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Nel triangolo Belgio-Francia-USA, poche storie sono dibattute come quella delle patatine fritte: le chiamiamo “french fries”, ma non sono francesi! La verità è che non hanno un inventore in senso stretto: probabilmente, sono nate tra Belgio e Francia, ma la prima ricetta documentata risale all'Inghilterra, nel 1822. Un errore linguistico fatto dai soldati americani durante la Prima Guerra Mondiale ha poi diffuso il nome "French fries". Dietro uno dei cibi più amati al mondo si nasconde una contesa secolare fatta anche di equivoci linguistici.
Le origini tra Belgio e Francia
La patata arriva in Europa nel XVI secolo dall’America Latina (Perù e Bolivia), grazie agli esploratori spagnoli. Inizialmente diffidata per via della somiglianza con piante velenose (è un tubero della famiglia delle Solanacee), era usata come pianta ornamentale o al massimo per nutrire gli animali. Solo nel XVIII secolo, grazie all’azione di scienziati come Antoine-Augustin Parmentier, farmacista militare francese, che durante la prigionia in Prussia comprese l’enorme potenziale nutrizionale del tubero, la patata divenne un alimento utilizzato in cucina.
Parmentier riuscì a convincere re Luigi XVI e la popolazione a consumare patate, promuovendole persino come "cibo patriottico" durante le carestie pre-rivoluzionarie. Da allora la patata entrò nelle cucine parigine e iniziò ad essere venduta per strada dai cosiddetti marchands de pommes frites, già nel 1789. Mentre Parigi abbracciava la patata come simbolo rivoluzionario, in Vallonia, regione francofona del Belgio, la popolazione già da un secolo friggeva bastoncini di patate. Secondo un manoscritto del 1781, scoperto e citato da studiosi belgi, gli abitanti della regione erano soliti friggere piccoli pesci del fiume Mosa e, d’inverno, quando il fiume ghiacciava, li sostituivano con patate tagliate a forma di pesci e fritte nello stesso modo.
Questa fonte è spesso richiamata dai belgi come prova della priorità culturale sulla Francia. Tuttavia, si tratta di un manoscritto che parla di un’usanza popolare, non di una vera ricetta.
Le prime ricette risalgono al 1822 in Inghilterra
E qui arriviamo a un punto chiave. L’unica prova documentaria concreta dell’esistenza delle patatine fritte – intese non come leggenda o racconto orale, ma come ricetta codificata – appare nel 1822 in Inghilterra, nel libro The Cook’s Oracle di William Kitchiner, che parla esplicitamente di “potatoes fried in slices or shavings”.
Il concetto viene ripreso nel 1832 nel ricettario The Cook’s Own Book di N.K.M. Lee, con una descrizione molto simile. È in quel momento che le fritte iniziano a diventare una presenza stabile anche nel mondo anglosassone. Dall’Inghiliterra dobbiamo volare oltreoceano, perché negli Stati Uniti, la popolarità arriva nel tardo Ottocento, in particolare grazie al cuoco George Crum (vero nome: George Speck). Pur non essendone l’inventore, Crum fu determinante nel trasformare le patatine in una pietanza comune: lavorando alla Moon’s Lake House di Saratoga, prima le rese famose, poi le commercializzò nel suo ristorante. Il suo datore di lavoro, Cary Moon, arrivò perfino a industrializzare le chips confezionandole prima in coni di carta, poi in scatole.
Ma perché si chiamano “French fries”?
Durante la Prima Guerra Mondiale, i soldati americani stanziati in Belgio vennero a contatto con le patatine fritte locali. Poiché molti soldati belgi parlavano francese, gli americani li scambiarono per francesi, e iniziarono a chiamare il piatto "French fries". La terminologia ha quindi origini linguistiche, non geografiche: è uno di quegli errori storici che, diffuso su scala globale, è diventato uno standard. Curiosamente, il termine viene oggi usato quasi esclusivamente negli USA. In Inghilterra si dice “chips”, in Francia si dice “frites”, e in Belgio — patria più plausibile della ricetta moderna — si dice “frites”. Qui, quello delle patate è un vero culto, tanto che nel 2008, a Bruges è stato fondato il Frietmuseum, il primo museo al mondo dedicato esclusivamente alla storia della patata e delle sue preparazioni fritte. In più, Belgio ha perfino chiesto all’UNESCO il riconoscimento della cultura del fritkot (chioschi di patate) come patrimonio immateriale.