Siamo nella Racetrack Playa, una distesa pianeggiante e arida situata nella valle della Morte, in California, a nord di Los Angeles tra le città di Las Vegas e Fresno. Si tratta di un lago prosciugato, sulla cui superficie spiccano decine di ciottoli e massi rocciosi, che hanno attirato l’attenzione a causa di un fenomeno molto particolare. Queste pietre (anche quelle più grandi e pesanti) si muovono "da sole" su un terreno praticamente privo di pendenza, lasciando dietro di sé scie spesso lunghe e tortuose. Per decenni i geologi si sono interrogati sul meccanismo che fa spostare queste “pietre mobili” (anche conosciute come “sliding rocks” o “sailing stones”), prima di trovare una spiegazione definitiva. Vediamo quali ipotesi sono state fatte nel corso del tempo.
La Racetrack Playa
Prima di elaborare qualsiasi ipotesi sul “motore” delle pietre mobili, bisogna avere chiaro il contesto geografico in cui si trovano e le sue condizioni climatiche.
La Racetrack Playa è il fondo piatto di un antico lago prosciugato in California, lungo ben 4,5 km e largo 2 km, situato 1130 m sopra il livello del mare e circondato da montagne.
Qui le temperature in estate raggiungono valori estremamente elevati, mentre in inverno possono scendere sotto zero. Si tratta di una regione desertica, quindi le escursioni termiche diurne sono notevoli in tutte le stagioni. La piana è ventosa e i venti, che soffiano in direzione SO-NE, durante le tempeste invernali raggiungono i 150 km/h.
Per la maggior parte dell’anno il territorio è arido: la mancanza d’acqua fa contrarre il terreno limoso-argilloso della Racetrack Playa fino a originare crepe dalla forma poligonale. Le precipitazioni, brevi ma intense, sono concentrate in inverno. Quando piove, l’acqua scende lungo i versanti delle montagne circostanti e raggiunge la Racetrack Playa: si forma così un sottile deposito di acqua e il fondo del lago diventa fangoso.
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Le prime ipotesi sulle pietre mobili
Le rocce di cui è disseminata la Racetrack Playa hanno dimensioni molto varie e alcune pesano anche mezza tonnellata. Da dove provengono? Rispondere a questa domanda è piuttosto semplice: si sono distaccate dalle montagne circostanti, raggiungendo la piana per gravità. Meno immediato è trovare una spiegazione plausibile per i solchi che queste rocce hanno lasciato sul terreno alle loro spalle. Alcuni sono lunghi pochi metri e altri decine, alcuni sono rettilinei e altri a zig zag. La loro presenza testimonia il fatto che queste rocce sono in grado di muoversi, anche per lunghe distanze.
I primi studi sul fenomeno risalgono al 1948 e attribuivano la responsabilità a forti venti di tempesta. Effettivamente la direzione della maggior parte delle scie sul terreno è la stessa in cui soffiano i venti in quest’area. Il problema è che per spostare massi pesanti centinaia di kilogrammi servirebbero venti ben più forti di quelli registrati a Racetrack Playa.
Nel 1955 i geologi ipotizzarono quindi che servisse un altro agente, oltre al vento, per muovere le rocce. Nelle notti invernali, lo strato superficiale del deposito d’acqua che durante le precipitazioni occupa la piana congela. Secondo questa nuova ipotesi, sarebbe il ghiaccio ad agevolare lo scivolamento delle pietre mobili.
Nel 1995 alcuni fisici avanzarono una nuova ipotesi: i venti forti sarebbero necessari per innescare il movimento delle rocce, ma successivamente basterebbero venti deboli per mantenerle in moto.
Un filmato svela il meccanismo
Il motore delle pietre mobili sembrava essere stato individuato, ma mancava una conoscenza più dettagliata di come avviene il fenomeno. Così nel 2011 i ricercatori americani hanno dotato alcuni massi di GPS, monitorandoli con telecamere time-lapse. Per ben due anni non è accaduto nulla. Poi, un mattino d’inverno, lo strato ghiacciato che ricopriva la piana ha iniziato a fondere e a creparsi formando lastre più piccole. Sospinte dal vento, che soffiava a circa 15 km/h, le lastre hanno cominciato a scivolare sul sottile deposito d’acqua sottostante, spingendo i massi lungo la piana. Un filmato mostra chiaramente il “cammino” delle pietre mobili, che è avvenuto a una velocità di circa 5 m al minuto.
Che cosa possiamo concludere dopo questo monitoraggio? Innanzi tutto, le condizioni necessarie per far muovere le rocce sono piuttosto rare (per due anni non si è verificato alcun spostamento): il deposito d’acqua non deve ricoprire completamente le rocce e deve congelare formando uno strato di ghiaccio spesso abbastanza da poter spingere un masso (ma sottile a sufficienza per potersi rompere). In secondo luogo, contrariamente a ciò che si pensava, non servono venti forti. Infine, i solchi lasciati dai massi sono evidenti perché, sotto il sottile strato d’acqua, il terreno su cui strisciano non è secco ma fangoso.