto, calcolata tramite rilevatori disposti sul territorio, i cosiddetti sismografi. Questo valore non è collegato ai danni che provoca il sisma ma semplicemente all’energia che viene sprigionata durante l’evento.

La scala che misura la magnitudo è la scala Richter. In realtà non ha un limite superiore; i valori più alti mai registrati si aggirano intorno al 9. Ecco alcuni esempi storici:

  • Cile 1960 (9,5);
  • Alaska 1964 (9,2) con pochi danni vista la scarsa densità di popolazione;
  • Indonesia 2004 (9,1) con centinaia di migliaia di morti;
  • Giappone 2011 (9) tristemente famoso per i problemi alla centrale nucleare di Fukushima.

Ricordiamo che la scala Richter è logaritmica per cui tra un grado e il successivo c'è una differenza di circa 30 volte in quanto a  energia liberata. In altre parole un terremoto con magnitudo 4 è circa 30 volte più forte di uno con magnitudo 3.

Da un punto di vista strumentale, la misura della magnitudo viene fatta tramite i sismografi. Il loro funzionamento è piuttosto intuitivo: un foglio di carta scorre sotto ad un pennino che traccia una linea continua. Quando si verificano delle scosse il pennino oscilla e tanto più forte sarà il sisma, quanto più ampia sarà l’oscillazione del tratto di penna. Questi strumenti sono ormai totalmente digitali, permettendo una raccolta dati più rapida ed efficiente.

Il risultato, che ci sia un pennino fisico o un software, è un sismogramma, ovvero un grafico che riporta le variazioni di oscillazione prima, durante e dopo il sisma. Le prime onde che vengono registrate sono le P, quelle più veloci, seguite a ruota dalle onde S e dalle superficiali L.

Sismografo
Funzionamento base di un sismografo (credit: USGS).

Bibliografia

Moccia Andrea – Un Tesoro al Piano Terra (2020). Cairo editore.

Sono un geologo appassionato di scrittura e, in particolare, mi piace raccontare il funzionamento delle cose e tutte quelle storie assurde (ma vere) che accadono nel mondo ogni giorno. Credo che uno degli elementi chiave per creare un buon contenuto sia mescolare scienza e cultura “pop”: proprio per questo motivo amo guardare film, andare ai concerti e collezionare dischi in vinile.
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