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“A caval donato non si guarda in bocca” è uno di quei proverbi che sopravvivono ai secoli e generano spesso dubbi: il significato spiega che quando si riceve un regalo è bene non criticare o giudicarne la qualità ma accettarlo con riconoscenza. La sua storia nasce nella cultura latina tardo-antica, passa per la filologia umanistica e arriva fino a noi, ma non incrocia in alcun modo la storia del Cavallo di Troia. Nell'antichità, quando un cavallo era un bene di valore (rappresentava un mezzo di trasporto, era importante per il lavoro ed indicava un certo status sociale), la prima cosa che un acquirente esperto controllava era la bocca, dalla dentatura, infatti, stimava l’età e quindi il prezzo: un animale giovane valeva di più, uno vecchio di meno.
Da questa realtà nasce il detto: se l’animale è un regalo, infilare la mano tra le labbra per vagliarne il valore è scortese. Ricevere un dono non significa misurarne il valore materiale, ma riconoscere il gesto e l’intenzione di chi lo offre.
Il proverbio appare già in latino tardo-antico, si tratta della testimonianza più autorevole e precoce finora nota. Nella prefazione al commento alla Lettera agli Efesini, san Girolamo scrive – presentandolo esplicitamente come vulgare proverbium, detto popolare – «…ut vulgare proverbium est: Equi dentes inspicere donati».
La massima latina è attestata in due forme: quella all’imperativo negativo, “Noli equi dentes inspicere donati”, più vicina al latino classico, e la resa gnomica passiva, “Equi donati dentes non inspiciuntur”, diffusa in epoca tardo-medievale e scolastica. Entrambe trasmettono lo stesso precetto, pur con registri diversi.
Tra Rinascimento e prima età moderna il proverbio circola ampiamente nelle raccolte di sentenze: compare nel grande repertorio erasmiano degli Adagia e passa in inglese con John Heywood (Proverbs, 1546), che lo fissa nella formula divenuta canonica: «No man ought to loke a geuen hors in the mouth». L’edizione ottocentesca annotata dell’opera segnala persino un antecedente a stampa intorno al 1510.
Vale la pena chiarire un equivoco: il detto non ha nulla a che fare con il Cavallo di Troia. La locuzione è letterale e deriva unicamente dall’usanza veterinaria di stimare l’età e la qualità di un cavallo osservandone i denti.