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L'avvio del programma nucleare italiano si colloca nel periodo post-seconda guerra mondiale, caratterizzato da una marcata espansione sostenuta dagli aiuti del Piano Marshall e contraddistinta da un rapido incremento del fabbisogno energetico. Tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta, le tensioni geopolitiche derivanti dalla crisi arabo-israeliana determinarono una significativo rialzo dei prezzi delle fonti petrolifere di importazione, imponendo una revisione della politica energetica italiana. Tale scenario orientò l'interesse governativo verso l'adozione dell'energia nucleare come soluzione strategica mirata a garantire la sicurezza energetica e l'autonomia di approvvigionamento nazionale. In quel contesto, in Italia furono progettate, realizzate e successivamente avviate all'esercizio commerciale quattro impianti nucleari: la centrale di Trino Vercellese, di Borgo Sabatino, di Sessa Aurunca e di Caorso.
In conseguenza dell'impatto mediatico e sociale generato dall'incidente di Chernobyl, il referendum abrogativo tenutosi nel 1987, pur non avendo come oggetto esplicito l'abbandono dell'energia nucleare in Italia, comportò sostanzialmente la cessazione delle operazioni delle centrali nucleari attive, nonché la cancellazione dei programmi di sviluppo di nuovi impianti.
Alla data del referendum, la quinta centrale nucleare, ubicata a Montalto di Castro, risultava completata dell'85% e venne riconvertita in un impianto termoelettrico a policombustibile. Nel 1999 la Sogin (Società di Gestione Impianti Nucleari) acquisì la proprietà dei quattro ex-impianti nucleari attivi, assumendo la responsabilità delle operazioni di decomissioning (smantellamento) e messa in sicurezza, attività che sono ancora in corso. Oggi l'Italia è l'unico Paese del G7 a non produrre energia nucleare.
Le quattro centrali nucleari italiane
Per prima cosa, analizziamo la mappa delle 4 ex-centrali nucleari italiane, indicate qui di seguito in verde:
Centrale di Trino Vercellese
La centrale nucleare di Trino Vercellese, situata in provincia di Vercelli, era dotata di un reattore ad acqua pressurizzata (PWR- Pressurised Water Reactor) da 270 MW. L'impianto è stato operativo dal gennaio 1965 al marzo del 1987, raggiungendo una produzione complessiva di energia elettrica paria 25 TWh (terawattora).
Centrale di Caorso
La centrale di Caorso, localizzata in provincia di Piacenza, costituiva il più grande sito nucleare attivo in Italia e disponeva di un reattore ad acqua bollente di seconda generazione (BWR- Boiling Water Reactor) da 860 MW. L'unità avviò l'esercizio commerciale nel dicembre del 1981, mantenendo l'operatività fino al 1986 e producendo 29 TWh di energia elettrica.
Centrale di Borgo Sabatino
La centrale di Borgo Sabatino (provincia di Latina), rappresentava una delle prime installazioni nucleari sul territorio nazionale, con lavori di costruzione iniziati nel 1963. L'impianto era equipaggiato con un reattore Magnox caratterizzato dall'utilizzo di uranio naturale non arricchito come combustibile, grafite come moderatore neutronico e anidride carbonica quale fluido refrigerante. Il reattore da 210 MW totalizzò una produzione di 26 TWh di energia elettrica durante il suo periodo di attività.
Centrale di Sessa Aurunca
La centrale nucleare di Sessa Aurunca, situata in prossimità del fiume Garigliano, era dotato di un reattore BWR da 160 MW. L'impianto ha iniziato l'esercizio commerciale nell'aprile del 1964, con l'obiettivo di supportare lo sviluppo industriale della macroarea meridionale italiana. La cessazione delle attività operative è avvenuta nell'agosto del 1978, antecedentemente alla data del referendum, a seguito di persistenti problematiche tecniche e di rilevanti opposizioni da parte delle comunità locali.
Cosa chiedevano i quesiti referendari sul nucleare?
L'8 e il 9 novembre 1987 gli elettori furono chiamati alle urne per esprimersi su cinque referendum abrogativi, di cui tre concernenti specificamente la normativa vigente relativa alla regolamentazione del settore nucleare in Italia:
- Il terzo quesito riguardava l'abrogazione della competenza del CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) di deliberare sulla localizzazione delle centrali nucleari nel caso in cui gli enti locali non avessero raggiunto un accordo;
- Il quarto quesito proponeva l'abrogazione della normativa che prevedeva l'erogazione di contributi finanziari agli enti locali sedi di centrali alimentate da combustibili nucleari o carbone;
- Il quinto quesito concerneva l'abrogazione della normativa che consentiva all'Enel, allora ente pubblico, di partecipare alla costruzione di centrali nucleari all'estero.
Il quorum referendario fu raggiunto con una partecipazione elettorale pari al 65.1% dei circa 45.8 milioni di elettori aventi diritto. Pur non essendo esplicitamente previsto come effetto diretto, il referendum determinò di fatto la progressiva dismissione degli impianti nucleari, segnando la cessazione della produzione elettronucleare in Italia.
Stato attuale delle centrali nucleari
Attualmente tutte le centrali nucleari italiane sono soggette a operazione di decommissioning, ossia a procedure tecniche finalizzate allo smantellamento e messa in sicurezza, attività affidate dal 1999 alla società Sogin S.p.A.. Il decommissioning rappresenta la fase terminale del ciclo di vita di un centrale nucleare e comprende la rimozione del combustibile, la caratterizzazione radiologica del sito, la decontaminazione delle strutture e la demolizione delle infrastrutture tecniche. Un aspetto fondamentale di questo processo riguarda la gestione dei rifiuti radioattivi, che vengono inizialmente stoccati in depositi temporanei per poi essere trasferiti e collocati nel Deposito Nazionale definitivo. Parallelamente, i materiali residui come ferro, rame o calcestruzzo risultanti dallo smantellamento vengono rimossi dal sito al fine di essere avviati a recupero e riciclo. Al momento, i tempi stimati per il completamento delle attività risultano incerti, essendo condizionati dall'avanzamento dei lavori e dalla futura operatività del Deposito Nazionale.